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La danza dell’ultima polvere elettrica della sera

Il presente lavoro è una ricognizione attorno al tema della lontananza-vicinanza acustico visiva del paesaggio, assieme alle musiche eseguite dal gruppo che si è formato attorno al progetto L.E.E.D.D.
Esso fa parte di un progetto d¹opera audiovisiva, “L’ultimo sguardo di Orfeo”, che fa capo al tema della  visiva e della voce sonora del paesaggio, e alla conservazione di uno sguardo e di un ascolto sul mondo attraverso la loro consunzione. La composizione di questo lavoro tiene assieme il piano acustico e quello visivo in modo indissolubile. Nella forma di questo concerto la musica è in parte affidata  al gruppo L.E.E.D.D.
Dentro quest’opera vive una trasfigurazione, un viaggio che vive in una serie di frammenti esposti in una sequenza irripetibile. Dico irripetibile perché il progetto definitivo prevede una multivisione di elementi audiovisivi permutabile ad ogni esecuzione dal vivo. Esattamente come accade per la memoria e le sue capacità di raccontare per immagini, ogni volta rinnovantesi nel loro ordine precario, legato allo sforzo rammemorante.
Riprendere-ricordare-rammentare un paesaggio attraverso l¹occhio della telecamera per dare testimonianza di variabilià costante di visioni e degli ascolti.
Nel flusso immagini-suoni emergono superfici, strati su strati di materiali esposti per velature di colore e trasparenze. Il lavoro avviene per dissolvenze, sovrapposizioni di sequenze, ghostings, sfasature d¹immagine che vengono vissute come difetti di visione, difetti di memoria: perdite di equilibrio visivo e quindi aperture verso altri equilibri, altre visioni o altri ascolti.
Tutto quello che, come Orfeo, osserviamo porta il segno della consunzione, dentro di sé e nello sguardo stesso: guardare il paesaggio significa anche “perdere” la forma del paesaggio stesso e affrontare la sua metamorfosi.
Lo spazio di questo frammento di lavoro è quello di geografie reali che si snodano tra Milano e Marghera: i residui industriali e le architetture che colorano e strutturano, con la loro consistenza-inconsistenza, i pieni e i vuoti del flusso filmico fanno capo ad una sorta di ricomposizione del paesaggio-spazio esploso-frammentato e ricomposto attraverso il montaggio audiovisivo.
L’esigenza che muove questo lavoro è quella di definire i luoghi di risonanza di una memoria legata al paesaggio e alle metamorfosi che esso porta con sé e provoca: nei primi anni 80 venni ad abitare a Mestre e osservando a sera il cielo che stava sopra la stazione e la mia casa vicina, vedevo una luce particolare e a tratti quasi bella. Vedevo i colori che il cielo prendeva da quella luce formata dall’illuminazione della stazione, dello scalo, dal porto e dalle fabbriche di Marghera. Il prodotto estetico che io fruivo era il risultato di un paesaggio industriale, l’ambiente che stava vicino a casa mia: ne percepivo luci e suoni lontani. Tempo dopo scoprii che la luce di quelle sere e notti era data anche dallo sbocco dei fumi di alcune fabbriche di Marghera: polvere ed elettricità di quelle emissioni luminose e dannose allo stesso tempo. Da queste immagini venne l’idea di ricostruire un paesaggio visivo e acustico che avesse come fonte “la danza della polvere elettrica della sera” con i suoi colori, suoni e nello stesso tempo consideravo che quell’ambiente era fonte di emissioni nocive per chi viveva vicino ad esso. Fruire di quel paesaggio, lavorarci dentro, viverci significava consumarsi dentro di esso respirare quella polvere e vivere dentro quella forma di elettricità area. Il mio lavoro acustico visivo è un tentativo di riconoscimento di questo  mondo, per costellazioni di immagini e suoni.