Colloquio con la madre

La tua fragile forza
la mia disperazione che consoli
la mia temprata scorza
nel labirinto disegnano giri.
A Montorio forse volava il falco
– il cielo si apriva
al mattino dalle finestre verdi -.
Al sole il tuo telaio
e tu che guardi le colline scure.
Dimmi com’era la tua culla.
Certo, con tavole di faggio
e colorata in verde (oppure in rosso?),
con un profumo che mi giunge
ancora, e non ho mai dimenticato,
tra l’acre odore della terra smossa
e del caffè cotto nell’acqua,
tra pensieri incomprensibili e sogni
senza dei giri di guanciali bianchi
il sonno di coperte
e il mare più lontano della luna.

Che cosa raccontava
tuo padre e tuo nonno e ancora altri avi,
che tu potevi dirmi
o pescatori o allevatori d’api
come Aristeo, medico o indovino,
come Odisseo laerzio
da contadino fatto navigante,
che per anni Penelope abbandona?

Destino della Grecia
che miti antichi crea per consolarsi
e per volare in alto
con Pegaso o con Icaro morire.
Una mattina azzurra
di una passata dolce primavera.
Erano i canti dei pastori
o le nenie dolenti di prefiche
piangenti che in memoria ti portavi
o racconti davanti al focolare.

Era la luna bianca
sulla marina delle isole greche.