Arte Contemporanea centro Italia: un riesame

http://sl03.artribune.com/2011/06/%E2%80%9Cscollamento-fra-intellettuali-e-arte-contemporanea-e-la-colpa-e-anche-la-vostra%E2%80%9D-pio-baldi-tira-le-orecchie-anche-ad-artribune%E2%80%A6/

Un’intervita del primo decennio del terzo millennio serve per poter capire valori e mancanze avvenute negli ultimi due lustri del terzo millennio e si applica alla necessità della sociologia dell’arte per poter individuare mancanze e comportamenti estetici funzionali a una esegesi da parte dei futuri storici del XXII sec. e successivi. Questo primo articolo riporta il dato di fatto così come si è pronunciato e, in seguito, nei prossimi articoli, compareremo, per senso della coesione e della continuità, la condizione attuale del pensiero artistico italiano con quanto dichiarato (dagli stessi artisti) in precedenza. Si impone così una verifica immediata e necessaria per capire le politiche, il territorio, il divenire dell’arte o il suo mancato adempimento alla creatività e al linguaggio. Un REGESTO non canonico che possa dare consapevolezza e coscienza collettiva sia del sistema artistico che della critica. Uno dei fattori della decadenza è dato, per esempio, dall’accettazione debole, da parte degli artisti contemporanei ( in arte e nelle arti), della connivenza con i sette peccati capitali e dalla fuori misura della gestione della VANITA’. Questo lavoro serve ad una possibile ridefinizione dell’arte regionale e della CRITICA D’ARTE MILITANTE relegata ai sui minimi storici.

Lorenzo Canova è docente associato all’Università del prof. Cannata. Insegna storia dell’arte, e ha, per merito riconosciuto, un buon seguito di studenti che diverranno, sicuramente, la prossima qualità culturale della nostra regione. Visto che nel pensiero generale del territorio per adesso, purtroppo, manca la base minima di conoscenza per queste discipline, dobbiamo attendere con pazienza l’evolversi di questa formazione per desiderare che il Molise possa pareggiare le sue mancanze con il livello conoscitivo di altre regioni italiane e dell’Europa. Attenderemo. Il docente, però, ha già iniziato a distribuire metodologicamente il sapere nella nostra area geografica dando compito ad alcuni suoi studenti di formulare un questionario al fine di reperire, oltre le opinioni individuali, una sorta di archivio statistico che permetta di analizzare il problema, e la sua contemporanea condizione, con dati effettivi. Qui risponde uno degli artisti maggiori della regione, conosciuto e stimato in Italia e all’estero. Nino Barone.
1. L’arte contemporanea in Molise vive un tangibile isolamento culturale. Quali sono le strategie da adottare per il superamento della frammentazione di intenti e della mancanza di pianificazioni nel Molise?

Una delle ragioni principali è che la nostra classe dirigente ha investito ed investe energie e risorse solo sul passato. Le strategie da adottare implicano il necessario riconoscimento sociale degli artisti e dell’arte contemporanea attraverso:
a) l’utilizzazione prioritaria delle professionalità esistenti in Molise con titoli idonei per inserirli nel circuito di produzione culturale come Università, Istituti di Ricerca, Laboratori di sperimentazione;
b) istituzione di un osservatorio regionale permanete sull’arte contemporanea a cura della Regione Molise che favorisca acquisizione di opere, borse di studio, scambi culturali con le regioni italiane e straniere.

2. Quali sono a suo avviso gli attuali punti di forza e di debolezza del
sistema dell’arte contemporanea in Molise?

L’unico punto di forza del sistema regionale dell’arte contemporanea è la presenza sul territorio di molti validi artisti che reggono il confronto con le proposte linguistiche dell’arte internazionale. Troppo soli e isolati per essere riconosciuti e creduti.
Punti di debolezza tutti quelli espressi come proposte nei punti 1 e 3.

3. La situazione istituzionale attuale molisana non prevede molti spazi e strutture che diano le opportunità agli artisti di esprimersi e di svolgere la loro attività a tempo pieno; il più delle volte le occasioni sono create dagli stessi artisti che, autogestendosi, riescono ad emergere dalla clandestinità, causa di isolamento dal mercato dell’arte sia come promozione dell’opera sia come gratificazione per l’artista. Quali sono gli atteggiamenti da assumere per creare una nuova sensibilità artistico contemporanea?

