La 50esima Biennale di Venezia in Molise

Presentazione di Gino Marotta

In coincidenza con la manifestazione “Sensi Contemporanei”, promossa dalla Biennale di Venezia, dal Ministero dei Beni Culturali e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per sensibilizzare le regioni del centro-sud d’Italia agli eventi dell’arte contemporanea, la Regione Molise, in collaborazione con l’Università degli Studi del Molise, il Conservatorio Perosi, altri Enti e con il generoso contributo di alcuni artisti e intellettuali riuniti in un rappresen¬tativo comitato scientifico, ha promosso alcune iniziative culturali volte a censire e conoscere le realtà delle arti visive e della musica nella regione. In questa occasione sono emerse con evidenza le capacità di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione degli eventi, superando le molte inevitabili difficoltà con grande entusiasmo e semplicità, e in particolare di Nicola Magri che ha coordinato la non semplice macchina organizzativa. L’Università degli Studi del Molise ha concesso gli spazi della Facoltà di Giurisprudenza non solo per la centralità urbanistica rispetto al contenitore scel¬to in precedenza, per altro restaurato come previsto e immediatamente disponibile, ma anche per calare un evento di questo livello in un luogo di ricer¬ca, dove giovani studenti e docenti hanno avuto il modo più diretto di partecipare dei beni di un’epifania culturale unica. Credo sia un buon segno che l’Ateneo abbia un ruolo partecipativo costante nelle varie manifestazioni culturali della regione. I risultati di queste iniziative si sono configurati come un utile e significativo monitoraggio dello stato dell’arte nel Molise. A Termoli è stata allestita la mostra “Genius Loci” curata da Lorenzo Canova, dell’Ateneo molisano, esperto animatore di avvenimenti artistici di livello internazionale, con il contributo di un comitato scientifico costituito da Nino Barone, Achille Pace, Antonio Picariello ed Ernesto Saquella. Sono state così raccolte numerose opere che, senza entrare nel merito di tendenze e specifici orientamenti artistici, hanno consentito un censimento di tutto quanto esiste e si agita nei diversi ambiti delle arti visive contemporanee del Molise.
Questo catalogo contribuisce alla conoscenza del lavoro dei tanti artisti che operano nella regione e resistono all’isolamento territoriale.
La mostra di Termoli ha avuto un’importante appendice d’incontri e dibattiti pubblicati in una specifica sezione di questo catalogo.
L’Orchestra Regionale del Molise, guidata dal Maestro Franz Albanese, si è prodotta in una performance musicale che ha visto l’impiego di strumenti atipici o non consueti per orditure musicali di non comune frequentazione, che ha costituito un interessante momento di verifica dello stato delle cose nell’affermazione e sviluppo delle culture immateriali che nel Molise hanno una notevole consistenza e tradizione. Da queste iniziative si dovranno trarre indicazioni e suggerimenti per i futuri progetti culturali che dovranno mirare soprattutto alla qualità alta delle pro¬duzioni artistiche senza inciampare nella cultura del sospetto e dell’approssimazione.
Questa esperienza ha messo in luce come sia possibile realizzare attività culturali di pregio mettendo in campo le varie personalità e le strutture esisten¬ti nel territorio e superando le tradizionali e nefaste divisioni.

A te caro Gino per quanto ci siamo potuto dire e dare in tutti questi anni offro lo stesso testo che scrissi alla scomparsa di Lino Mastropaolo con cui pure hai avuto molto in comune, nel bene e nel male. Stammi bene…. Antonio Picariello

A Lino Mastropaolo con i nostri Archetipi di sempre.
di Antonio Picariello (Dall’Almanacco del Molise 2001)

…”E’ molto probabile che gli archetipi posseggano in quanto istinti un’energia specifica che a lungo andare non può venir loro sottratta. Normalmente l’energia peculiare dell’archetypo non basta a farlo emergere dalla coscienza. Gli occorre a questo scopo un determinato quantum di energia che fluisce dalla coscienza all’inconscio, sia perché la coscienza non utilizza questa energia, sia perché l’archetypo l’attira a sé. L’archetypo può essere privato di questa carica aggiuntiva, ma non della sua energia specifica. (Jung)”

