persone190x253.jpgldvespa1.jpgcalabr.jpg49796.jpgbettini calabrese.jpg20030516t.jpgBETTINI_bizzaramente0.gifFirenze 1949. Laurea in Storia della lingua italiana a Firenze (1971).
Borsista (1972-74), poi contrattista (1974-78), poi professore
incaricato di Semiotica delle Arti all’Università di Bologna (1979-3) e
infine associato (1983-1992). Trasferimento a Siena nel 1993.

 

Ha insegnato nelle maggiori università del mondo: Yale (1983), Zurigo
(1984), Ecole des Hautes Etudes di Parigi (1986), Amsterdam (1986),
Freieuniversitat Berlino (1987), Buenos Aires (1987), Bilbao (1988),
Aarhus, Den. (1988), Anversa (1989), Barcellona (1990), Bogotà (1996),
Merida, Ven. (1998), Helsinki (1998).

E’ stato redattore di riviste scientifiche: “Casabella” (1976-80),
“Versus” (1974-98), “Alfabeta” (1980-90), “Visio” (1997-98), “Estudios
semioticos” (1987-98), “Zeitschrift fu Semiotik” (1996-98). Dirige
“Carte semiotiche”. E’ stato prima vicepresidente e poi presidente
dell’Associazione Italiana Studi Semiotici.

Principali pubblicazioni: Il linguaggio dell’Arte (Bompiani 1985),
tradotto in quattro lingue; La macchina della pittura (Laterza 1985);
L’età neobarocca (Laterza 1987), tradotto in sei lingue; Mille di questi
anni (Laterza 1992); Il Telegiornale: istruzioni per l’uso (Laterza
1996).  **************

Intervista al prof. Omar Calabrese, critico ed esperto della comunicazione, curatore di mostre e esposizioni, gia rettore del complesso museale Santa Maria della Scala di Siena.
Quali sono le sue indicazioni su come comunicare la cultura?
Bisogna smettere di pensare che la comunicazione sia il supporto di qualcos’altro. Viceversa è l’elemento costitutivo del progetto. Non si può comunicare nulla se manca una sostanza comunicabile. Comunicare la cultura non significa fare pubblicità della cultura ma è piuttosto la buona forma da dare per i buoni progetti culturali.
Il mio consiglio è quello di inventarsi dei buoni progetti culturali che siano: collegati al territorio, che posseggano un tasso di innovazione discreto e che siano immaginati non come eventi o occasioni singole ma come sistema.
Così come nell’editoria un editore è riconoscibile per un tratto culturale, anche un Comune deve essere riconoscibile in quanto editore di eventi culturali.
Qual è l’importanza dell’identità?
Quando si parla di identità non bisogna riferirsi soltanto alla dimensione storica. Occorre avere le antenne alzate per capire ciò che si muove nel territorio: che tipo di produttività esiste, anche rispetto alla dimensione contemporanea. L’identità può infatti derivare dalla tradizione ma può anche essere costruita ex novo. Ogni territorio possiede una biografia, come le persone, se questa biografia vive un momento di “calo” si possono immaginare cambiamenti radicali di innovazione totale costruendo una “carta d’identità” ad hoc.
Il concetto di identità inoltre può essere tematico (di contenuto) o formale: ad esempio i modi in cui si organizzano mostre, concerti o eventi. In ogni caso, il riferimento identitario è fondamentale e vale per qualsiasi tipo di impresa e quindi anche per i Comuni che sono delle “imprese sociali”.
Avere una forte identità permette infine anche di risparmiare le risorse: la quarta edizione di un festival, ad esempio, avrà bisogno di un quarto delle risorse che servono per pubblicizzare la prima edizione, grazie alla creazione di un sistema di fidelizzazione.
Per comprendere il valore del tratto identitario basti pensare al “caso Schwarzenegger”: che è stato rieletto in California perché, pur essendo un repubblicano ha portato avanti una politica sui diritti civili che corrisponde all’identità californiana.
Cosa significa “fare sistema”?
Si tratta di un aspetto correlato al discorso sull’identità. Fare sistema significa valorizzare o produrre un identità e su questo far convergere settori apparentemente diversi fra loro. In particolare, il sistema della cultura è anche sistema delle imprese, economico, scolastico e della protezione sociale. Le imprese culturali possono seguire o anche pilotare il sistema. Ad esempio a Siena, grazie a una maggiore organizzazione degli eventi si è riusciti ad attivare il turismo invernale: la mostra su Duccio da Buoninsegna è stato un incentivo alle attività di alberghi e ristoranti.
C’è stata una discontinuità nell’organizzazione delle mostre rispetto al passato?
Si, e purtroppo non in positivo. Assistiamo al lancio di mostre spettacolo con grandi nomi, grandi capolavori e sempre meno alla realizzazione di mostre di ricerca. E’ questo un aspetto quasi televisivo: anche nell’ambito dell’arte e della cultura è stato introdotto il sistema del divismo. Si tratta di esposizioni apparentemente molto produttive, penso al caso della mostra dei Gonzaga a Mantova che ha richiamato oltre 500.000 visitatori, ma cosa succede dopo? L’elenco dei grandi nomi si esaurisce: hai fatto spettacolo ma non hai prodotto nulla dal punto di vista pedagogico, della ricerca e dell’innovazione. Il pubblico di massa viene assorbito ma si tratta di un filone dalla durata limitata. Sono viceversa necessarie politiche culturali più ardite. La sfida è di far arrivare pubblico a quello che il pubblico ancora non conosce. Le istituzioni pubbliche devono creare il pubblico di domani, non il successo di oggi.
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 Voi non siete qui
Geografie reali, geografie immaginarie
“Per quanto fantastico, il territorio su cui si svolge una narrazione ha un’esistenza non dissimile da quella di un territorio vero. E infatti qualsiasi mappa, anche quella di un territorio reale, è inutile senza un sistema segnaletico a terra: se sa dirmi dove sono è perché io collaboro riconoscendo i segnali a terra.” (Omar Calabrese)
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I sistemi di segnaletica e, latu sensu, le mappe e la topografia, sono quindi essenziali per conoscere davvero ciò che ci circonda. Un mondo reale, o immaginario, può essere conosciuto, riconosciuto, usato, soltanto se i codici interpersonali di riferimento sono attivati o attivabili. Potrò guidare fino a Parigi solo se conosco i segnali del codice della strada e la ‘carta’ di percorso; potrò trovare il tesoro dell’isola solo se saprò leggere la mappa che Stevenson pone a esergo della sua narrazione.

