pcMessaggio per Bertozzi e gli inisti
Gabriele-Aldo
Ho ricevuto stamattina Bérénice, speditami il 6 ottobre da Angelus Novus, sul Convegno per il 25ennale dell’INIsmo tenuto nel maggio 2005.
È un bel librone! Non mi è piaciuto il tuo Editoriale, e mi dispiace che tu abbia detto alcune cose che potevi anche risparmiarti.
trightTi ringrazio per i tuoi apprezzamenti sull’esercizio della mia “sensibilità critica”, ma non so a cosa ti riferisci quando accenni alla tua “non condivisione” di molte mie interpretazioni. E allora perché pubblicare il mio testo? Io ne avrei fatto volentieri a meno, come ti scrissi a giugno prima della pubblicazione degli atti, ignaro del tuo giudizio. L’uscita del mio scritto in questi Atti non mi ha cambiato la vita, anzi avrei fatto volentieri un uso migliore di questa relazione che avevo scritto per l’INIsmo, ma sapevi anche che, riciclandole, ci avrei guadagnato qualcosa, almeno l’amicizia, come ti dissi, dal momento che vi è nelle Marche un movimento artistico simile all’INIsmo che si chiama Infinitismo. E, poi, perché hai pubblicato il testo senza neanche avermi fatto correggere e revisionare le bozze. (Devo allora sospettare che, come al solito, decidi tutto tu senza diritto di replica, facendolo passare per tatto azioni che servono per ferire senza poi spiegare all'”amico” cosa tu stia tramando. Altro che Anarchico, sei un Fascista! Questo tuo atteggiamento lo analizzo e gli do lo stesso valore di nascondimento attraverso cui Deleuze individuò una traditrice del pensiero, mi riferisco alla sorella di Nietzsche, Elisabeth-“giuda” Foërster-Nietzsche. Deleuze, nella sua mirabile critica, ripropone in Appendice del suo libro Sur Nietzsche, le osservazioni che Georges Bataille fa in “Nietzsche ed i fascisti” e, a tal proposito, di questo autore, ti sottolineo specie il capitolo “Note per gli asini”, in cui egli ha dimostrato come il filosofo tedesco non avesse nulla a che vedere con il fascismo. So, inoltre, che il tuo mestiere di creativo è in disaccordo con il tuo essere un critico, perché giudichi benevolmente quello che tu hai creato. Ti ricordo che già Platone nel Fedro metteva in guardia da certi atteggiamenti di voler essere critici e artisti contemporaneamente. È quanto si ricorda nel famoso e ritrito passo sulla nascita della scrittura, quel dialogo tra Teuth e Thamus, in cui il filosofo afferma che “alcuni sono preposti ad inventare, ma altri giudicano”, pertanto, se non desideravi quella mia critica, bastava estrometterla. Eravamo contenti entrambi (ignorare è il miglior disprezzo – diceva mia madre). Ciò che mi dispiace è perché dire, di quello che ho scritto, nel bene male senza spiegare a tutti il perché. Mi rendo conto che tutto ciò che fai è a titolo gratuito e, inoltre, ostinato, non hai voluto ignorarmi.
Ed è con gesto benevolmente gratuito che mi permetto di cogliere l’occasione per insegnare, a te, già Preside di Facoltà a Pescara, e a tutti gli amici INIsti, a cui invierò questa lettera, qualcosa che ho detto solo velatamente sul concetto d’Avanguardia e, anche per togliere a te ed a loro qualche illusione perché, nel Terzo Millennio, non è passata alcuna Avanguardia; per ora nello scenario internazionale sono presenti solo Movimenti, e, anch’io, per eccesso di generosità, ho attribuito il termine Avanguardia agli INIsti, e, purtroppo, sono l’unico che ha tentato di ricostruire una spiegazione (o giustificazione, nel senso filosofico di Popper,) logica.
