IL QUARTO STATO di Antonio di Pietro da Montenero di Bisaccia
Antonio PICARIELLO
Oggi mentre parlavo con un carissimo amico mi sono voltato e all’improvviso è apparso “lui” come in una magnifica canzone di Fabio Concato per il telefono azzurro “[…e all’ improvviso arrivi tu, un manifesto in
mezzo agli altri… (continuo perché la canzone mi piace ) – su quel faccino quanti pugni quante botte ma lo sai che ti potevano ammazzare su babbo smettila di bere non mi picchiare un’ altra volta che ogni volta ho piu’ paura e quando cerco di scappare
non arrivo mai alla porta mi raggiungi e sei una furia non c’entro niente coi tuoi guai non c’entro con
i dispiaceri non ti ricordi ieri che mi portavi al mare ( ecco ) ]- una canzone di fine secolo scorso che combatteva la violenza sui bambini. Poi quella violenza è diventata la violenza sulle donne, e poi la violenza si è diffusa nella società e tutti sono diventati violenti come in un racconto di Woody Allen per Zelig, il suo miglior film realizzato :” Ho 12 anni. Vado alla sinagoga. Chiedo al rabbino qual è il significato della vita. Lui mi dice qual è il significato della vita. Ma me lo dice in ebraico. Io non lo capisco, l’ebraico. Lui chiede 600 dollari per darmi lezioni di ebraico”. Qui il manifesto era di Di Pietro e emulava il quarto stato di Pellizza da Volpedo. Un Antonio che ciazz’ecca centrale con pantaloni neri camicia bianca e giacca a tracolla per fare il verso, maggiorandolo in forza espressiva, al manifesto con cui Michele Jorio ha pubblicizzato la sua ultima candidatura. È bastato voltarmi per capire il direttore creativo che ha realizzato la comunicazione è qualcuno che ha le palle solide. Ho pensato anche; finalmente l’arte entra in Molise per dare voce ai politici che fino ad ora hanno vissuto di cacicavalli e pollastri mantenendo saldo il proprio grado di conoscenza in fatto di cultura artistica. Dopo questo, “Il Quarto Stato” aprirà le porte alle discussioni, per forza o per amore perché la marcia del socialismo non potrà più essere ignorata dimostrando la mancanza minima di conoscenza come quando le jene hanno fatto capire agli italiani, intervistando parlamentari e politici in occasione dell’anniversario dell’Unità di Italia, che di conoscenza e cultura, sugli scranni da 12000 euro mensili, ne gira poca. Dopo questo manifesto i dirigenti e i segretari di partiti dovranno istruire dei corsi d’arte per non far passare per pecoroni i loro seguaci genuini. Allora apriamo un primo intervento sulla storia del quadro e del divisionismo, movimento artistico cui apparteneva come maggiore esponente insieme a Segantini, Pellizza da Volpedo (Volpedo, 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907- Volpedo, Volped in dialetto locale, è un comune di 1.236 abitanti della provincia di Alessandria in Piemonte). L’opera ha una genesi particolare che va dal 1892 al 1901, per una prima parte, e dal 1901 ad oggi che con di Pietro ritorna nella sua funzione rappresentativa di un’identità pop-italy che merita per onore e qualità umana. Negli anni Ottanta la direttrice delle raccolte civiche “impone” il quadro trovi una sua collocazione fissa nella Galleria d’Arte Moderna dove è rimasto per lungo tempo fino all’ultimo trasloco indirizzato al Museo del Novecento aperto nel 2010. Il quadro che Pellizza realizzò nel 1901 deve la sua incarnazione ringraziando altre opere precedenti che si sono sacrificate nel quasi silenzio per permettere alla vita del Quarto Stato di divenire emblema di un’epoca, il ‘900, di un movimento, il Divisionismo antiaccademico e anticlassico che apre la strada già tracciata sul manifesto de” Le Figaro” parigino, al manifesto del Futurismo di Marinetti e a Boccioni che ritroviamo in effige sull’Euro dell’Italia affogata di debiti, e al realismo sociale con un figurativismo carismatico che faciliterà