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Santolo De Luca, nato a Napoli nel 1960, è dagli anni ’90 uno dei protagonisti dell’arte italiana. Quella pittura che nel suo caso si afferma come espressione critica della cultura dei media, attraverso un inconfondibile linguaggio estetico che gli consente di occupare una collocazione storica ben definita all’interno del vasto panorama artistico espresso negli ultimi vent’anni.

Dopo aver esposto in diverse gallerie italiane ed estere, come alla Annina Nosei Gallery di New York, alla galleria Seno e alla galleria Zonca e Zonca di Milano, torna a esporre alla galleria Dina Caròla, che nel 1994 presentò il suo lavoro per la prima volta a Napoli.
Saranno esposte alcune tra le sue ultime opere più significative, ispirate al tema dei liquidi e, per l’occasione sarà presentata la sua prima monografia “permanentpresent”. Vent’anni di lavoro raccolti in un prezioso volume edito da“ l’arco e l’arca edizioni “, corredato da testi in italiano e inglese di Renato Barilli, Angela Tecce e un’intervista all’autore curata da Antonio Picariello.
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quando si incontrano le opere di Santolo De Luca Il luogo dell’esposizione diventa anche il luogo mentale, lo spazio tra immagine e parola dove la presenza fisica e lo sguardo sono dinamicità continua nonostante il corpo è fermo in una sua propria consistenza,  in una sua totale energia materializzata dalla neuronicità dello spazio.

.” I miei soggetti non hanno nulla di simbolico, sono le cose che sono, non rimandano a nulla altro che non sia il loro assurdo proliferare dove la pittura si moltiplica  come la cellula dividendosi all’infinito. Una finestra aperta sull’infinito che contiua al di la dei limiti del quadro….. Non è un al di la o un al di qua della pittura ma è quel grado di visionarietà che ti permette di portare le immagini al “altra definizione” più che ad alta definizione. Una definizione più delinquente di quanto la realtà può presentarsi in telecamera”. La definizione di una pittura che supera la “confezione artigianale” dell’opera e l’applicazione tecnica dello strumento, questa certo che è delegabile ad altri. Ce ne sono di pittori in giro, ottimi tecnici ma che, non avendo un grado di visionarietà , gli si deve almeno riconoscere nella migliore delle ipotesi un grado di “televisionarietà”. E’ da queste energie mentali che  si rivela il quadro. Procedendo su questo assunto,  si considerano le minime unità del linguaggio come visionarietà strutturali che si attraggono per empatia o a volte per magnetismo naturale. Mentre è in atto il  processo di composizione della forma, avviene la connessione con la sua spiritualità.

Se “Qualunque oggetto creato è soggetto a consumo.”  è anche vero che la  speculazione si  trasmettere ad energia continua e non alternata tra  concetti e visioni. Tra  codice visivo e codice parola. Non è altro che una telecamera interiore che riprende in maniera neutrale tutti i processi dell’entropia e li ripropone nelle percezioni  dello spazio fisico.

Sono opere Forti, cariche di sintesi che attraversano senza esitazione i confini deliranti delle avanguardie storiche e impattano su chi le incontra con la qualità e l’energia del pensiero matematico dove temporale e spaziale  hanno la  globalità di lettura e manifestano la misura unitaria minima concepibile che premette ad identità ancora minori, possedute dall’energia  dall’opera,  di contenere esse stesse  unità  iconiche non definibili se non attraverso un percepire prima che un vedere . E’ forse quella  famosa spiritualità del punto zero che qui  non equivale solo al punto di vista perché nelle composizioni degli  oggetti i punti di visione [calcolati] si moltiplicano e si rimandano per geometrie visuali istintive [per chi guarda] . Ogni oggetto rappresentato contiene e manifesta più unità per apparire tridimensionale, ma anche qui, questa accennata tridimensionalità del modulo ha meno assi espressivi della bidimensionalità. E’ la “sfacciataggine” di un   gioco di animata spiritualità mediterranea su  tutti i possibili punti di vista . E’ energia matematica che rimanda anche ad un umanesimo primordiale tracciando buona parte delle significazioni archetipali che si muovono possibilmente tra ciò che è parola e la sua corrispettiva raggiera di rivelazioni percettive.