Gli artisti dovrebbero cercare una maggiore coesione interna costruendo una mentalità di rango, che nei momenti di maggiore difficoltà riesca a far superare antagonismi individualistici per raggiungere obiettivi comuni, creando momenti aggregativi di dibattito e progettazione.
Bisogna anche trovare il modo per coinvolgere il sistema produttivo molisano intorno alle grandi manifestazioni artistiche con il sistema delle sponsorizzazioni.
Ho provato in tutti i modi a convincere uomini politici e dirigenti di istituzioni sulla necessità di costruire musei, sale espositive, biblioteche, centri di raccolta documentaria. Ho parlato con capitani d’industria e imprenditori per esortarli all’acquisto dei prodotti artistici locali. Per quanto detto prima non siamo ancora credibili e non godiamo di nessuna stima. Dobbiamo chiedere con forza la cittadinanza regionale che ci deve essere riconosciuta con la valorizzazione a tutti i livelli della nostra opera.

4. Per combattere l’accademismo le avanguardie storiche hanno trovato fonte di ispirazione nel mondo esotico, andando al di là dell’Occidente. Oggi assistiamo al fenomeno inverso: gli artisti filtrano il linguaggio dell’arte contemporanea attraverso le proprie tradizioni culturali più specifiche. Secondo lei questa è la strategia vincente perché il Molise possa affermarsi in un contesto più ampio?

Credo che l’arte contemporanea molisana sia attuale e paragonabile a quella internazionale perché trae linfa vitale dalle proprie origini. In questo senso la storia e gli archetipi passati sono più che utili. In Molise opera da più di sei anni il Movimento Artistico Internazionale ARCHETYP’ART ideato e diretto dal critico d’Arte Antonio Picariello, che in sostanza ha teorizzato e promulgato sul territorio proprio questa tendenza culturale anticipando il dibattito nazionale con la fortunata mostra Archetyp’Art Italia, Africa.
Se gli artisti molisani vogliono imporsi nel panorama internazionale devono necessariamente seguire questa via. Molti artisti credono di essere unici e invece scimmiottano le immagini che scopiazzano da Flash Art.

5. Ritiene che l’arte e più specificamente quella contemporanea debba avere o abbia ancora un senso di educazione per il grande pubblico, o al contrario che abbia perso la capacità di trasmettere ai più?

L’arte contemporanea purtroppo ha perso il primato della sua autenticità spirituale e di preveggenza culturale perché gli artisti usano in modo indiscriminato gli strumenti della comunicazione di massa subendone il fascino perverso che porta all’esasperazione dell’individualismo a scapito di una visione collettiva del mondo. L’arte come atto creativo, a prescindere da tutto, è sempre interessante e “necessaria”, gli artisti dovrebbero dedicare più tempo allo studio anziché alle vanità del mondo.

Questa, invece, è l’intervista pubblicata dalla rivista europea Juliet Art Magazine di Roberto Vidali: Conversazione con Gervasio Barone. Viene riportata integralmente e successivamente ( in un prossimo articolo) comparata con l’attuale cambiamento d’opinione dell’artista, docente al liceo artistico Jacovitti di Termoli e firmatario, nel 1996 del movimento internazionale ARCHETYP’ART.

Domanda : In un’intervista a Jung E. Harding gli chiede i fattori per la felicità interiore dell’uomo e questi risponde con cinque punti; una buona salute fisica e mentale. relazioni personali e intime soddisfacenti, nel matrimonio, nella famiglia, nelle amicizie. la capacità di percepire la bellezza nell’arte e nella natura. un livello di vita sufficiente e un lavoro soddisfacente. un punto di vista filosofico religioso capace di farci affrontare bene le vicissitudini della vita. nella costruzione della tua arte in qualche modo questi elementi rientrano?

– la mia arte è costituita dalla sensibilità che mi porto dentro dall’infanzia. Il mio è un segno che si è evoluto a contatto con l’ambiente “imprintante” della mia città. È memoria della trasformazione, una sorta di appunto, un diario immaginifico del segno collettivo, come le impronte dei cacciatori nelle caverne paleolitiche, un contenitore idiolettico dei linguaggi e del pensare urbano che si modifica nel tempo modificando di conseguenza i comportamenti della comunità. Questi comportamenti se visti nella loro progressione di simboli e segni diventano tracce, allegorie contemporanee, mappe che descrivono le evoluzioni della memoria della comunità nativa autoctona e indigena. La città è un luogo dove si vive e se la vita è costituita dagli elementi descritti da Jung, credo che anche la mia arte considerata come una sorta di mappa della memoria territoriale rientra in qualche modo con gli elementi della felicità interiore degli uomini che la abitano e che la vivono o che l’ hanno vissuta o meglio ancora che la vivranno.

Domanda: Ogni ostruzione architettonica è traducibile in rapporti musicali, ovvero di ogni gesto di ogni geometria urbana di ogni potenziale volume si può fare uno spartito e a maggior ragione di ogni rapporto urbanistico visto nel suo procedimento simbiotico tra sociale e l’architettonico, carne e pietra, può trasformarsi in una intimità emozionale, in una particolare visionarietà tradotta e traslata in opera d’arte. È questo che intendi?