Tutti i frequentatori e critici del mondo dell’arte sanno che le avanguardie sono Futurismo Dadaismo Surrealismo, molti annoverano, come me, anche il Cubismo per le contaminazioni, che questi Movimenti artistici hanno subito nel corso della loro storia della rappresentazione, dai movimenti politici rivoluzionari presenti allora nel sociale. Dal 1945 ad oggi, tutti gli altri firmatari di manifesti sono annoverati come partecipanti a Movimenti, senza più la forte connotazione politico-rivoluzionaria che contraddistingueva le Avanguardie storiche, nonostante che alcuni di questi sono stati influenzati dal movimento situazionista, che era anch’esso un gruppo di teorici e d’artisti politicizzato.
Avendo tu usato, per indicare il “tuo” movimento, il termine Avanguardia, io ho cercato in esso quali fossero le caratteristiche comuni alle altre Avanguardie, quelle cosiddette storichesid4338800 . I manifesti INIsti sono, però, carenti di un accenno a Marx o all’anarchia socialista o alla vera rivoluzione socialista degli uomini, quest’ultimo termine (rivoluzione) è il concetto copernicano, analizzato ad esempio da Koyré (attraverso riferimenti tra scienza tecnica e filosofia) e da Vicentini (in teatro, specie sul futurismo e filosofia morale), legato a quello d’avanguardia. Il termine rivoluzione, poi, è da considerarsi anche “il male infantile del comunismo”, pertanto l’altro termine Avanguardia, appioppato a quegli artisti, aveva anche un significato negativo per gli stessi partecipanti al Movimento socialista. Qui entreremmo in discussioni storico-politiche sulle forze rivoluzionarie, che chi non ha studiato con il più grande esegeta italiano dello scorso secolo del comunismo, il filosofo Valentino Gerratana, le considererebbe noiose. Lo so che tu sei artista e non puoi esercitare la critica teoretica, quella che alcuni giudicano “la vera e l’unica” per comprendere come si manifestano i racconti dei drammi (da dran = agire, ti ricordo che qui uso il termine come nella Poetica di Aristotele) della vita, perché sei anche uno storico della letteratura. Fai parte, cioè, di quella schiera di persone che noi, che proveniamo dall’estetica, quella alta che si rifà alla filosofia teoretica, quando parliamo della ricerca condotta da storici dell’arte o di letteratura, è solo per ricordare chi tra loro meglio individua le fonti, comunque, su questi storici il giudizio è sempre lo stesso, al massimo, “sono diventati esperti nel porre le etichette delle date alle opere (o ad azioni, o ad eventi)”.
Mi sembra, che devi, ancora, stabilire che cosa vuol dire, oggi, nel tuo vocabolario, il termine Avanguardia, (forse non lo dici perché non lo sai neanche tu?). Se vuoi un consiglio disinteressato, fai un manifesto sul tuo modo d’intendere l’Avanguardia anche divergendo da tutta la critica nazionale ed internazionale che ora conta, pertanto noi, miseri mortali esperti nell’esercizio della critica, potremo così scoprire nuove piegheharrsid4338800  (Derrida) interpretative, e saremo contenti di estendere il significato del termine ad altri segni territoriali (Deleuze), grazie a te e tua scienza.
Ti ricordo, inoltre, che se fai delle osservazioni “sulle molte mie affermazioni” presenti nella mia lettura di “Apollinaria Signa”, senza poi esporre in particolare ciò che pensi diventi, intellettualmente, scorretto, non dandomi il diritto di replica e di confronto; ma, dimenticavo, forse tu sei quel “sommo genio” o quel “vate” come quel D’Annunzio, poeta, della tua città d’adozione? Mi sembra, poi, che tutto per te è frutto di rivelazione, è scienza infusa, che scenda dall’alto di una torre… “di Babilonia”, come la Poesia, che o la si ha o non la si ha? (Se poi, ben ricordo, La signor Proteo, quando una donna accende la luce… muore la poesia e davanti a te la femmina scompare… Questo vuol dire solo, per me, – ma non per Freud – che il sapere e l’illuminazione hanno brutte influenze sul tuo rapporto con le donne). Questa mia reazione potrebbe sembrare esagerata, ma non è così.