Gli artisti non muoiono mai. La loro stessa natura paradossale li porta a rinascere appena restituito il respiro di una vita votata alla creatività. Sono esistenza missionaria basata sul dare e sull’essere poi, forse, sull’avere. Emuli della semantica di Prometeo hanno l’obbligo di trasmettere agli uomini, intesi nella loro composizione di bios e anima, il sapere della bellezza sussurrata alle loro esclusive menti dagli dei. Non riesco ad ipotizzare la specie umana senza artisti. Continuo a vedere il prodotto di una natura mostruosa fatta di istinti primari e soprattutto mancante di qualunque idea di sensibilità e di amore…. Tante volte con Lino Mastropaolo che adesso “guarda” da oltre l’arcobaleno, dal segno mitico portale di colore che congiunge il cielo degli dei con la terra degli uomini, c’è stata conversazione su questi argomenti. Ora in un lampo di memoria, come energia archetypa che ci accomuna, passano immagini di sollievo e di velata amicizia come luce lunare che racconta di riflesso che qui c’è stato il sole e ha lasciato una tenera passione fatta di opere pittoriche, istallazioni, schizzi, disegni ideazioni e famiglia riportata nel segno sottoforma di saudade brasiliana e di antica sapienza molisana. Qui c’è stato Lino Mastropaolo che anche se così cantato suona ottocentesco, ancora vedo a dorso nudo sull’ impalcatura come in una nota canzone sud americana che dipinge un muro nella sua città di mare. Non a caso quella manifestazione aveva titolo : “Muri scritti, memoria dipinta” e adesso ritorna viva e sostanziale come significazione di un evento che ha lasciato traccia e indizi così com’è il gioco degli artisti, com’è (stato) il satirico gioco provocatorio di Lino. Il cretto candido di Burri fra le rovine terremotate dell’antica Gibellina in Sicilia sembra un’antica immagine del Molise. Uno scorcio di ricordo d’infanzia che passa tra calcinacci della piazza di Ururi suppurata dai pali di legno e un tuo racconto “visivo” un po’ dark, almeno nel colore metonimico che ne ho ricevuto mentre lo mimavi. ”Quann’ero wajoone, sette o otto anni,, mi è capitato un grosso guaio, n’u cane grusso e nir m’a mm’occiccat.” Il racconto continua con la descrizione in primo piano della bocca di questo mastino con le fauci aperte sulla faccia del bambino, la futura firma d’arte molisana che ne riceve un trauma fortissimo vicino alla paralisi e che lo porterà cinquant’anni dopo alla morte. Prese l’ “Ittero” successivamente “incantatogli” da una brava curatrice che per quanto occulte, almeno in Molise sanno il fatto loro. Questa storia la conoscevo, forse per volontaria omissione del restante, solo fino a qui, non l‘ avevo collegata alle conseguenze di salute che dopo l’incontro e la rivelazione di sua moglie, Rita, diventa chiara come un’eziologia che narra tutta l’0pera dell’artista in convivenza esistenziale con i fantasmi di questo episodio. L’avvenimento accadde a Pisa, mentre il ragazzo era in commissione per conto di una sua zia: “doveva comprare della pasta che la chiamano con un nome diverso da qua, e in quel negozio la smemoranda del molisano aveva probabilmente caricato di tensione muscolare rilevata per strada poi dal cane nero che l’aveva aggredito. Un’ipotesi intellettuale, reale quando si pensa che lo stadio terminale dell’artista si conclude proprio a Pisa prima di ritornare eterno nella sua Campobasso. Mastropaolo è un artista delicato, come tutti i gentili molisani, ricopre con una scocca arroventata l’animo sensibile che possiede. Lo testimonia la sua composita camminata, distinguibile in quella del curioso osservatore, dell’uomo che guarda e va. La sua parlata accesa, la mimica concreta e teatrale, intesa accademica, alessandrina capace di trasferire in stile commedia dell’arte personalizzata, l’immaginario comune in analisi e riflessioni di alto valore creativo. Ed è il pensiero di Mastropaolo tra i più dinamici della nostra contemporaneità. Indagatore fino allo scandalo provocatorio non lascia mai orfano un dubbio. Amante dell’ossimero e dell’iperbole sonda come un segugio campobassano ogni proposta d’arte. Il periodo Pop che a rivederlo nonostante io lo preferisca meno della sua finale arte archetypale, tra oggetti carichi di storia e di forme animistiche, oggi quell’uso del consumo anni sessanta elicita gioia e freschezza tipica di quegli anni come i Pasolini del fiore delle mille e una notte, un Tony Cucchiara e “una rotonda sul mare” di BuonGusto molisana nella balere dei vitelloni felliniani. Lo stesso tempo in cui Gino Marotta anticipava la ricerca artistica nel mondo e Pirsen scriveva lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Ma anche allora, e adesso lo sappiamo, quel cane nero di Pisa era occulto nei gesti e nella produzione come un mantra molisano racchiuso con la stessa qualità tibetana nel cuore di chi è nato nelle regioni centromeridionali e nel Sud. Mi corre l’obbligo ripetere in una sorta di linguaggio che mi sento fermentare addosso, la descrizione di questo uomo amico, ironico e satirico di grande intelligenza curiosa e temeraria. Capace anche adesso nell’aria… di…. Provocare. Punto. E’ Tipico di chi è compiuto di vivace cultura, e qui c’è un’anima che ne possiede una tra le più raffinate del Molise e d’Italia. Con Archetyp’Art ci siamo incontrati e associati. Abbiamo mescolato in un punto regionale le nostre precedenti esperienze. La mia di critico antropico, sortito dalle avanguardie italiane della semantica e un arcipelago francofono dell’ Oceano Indiano che si riorganizza con gli artisti e gli editori del Molise, tra questi Lino, adesso Rita, suo cognato Nocera e l’artista che ci riunisce sempre Barone. Abbiamo sperimentato e applicato quello che è il solo compito di un gruppo culturale: la ricerca, percorsi che portano a idee o che riportano coscienza tramite la creatività e il sapere. Ci vuole coraggio e consapevolezza: occorre come si è gia fatto nelle tante mostre comuni, lavorare di minimalismo ed di euristica, di getto e di decoupage, giocare con gli eventi tramite ciò che si è, utilizzando tutto ciò che si ha….lo testimonia l’ultima produzione dell’artista; una lettera per l’arte molisana, due pezzi per le poesie di Cerio, e poi e poi e poi, come in una canzone di Mina…. Tanto concretizzava Lino nelle sue are. Altari sacrificali, in principio di ricordo: mio padre ha, aveva, mio padre è, noi tutti siamo in questo tempo medianico tra un passato e un adesso, solo perché siamo vivi, solo perché lo sappiamo.
Un testo scritto per “Il Bene comune” e che non ricordo sia stato pubblicato…..

