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Al Sig. Presidente della Repubblica Italiana

Roma e, p. c,. a varie testate giornalistiche

Oggetto: Lettera (e-mail) aperta di un terremotato aquilano

Caro Presidente, sono un aquilano docg. Tuttora terremotato, come altri 70.000 concittadini. Faccio parte de Il Popolo delle carriole. Partecipo attivamente alle assemblee indette nel Presidio permanente in Piazza Duomo a L’Aquila. Ho atteso con impazienza di sentire-vedere il suo messaggio di fine anno. Mi aspettavo almeno un cenno sulla persistente tragica situazione in cui versa la non-più-mia-fu-città. Tra le innumerevoli pieghe delle sue condivisibili parole, Le rimprovero, democraticamente, di non aver mai pronunciato l’inscindibile trinomio terremoto/macerie/L’Aquila. Mi sono chiesto inutilmente il perché. Gradirei saperlo direttamente da Lei.

Da parte mia La invito a riflettere su un solo dato di fatto. Le decine di migliaia di giovani aquilani (studenti universitari compresi, anche se fuori sede) vivono sulla loro pelle le irrisolte contraddizioni  di una città-capoluogo sempre più somigliante a Pompei. Ebbene. Quei giovani – punta d’iceberg dell’epicentro dell’Italia sfasciata – non avendo più un presente con cui confrontarsi, vogliono riprendere tra le loro mani “l’immediato futuro”. Alla parola d’ordine “Riprendiamoci la città” lanciata a suo tempo a Piazza Duomo, è subentrata, proprio il 31 dicembre, “Riprendiamoci il futuro” (a Piazza Palazzo, recentemente riaperta). Slogan riguardante ovviamente tutti gli aquilani. Anche a costo di essere nuovamente manganellati, fotografati e filmati dalla Digos alla stregua di criminali comuni. Solo per aver abbattuto le grate militarizzate delle zone rosse (di vergogna), aver tolto macerie con le carriole (sequestrate), aver reclamato diritti identici a quelli riservati ad altri cittadini italiani. A proposito di questi ultimi e in materia di restituzione delle tasse a suo tempo sospese, legga con la consueta attenzione il diverso trattamento riservato, nel decreto Milleproroghe, agli alluvionati del Veneto ed ai terremotati del cratere. C’è da restare basiti. Onore, invece, ai trecento pastori sardi, recentemente sequestrati prima e “caricati” poi, dalle cosiddette “forze dell’ordine”. Quegli stessi pastori, all’indomani del sisma del 6 aprile, avevano rinverdito la loro tradizione della “Sa paradura” (la riparazione) donando agli allevatori abruzzesi residenti nel cratere 1.000 pecore. Una sola di esse, vale simbolicamente 1000 volte di più delle “pelose elargizioni last minute” benevolmente concesse dalle dirigistiche, quanto clientelari e propagandistiche ordinanze governative.

Per restituire a Lei, all’Italia, all’Europa e al mondo intero le impareggiabili bellezze paesaggistiche, architettoniche e monumentali dell’attuale città-fantasma dell’Aquila e del suo circondario, l’assemblea dei cittadini ha elaborato un’apposita proposta di legge d’iniziativa popolare. Tra le firme che sta raccogliendo, la Sua è data per acquisita.

Mi farebbe piacere farLe da cicerone in una Sua prossima, auspicabile visita a L’Aquila. Le suggerisco di venire di notte. Avrà così modo di conoscere personalmente tutti i fantasmi e gli spettri danzanti tra le inamovibili rovine (non solo fisiche) di una irriconoscibile non-città in cui, a distanza di circa due anni, continuano a piovere solamente lacrime impastate con polvere.

Grazie per l’attenzione prestatami,

Antonio Gasbarrini (alias Il Naugrafo)

www.angelusnovus.it

L’Aquila – Costa teramana, 2 /1/2011