Sebbene tu abbia voluto semplicemente testimoniare la “non condivisione” al mio scritto, per me, avresti dovuto ignorarlo, per correttezza; dal momento che avevi già fatto una scorrettezza quella di pubblicarlo senza il licet dell’autore, e, poi, lì, nel tuo editoriale, chi parla è insieme il docente-critico e l’artista. All’artista, come ho sopra ricordato, è stata tolta la parola critica nella scrittura fin da Platone, perché è coinvolto in prima persona nella sua invenzione; ma quando parla il critico deve relazionare il suo disappunto o il suo punto di vista, altrimenti è un traditore del pensiero, che condanna senza alcun confronto tra i punti di vista, nascondendo il proprio e mostrando la propria passionalità oppositiva gratuita. Hai, così, scelto il ruolo della regina di Picche di Alice nel Paese delle Meraviglie. Ella, nel condannare l’imputato, chiede alla corte “prima la sentenza e poi il processo”. Se volevi sentenziare così, dimostrando che non eri interessato al mio saggio, potevi benissimo non pubblicarlo visto che ti avevo già io chiesto di non farlo; anzi ti ho dato volentieri il licet per cancellare d’un colpo tutte le mie interpretazioni, anche quella sulla Signora Proteo. Sappi che in quel saggio sono stato ancora più buono a scegliere l’interpretazione psicoanalitica vicino agli autori contemporanei, specie quella che passa per Jung ed Hillmann, invece di scegliere l’interpretazione che si fonda fortemente sulla sessualità come in Freud. Freud, tra l’altro, doveva essere l’unico autore possibile, del resto, da usare, se si seguiva il filo sottile che tiene insieme le Avanguardie storiche e, con esse, il discorso sulla sessualità legata alla rivoluzione (ti ricordo qui il Manifesto surrealista del 1924).
Se così fosse stato, allora ne avremmo visto delle belle, seguendo questa analisi, infatti, si sarebbe dovuto andare a ricercare nella scrittura di Bertocci il rapporto tra complesso edipico e sessualità, o la paura di castrazione espressa negli spostamenti linguistici, o quali fossero i suoi rapporti con le donne, tra sogno visionarietà e scrittura… poetica, ecc. Questo per dirti, ancora una volta, che le tue osservazioni-insinuazioni sul mio scritto, con cui tu non sei quasi per niente d’accordo, andavano o omesse, per correttezza, o, se le avessi reputate necessarie farle, le inserivi in una ampia nota editoriale e ne dibattevi, almeno quelle che tu hai considerato le più strane e paradossali; o, ancora, ricordare cosa avresti voluto veramente che un critico dicesse dopo la lettura di “Apollinaria Signa”; e, ancor meglio, sarebbe stato, quello di mostrare a tutti qual è il tuo apparato teorico a cui io non ho fatto riferimento; altrimenti avresti fatto, con migliori risultati e apprezzamenti, a metterti in un cantuccio, da artista, mentre avresti potuto, da critico ospitante, affrontarmi sul piano teorico, in privato o in dibattito pubblico: avresti potuto chiedermi le spiegazioni, adducendo le tue ragioni e i tuoi passaggi interpretativi, o, ancora, volendo essere superiore, ignorare tutto l’evento. Mi spiego, o ti comporti da studioso e fai le obiezioni come si deve, esercitando la critica e raccontando qual è il senso che tu (e gli altri firmatari del manifesto) hai dato alla scrittura INI, oppure stai zitto, che è meglio, perché con il condannare senza obiettare dimostri, ancora una volta, la tua pochezza di uomo e di studioso, ma soprattutto dell’INIsmo.