Gino Marotta a Castelli, estate 2002.

Gino Marotta è tra gli artisti del mondo uno dei migliori. Si potrebbe documentare con carriere e curriculum ma qui assumerebbero l’aspetto della storiografia potente, quella che definisce la storia dell’arte contemporanea ( XX e XXI sec.). E’ invece tatticamente sufficiente posizionare in questo discorso due o tre elementi che gli appartengono e che lo distinguono, per carisma, dal resto dell’umanità. Gino Marotta ha qualità contemporanee tipicamente rinascimentali, e dei viventi del tempo chi meglio lo identifica e l’idea semantica michelangiolesca. Sarei più fedele alla sua identità (di G.M.) se parlassi di personalità berniniana, ma fa comodo, alla mia idea, sottrarlo dai periodi storici consolidati per immetterlo in una dimensione temporale di tipo metamorfico, come il tempo che vuole trasformazioni e tropismi tra medioevo e rinascimento come il nostro tempo appunto. E qui andrebbe detto che noi viventi siamo obbligati per dovere generazionale a dare valore al contemporaneo stracciando, una volta per tutte, l’ipoteca che ci annulla storicamente e che ci illude di farci vivere di rendita sul passato, sulle “imprese realizzate” dei padri e dai nonni. Non mi porta preoccupazione intellettuale avvicinare, senza timore, Gino Marotta alla figura di Michelangelo per via del metodo della ricerca istintiva che li accomuna. In entrambi la potenza creativa passa prima dalla forza del cuore, il loro pneuma, poi dal setaccio cerebrale, si modella nella tecnica avanzata, solidifica nel mito e diventa rituale. Tanto è quanto si propone questa riflessione; parlare di un evento, di storia dell’arte allineata come perle per darci il gusto di vivere nella bellezza: la nostra, non quella dei predecessori… Davanti alla commissione della creatività, sia il rinascimentale che il contemporaneo sono verità produttiva oltre ogni limitazione e paura. Un esempio deduttivo. Il giurista Michelangelo di origini nobiliari diventa scultura per apprendimento da uno scalpellino,e non credo sia stata la ragione a dettargli il divenire esistenziale. Lo stesso avviene per Gino Marotta. Dall’odore folgorante di un tubetto di colore trovato per caso da bambino nelle strade di Campobasso, rosso di cinabro appunto, ai testi di storia dell’arte degli studenti del mondo. Tanto breve è il percorso nel dire tanto grande è il nome che ci rappresenta per forza e per potenza nel mondo.
La sua idea creatrice anticipa, e per onestà critica bisogna urlarlo, ogni ricerca. Se lo scultore Michelangelo non provò titubanza a misurarsi con la pittura nel massimo tempio della cristianità, Gino Marotta non ha mai tentennato nello sperimentare e formulare di tutta l’arte nel tempo e nello spazio. Dalle moschee alle vetture, dalla ricerca chimica per il colore applicato “all’arte industriale” al teatro. Dalla scrittura al segno, al modello, dal simbolo all’educazione non c’è settore vuoto nell’anima di Gino Marotta. Si potrebbe azzardare un accostamento che vuole esperienza e documentazione vivente convogliate nell’entità dell’artista rendendolo unico, almeno in Italia, nel sapere e nel conosce direttamente per averlo vissuto in compagnia dei più grandi poeti, pittori disegnatori progettisti architetti e…. E’ probabile (dimostrabile) che dietro la grandezza delle prime opere di Burri ci siano i Bandoni, o davanti alla precisione spaziale di Schifano ci sia il coraggio visivo dettato da Marotta, così come a fianco alla suprema indefinibile identità teatrale di Carmelo Bene ci sia la risolutezza artistica di Gino Marotta. Con lui il teatro si fa vestito, lo spazio scenico diventa parola e la parola verità teatrale.
