Franco Valente racconta a polmoni pieni la forza storica della sua terra, il Molise, che gli risponde a parolacce. Potrei cominciare con questo enunciato la descrizione del suo magnifico libro che credo sia stato costruito per oltre un decennio se non, a quanto si comprende dal racconto,  sia stato ideato pensato e assemblato in forma testuale per  una intera vita; la vita dell’architetto conferenziere.  Franco Valente è lui stesso un romanzo, il suo corpo  esprime l’ aspetto di un patriarca greco antico, saggio,  che gira per piazze  a redimere l’ignoranza accidiosa che governa i cuori di questa Italia venduta al corteggiamento della finanza facile e al tradimento della sua vocazione artistica e letteraria che un tempo la rendevano invidiabile agli occhi del mondo. Insomma a Franco Valente io voglio bene e questo è già sufficiente per poter  dire che una recensione non è fatta solo di parole in stile ordinato secondo il sentire, a proprio uso,  la  soddisfazione per la filiazione  grammaticale,  sintattica   e ortografica. No!, scrivere di un libro portatore di sceneggiature magiche incastrate nella verità storica, significa anche prendersi la coscienza sulle spalle e trasportarla al punto massimo della montagna per poi lasciarla rotolare verso valle incontro alle bocche spalancate dei lettori mancati. La meraviglia del racconto e la gratitudine della documentazione storica uniscono gli elementi vettoriali della forza discorsiva che rende identità quello che il popolo molisano, erede sacro di quello che il testo documenta,  trascura per avvezza rinuncia al piacere di leggere.  Nel regno dell’editoria queste frivolezze scolastiche; grammatiche, lessico e ortografia,  le riparano, rispettando l’intoccabile struttura stilistica dell’autore,  l’esperienza e la professionalità dell’editing, e quindi è bene dire che se nelle pubblicazioni si incontrano sregolatezze di questo genere la colpa non è dello scrittore, ma della casa editrice che non ha apportato qualità di revisione alle bozze del  testo. Qui però, oltre a dire della magnifica scrittura sotto tutti i punti di vista formulati dal racconto organizzato a due tempi:  parte introduttiva storica che farebbe piacere allo scomparso J. Le Goff, e una seconda parte romanzata attinente alla costruzione del genere che alcuni o lo stesso autore hanno classificato come giallo, ma che personalmente credo possa essere definito alla Camilleri o alla Sellerio, (visto che l’autore siciliano per principio parla solo di episodi che avvengono o appaiono nella sua terra natia), si dovrebbe dire che il testo è, con la sua facciata narrativa, una vera testimonianza diretta abbinata alla storia dei ritrovamenti archeologici e delle pitture murali; gli affreschi magnifici e archetipici del Monastero campano/molisano.   Qui Franco Valente da anni, produce lo stesso impegno e le ripetute delusioni di accoglienza da parte dei molisani. Caro Franco, i Molisani non leggono, a malapena ascoltano, ma difficilmente considerano il dono che un ricercatore esperto e valido come te, riesce a calcare (infinito) con determinata volontà e tenacia, dalla svinatura al primo travaso alle nostre  menti,  per cercare di far fermentare  qualcosa quando ci si accorge che dietro un testo che presenta un’editoria campale si apre il cuore pompante dell’archetipo teologico, politico,  mediterraneo e occidentale. L’origine del monachesimo occidentale, la regola di San Benedetto  contrapposta a quella di San Basilio eccellenza dell’ascetismo monastico nella Chiesa d’oriente si fondano nelle manovre politiche carolinge e la sapienza di  Autperto che come i vinicoli travasa la visone imperiale dei Franchi nella formulazione teologica del monastero di San Vincenzo di Saragozza fino allora retto e fondato dalle volontà Longobarde.  Se per questi ultimi, avvezzi guerrieri, il santo per eccellenza ritrovato nelle iconologie cristiane appariva nelle sembianze di un angelo guerriero, un San Michele, per i primi l’iconografia murale risultava secondaria alle direttive dei testi sacri tradotti manualmente in cui il concetto dell’ascensione mariana comportava che la vergine – Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre – sia diventata unica figura celeste lievitata, o ascesa, con tutto il corpo terrestre alle vicinanze divine. Un libro questo che nessun politico dovrebbe non leggere per poter capire metodi di manovra strategica e storiografica dei  luoghi. Dal ducato di Benevento, a Montecassino per finire nelle vergognose attualissime indignitose e inumane funzioni della conquista saracena di stanza a Napoli, o meglio, oltre le mura della città, tra il mare e le terre sconfinate dei sanniti.  Una narrativa delle pianure e delle città antiche modello storico con stimoli affascinanti  quasi a risvegliare un vecchio testo che avevo letto in gioventù, “Manoscritto trovato a Saragozza”, unico romanzo scritto in francese dal conte polacco Jan Potocki. Guarda caso  per costruirlo, come credo Valente, vi dedicò buona parte della sua  vita.  A suo tempo mi aveva affascinato tanto da farmi innamorare della vita del nobile  polacco produttore di tavole sinottiche e che si suicida con una pallottola d’argento lavorata e limata ogni sera da lui stesso dopo averla smontata dal coperchio di una teiera. Affascinante, no!, Stesso linguaggio stesso intreccio, stessa passione nel libro di Franco Valente : Incipit Apocalypsis. Leggete….

Antonio Picariello