il presenzialismo guttusiano nelle file del partito comunista italiano equilibrando l’ accanita disputa tra i sostenitori dell’astrattismo e i manutentori del figurativismo tradizionale. E in questa disputa ha capitale investito anche il territorio molisano che, come riferisce Lino Mastropaolo, un paio di opere di Guttuso presentate alla nuova apertura della sede del Partito Comunista, non si sa come siano finite poi a far da recinto di un gregge di capre. Il Quarto Stato prende vita nel 1892 quando Giuseppe Pellizza da Volpedo decide di affrontare il tema sociale con un’opera dal titolo “ Ambasciatori della fame”, per denunciare le condizioni di miseria dei lavoratori di fine Ottocento. Vi sono rappresentati tre uomini in un ambiente agricolo, probabilmente Volpedo paese, con Le tre figure poste al centro del quadro in preludio all’impianto costruttivo dell’opera finale del 1901. È l’inizio di un carriera iconica che parlerà per sempre il linguaggio riconoscibile dell’artista che fatalmente, in affinità con i messaggi incorporati nelle sue opere, morirà suicida nel 1907 dopo la delusione alle sue aspirazioni umane ed artistiche che impiantavano l’idea che il Quarto Stato avrebbe dovuto trovare subito un acquirente che non ci fu mai se non dieci anni dopo la sua scomparsa, nel 1920 quando, per sottoscrizione pubblica cui parteciparono banche, associazioni e cittadini, l’opera fu acquistata dalla città di Milano per 50.000 lire. E poi dicono che le banche sono prive di cuore…. Il Quarto Stato che come si è detto è partito dall’opera “ Ambasciatori della fame” si è modellato su l’opera Fiumana del 1895 oggi conservata alla Pinacoteca di Brera e da cui, credo, il manifesto dipietrino prende riferimento, matura con l’elaborazione raggiunta nel Cammino dei lavoratori del 1899, e infine si realizza nel Quarto Stato concretato nel 1901. In un primo tempo viene esposto presso il Castello Sforzesco, diventando ben presto icona e logo per il partito socialista ed i sindacati, ma il tema sociale, sarà anche il motivo per cui all’avvento del fascismo, dalle sale del castello, si ritroverà stipato in un deposito, finché il sindaco Ferrari collocherà l’opera presso Palazzo Marino in una sala consigliare. Nel 1954, l’opera riprende la sua forza di simbolo politico e di rinascita dopo la tragedia del fascismo e della guerra. Allora, beati loro, nelle sale consiliari si poteva fumare liberamente e il fumo danneggiò molto il quadro che richiese l’intervento di un restauro. Al seguito partì in tournée per Washington, poi Roma, fino agli anni Ottanta quando trovò casa nella Galleria d’Arte Moderna, da cui è stato spostato, come si diceva, al Museo del Novecento. Il Quarto Stato raffigura la conclusione di un secolo e la fine della pittura di Accademia; un capolavoro spesso dimenticato ma che di Pietro ha rimesso in circolo partendo proprio da una terra agricola, la sua, tanto simile a quella di Volpedo. A volte i manifesti servono anche a questo, a rigenerare involontariamente nella coscienza collettiva un vigore sotteso all’identità di un popolo che manovrato e fagocitato continuamente dalle spire pubblicitarie e dai facili linguaggi del convincimento spesso, per diverse motivazioni indifferenti all’intenzione comunicativa, scatenano una sorta di chimica interiore e allora avviene qualcosa che tutti conosciamo e che da anni aspettiamo come zombi rassegnati alla fermata di un autobus a cui è stato imposto un percorso diverso da quelle che sono le nostre oneste informazioni. Sperando che il rabbino, per spiegarsi il senso della vita, non ci chieda 600 dollari, immaginiamo il cruscotto del bus che sta ora girando l’angolo e che abbia stampato sul vetro il Quarto Stato, quello vero, di Pellizza da Volpedo. In fin dei conti anche le caciotte servono ad alleviare la tristezza dell’attesa.