Se Gino Marotta usa la scrittura, Stile e Linguaggio abitano per qualità e chiarezza, per la mia umile condizione di lettore, sul terrazzo della casa mondiale della scrittura. Narrativa, saggistica o atro che sia… se il pennello la casa diventa della pittura, se lo scalpello diventa la casa della scultura, se parla diventa il luogo dove abita il discorso per natura senza imposizioni….
A Castelli, dai cugini abruzzesi, c’erano molti molisani all’overture di rurale. Sabelli, Barone, Ruggeri, Giannubilo – FAVORE AGGIUNGETE VOI IN REDAZIONE I NOMI –
Il luogo di esposizione è una chiesa, davanti c’è una curva alle spalle la maestosità della montagna. Nell’atmosfera domina il cuore antico della ceramica. Prima di Faenza, per cronologia, Castelli è per antonomasia la Ceramica. Napoli settecentesca, Caserta, l’ Europa scorrono lungo le stradine del paese nelle vetrine in odore di santità. Onore italiano superbo sapere la ceramica castellana come nella lettera del Presidente a Marotta che gli riconosce i meriti ufficiali, istituzionali e personali, dell’arte italiana. Gli fanno seguito con chiarezza e misura il sindaco, il rappresentante del governatore, il critico e altri ancora che di Marotta portano nelle ossa l’insegnamento inteso come periodo aquilano, il mal d’africa, di gino Marotta che ha prodotto risultati visibili a naso, qui, ora mentre si conferma nelle opere, o meglio nell’opera in ceramica, la grandiosità di essere l’arte nella gestald e nel tutto. Azzardo un’ immagine metaforica molto personale per definire per tutte le età e per tutti gli approdi, l’idea sensibile che respira nel ventre della chiesa che contiene l’istallazione in ceramica di Gino Marotta. Non so trovare più potente il paragone con la sensazione provata (e qui mi scuso se qualcuno può fraintendere pregiudizievole l’episodio) che lo stato d’animo soffocante di felicità che ha Geppetto nel vedere, nel ventre della balena che lo ospita in solitudine da tempo, Pinocchio. Amore, credo possa definirsi questa dimensione. Ed è amore che l’artista emana con la sua opera, una dedica poetica a sua moglie. Non descrivo quanto viene presentato perché sminuirei la portata. I molisani hanno fatto promessa di portare l’evento da noi…. Racconto solo un particolare che mi è rimasto attaccato nella memoria e non riesco più a liberarmene. Mentre si era in attesa per andare dal restante luogo d’esposizione, davanti al duomo nella piazza principale di Castelli, Gino Marotta in complicità con sua moglie Lisa rivolgendosi allo sguardo poetico e perplesso di Giannubilo gli ha confessato che avrebbe voluto chiamare l’opera che andavamo a visitare con il suo nome, per simpatia econica: I Giannubili, steli in ceramica in forma di palme.
Qualunque cosa io adesso incontro che ha quest’aspetto mentalmente la catalogo nella sezione: i Giannubili di Gino Marotta. Credo questa sia l’arte di inventare il mondo…..credo sia questa l’arte.
Antonio Picariello