Io nell’analisi di “Apollinaria Signa” mi sono avvalso dei termini concettuali, che sono stati riportati nella scrittura del manifesto; se, poi, i manifesti da te scritti sono esercizi ludici o approssimativi, va bene. Tutte le Avanguardie hanno determinato le proprie esperienze poetiche nei manifesti e spesso sono esercizi ludici: quella dei Dadaisti, ti ricordo, avviene quando si tagliano le parole di un articolo di giornale e vengono introdotte in un cappello, e, dopo averle mescolate, le si estrae a caso e ne viene fuori un componimento poetico secondo i dettami di questo movimento; o i surrealisti che auspicano che il poeta si rilassasse in un luogo chiuso, tranquillo e ameno, meglio se semibuio, e, poi, scrivesse su fogli di carta parole senza pensare, aspettando che il controllo della coscienza si allentasse e venisse fuori il suo profondo, l’inconscio, attraverso “la scrittura automatica”; o i futuristi con le “parolibere”, che alcuni di voi, specie INIsti italiani, scimmiottano in molte composizioni visive. (A tal proposito, spero che presto a Lecce venga ricordato un caro amico architetto scomparso tre anni fa, Nicola Nardulli, [quello della casa d’arte Nardulli-Bragaglia dell’ultimo futurismo] e, alla cui manifestazione ho dato la mia adesione volentieri per un contributo al catalogo. Egli era arrivato alle “parosintesí” poetiche, strutture organizzate in informazioni tra grafica, scrittura e immagini).
L’ironia INIsta sta in un paradosso che io ho ricavato dal manifesto, che è quello dello scrivere segni-fonemi composti in racconto: questa è, per me, il contributo più innovativo del movimento… il resto è, per me, ripetizione, o come tu hai specificato altrove una “logorrea atrox”. Un’altra novità, rispetto al passato, potrebbe essere nello sviluppo dell’uso della tecnologia dell’informazione (ma se tu non credi a questi allargamenti, va bene; e tu sai che le opere se si continuano a produrre senza i nuovi materiali e nuove forme organizzative si finisce per diventare sterili e ripetivivi e, assomigliare agli altri movimenti o avanguardia, perché sai che ciò che l’INIsmo costruisce, in fin dei conti, il Lettrismo lo aveva  già teorizzato, dopo che lo aveva già fatto il Futurismo; poi, c’è l’arte concettuale degli anni ’70 che aveva già fagocitato tutti i movimenti che si muovevano ancora nell’arte fatta in modo tradizionale (coi colori, pennelli, assemblando collage di varia materia e natura, ecc, per intenderci) mettendo al centro gli slogan, i pensieri, l’informazione contro la comunicazione; ma fa parte del passato anche chi usa i vecchi strumenti della tecnologia per raccontare i fatti delle nuove strutture logiche del logos, come il telefono, la fotografia, il cinema e la televisione; oggi vi sono le neotecnologie intelligenti che formano suoni ed immagini nel computer e si propagano via internet [net art, blog art, ecc.] e le macchine intelligenti dotate di programmi [computer scrittore, computer musicista, computer filosofo, computer pittore, ecc.] in cui gli artisti innovatori si cimentano. Tutte queste neotecnologie sono dotate di memorie e di supporti digitali e di programmi che automodificano le proprie strutture. Per questi nuovi risvolti teorici della filosofia e della ricerca artistico-estetica ti rinvio alla mia raccolta di saggi di prossima pubblicazione – sarà pronto a novembre – dal titolo L’estetica ed il sentire nelle macchine, ti comunico, inoltre, che c’è anche, in Appendice, il mio saggio sul Vesuvio).