– si, intendo questo e qualcos’altro. Mi spiego. L’ispirazione che porta a rappresentare una città nella prospettiva di un nativo è l’ispirazione di chi si sposta nel tempo invece che nello spazio. È il viaggio di memoria di chi ha vissuto il luogo con la propria infanzia. Sotto questo aspetto prospettiva e città viaggiano parallele. La mia arte ed io diventiamo testimonianza cellulare della storia della città, il riassunto generazionale, i passaggi degli stili di vita e di pensiero solo che in questo caso, non scrivo un testo inteso come documento con le parole, non riporto sulla tela la materia dello storico classico, ma traccio la mia osservazione, la mia memoria dei fatti e dei cambiamenti sottoforma di pittura planimetrica. I miei segni sono linee rizomatiche che si muovono su un piano sicuro. Il fondo è la verità urbana così come l’ ho trovata alla nascita, in età di percezione, è la condizione che ho ereditato dalle generazioni che mi hanno preceduto e che mi hanno richiesto di venire al mondo. I segni che si sovrappongono a questo piano sono i vari vettori della contemporaneità che si produce e si sviluppa sulla mia memoria dagli anni sessanta fino a qui, all’inizio del nuovo millennio. Se per qualche motivo si cancellassero le tracce sovrapposte al piano si ritornerebbe alla città così com’era ai suoi primordi, nel suo aspetto archetipale, si ritornerebbe alla partenza. Riprendendo Jung sarebbe come rientrare nel suo grafico degli archetipi dove la primordialità, o l’origine fondale del tutto è un’immagine uniformemente rossa che lui chiama fuoco centrale. Ecco più o meno le basi della mia tela appartengono alla famiglia di quest’idea del mondo.

Domanda: Quando parli di sociale, carne e pietra, ti riferisci ai cambiamenti sostanziali che negli ultimi trent’anni sono avvenuti su questo territorio?, il fatto che da società tipicamente agricola si sia passati ad una società inconsapevolmente industriale vuol dire qualcosa?.

Vuol dire molto. È proprio questo il mana che muove i segni della mia arte. Termoli ha avuto un cambiamento unico in Italia in quanto piccola regione, il Molise, ha permesso di frattalizzare la vita quotidiana in parti contraddistinte e complementari. Da una situazione culturale prettamente agricola si è passati si ad una condizione industriale, soprattutto con l’impianto della fiat, ma la cultura territoriale non è mai diventata cultura di fabbrica come Torino per esempio dove non a caso nasce e si sviluppa l’arte povera, qui invece si è trasformata in un ibrido anche comportamentale. Il pensiero collettivo è diventato chimerico. All’inizio si lavorava in fabbrica e poi si ritornava ai campi. Dalle macchine alla terra, dai bulloni alle piante senza staccare. Capisci che ad un certo punto non solo le costituzioni fisiche hanno assunto movimenti muscolari dettati dalla ripetizione dello stesso gesto di produzione, quello che Chaplin riporta in “Tempi moderni”, quello di Fritz Lang “Metropolis” o per quello più vicino a noi di Ridley Scott con “Blade Runner”, ma soprattutto il comportamento ha subito una sorta di esercizio dell’ambivalenza esorcizzato in un certo senso dalla continuità del lavoro che proseguiva in campagna. Dalle sette alle venti ad avvitare motori della fiat, dalle venti alle 23 a muovere zolle di terra, potare ulivi raccogliere grappoli di uva. Questo è quello che dico nelle mie tele. Un po’ come boccioni all’inizio del secolo. È questo anche quanto avviene nella città che di conseguenza diventa città d’accoglienza di forza lavoro. La pianura periferica si trasforma in circonvallazioni, strade, viadotti, ponti, i lampioni sostituiscono i filari delle vigne, i palazzi verticali il centro storico. Termoli città di passaggio per i pellegrini medievali diretti e provenienti da Gerusalemme si riformatta in età contemporanea in città di passaggio: gente che arriva e riparte verso le tremiti, forza lavoro che si concentra nella nuova urbanità per poi, a sera diramarsi silenziosa nelle campagne. Il luogo è largo ed è lungo, si fa vedere. Da qui si percepisce il pianeta, il paesaggio va verso l’orizzonte e si fa ancora ascoltare. Questo è il lato musicale della mia arte. È questa la mia composizione archetipale. Della memoria, la mia e della collettività ma credo un po’ di tutta Italia.
Alla prossima settimana (www.criticart.it)