La prossima lezione sull’INIsmo credo che me la dovresti proprio pagare, perché c’è chi fa e chi spiega, tu non puoi spiegare niente… sei artista e non teorico. Nell’editoriale, purtroppo, tu ti presenti da teorico, ed io non posso rispondere a coloro, come te, che parlano per assoluti senza alcuna dimostrazione, che non si assumono fino in fondo alcuna responsabilità di crescita per sé e per gli altri, ma si annidano e proliferano nell’indistinto, dove nulla è certo e, pertanto, la versione dei fatti va cambiata a seconda delle persone e delle circostanze. (Sembra che nello scrivere io stia descrivendo un altro fascista che ci ha governato per cinque anni… Berlusconi!). La tua filosofia è uguale a quella dei “quaquaraqua” siciliani, che nascondono i propri atti di sottomissione o, meglio, di essere proni verso gli altri, dietro vuote parole di una vagheggiata forza. (A proposito, ora mi ricordo che dovevo dirti di aver letto anche l’intervento sulla Proteo della Marilia Sabatino – il suo cognome, tra l’altro, è come quello che era di mia madre – e, sebbene non ha fatto riferimento al mio testo, (senza di esso le sarebbe stata ostica la comprensione della piece teatrale, come mi ha confessato in auto, al ritorno da un convegno insieme a Brancaccio, e, questa, è, per me, una bella soddisfazione, al di là che ci sia o meno citata la mia interpretazione nel suo testo. Queste cose significano e m’incoraggiano a seguire la mia strada, ché sono portatore di valori interpretativi forti e sono, nonostante tutto, un segnale per gli altri. In questo modo si esercita la vera critica d’arte, quando un pensiero diventa una struttura operativa che si diffonde, senza nascondimenti. Tu, invece, sei un insicuro pavido perché ha bisogno della schiera, ogni volta che ti muovi).
Io finora ho trattato l’INIsmo fin troppo bene, visto le tante “falle teoriche” grandi come montagne, a cui ho tentato di porre rimedio, mettendo ordine teorico, con la mia interpretazione, senza farlo diventare un “pasto fritto e rifritto” da ingozzare per forza, e cercando in esso il NUOVO per eccellenza.
Tu, intanto, non demordere, secondo i miei scritti sull'”arte e mercato” e sull'”arte e i Beni culturali”, presenti agli atti del convegno dei critici d’arte italiani di Urbino del 1999 e del 2005, – e ora pubblicati anche nel prossimo libro – fra altri 25 anni, se gli INIsti custodiscono fino ad allora le proprie opere, queste potranno essere esposte, attraverso la fondazione di cui l’amico Nicola D’Antuono è ora presidente, “Amici dell’INIsmo”, lo stesso in un museo, perché ogni produzione umana, trascorsi cinquanta anni, può essere conservata come “Bene culturale”, per legge.
Dimenticavo, c’è solo bisogno che qualcuno dimostri e spieghi, criticamente, come queste opere siano state testimonianze rilevanti per l’evoluzione delle informazioni umane. Fra cinquanta anni le opere d’arte e i Beni culturali, grazie alle neotecnologie, saranno difficilmente distinguibili, anche se spero che qualche nuovo teorico che abbia discernimento si potrà formare; comunque ci potremo avvalere di una serie di programmi in un computer che interpreteranno con algoritmi e linguaggi matematici le opere d’arte, al pari di un critico d’arte coevo.
Auguri Bertocci
tuo
Giuseppe
Ps. A proposito dimenticavo, io avevo dedicato comunque il saggio all’amico Nicola D’Antuono, forse, per errore, è stato scritto il nome dell’altro amico Francesco Proia; comunque, non hai neanche rispettato la mia prima intenzione di dedicare a Nicola il saggio. (Le cose non possono andare sempre come tu hai deciso, mi dispiace, perché poi non sai perdere con dignità [ti ricordo i “dispettucci” del bambino capriccioso che non accetta che le cose non vadano secondo i propri desideri]).
Il resto, che io abbia firmato il Manifesto della critica INIsta e poi non mi ritrovi tra i firmatari, non me ne può importare di meno, caro Bertocci… ( ma questo non è un altro “dispettuccio”… punitivo? I tuoi sono proprio i “dispettucci” di quei bambini, che io chiamavo, da bambino, dall’intelligenza nana…
Peccato che non sei cresciuto a Salerno, i bambini come te si sarebbero raddrizzati subito in strada, con gli amici, senza bisogno delle blande carezze dei genitori.

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