Stesso meccanismo, stesso fascino, stessa seduzione. Per secoli l’uomo si è baloccato su come rendere ‘oggettiva’ e trasmissibile la sua nozione del mondo, mescolando spesso il piano esperenziale con il piano narrativo, la realtà con il sogno, il regno della conoscenza con quello di Utopia.

Hic sunt leones, nelle antiche carte, indicava terre sconosciute e misteriose, luoghi di cui si poteva solo immaginare, territori dove il solo pensar di avventurarsi costituiva pericolo. Nelle stesse terre però, insieme ai leones, stazionavano anche, mescolando i piani, promesse di tesori strabilianti, piante e animali fantastici, popoli sconosciuti, strani e meravigliosi. Il pericolo della realtà diventando così il sogno di Ulisse, la lusinga forte dell’immaginario.

Poteva l’arte resistere ad una tentazione così? Certo che no, ed ecco quindi la pletora di intellettuali, pittori, letterati, fabulatori, astronomi e cartografi che si sono affannati per secoli a immaginare la geografia sotto forma di segni non solo comprensibili ma anche fascinosi, in grado di essere decifrati non solo sul piano della realtà, ma capaci anche di creare universi paralleli altrettanto veri, almeno per chi ad essi può o vuole far riferimento.

Di questa materia (‘materia di sogni’ avrebbe detto Shakespeare) è fatta la mostra che Omar Calabrese e Maurizio Bettini hanno allestito alle Acciaierie di Cortenuova, Bergamo, e che, fino al 24 dicembre, presenta opere di Savinio e De Chirico, Carrà e Mirò, Tadini e Parmiggiani, Paolini, Fabro e compagnia cantando. Opere significative dunque, per qualità e importanza degne di figurare in ogni collezione.

La mostra si innesta in un quadro di riferimento ambizioso: il progetto Estetica dei non luoghi che intende ‘rivitalizzare’ un ‘luogo’ di per sé indifferenziato (un non luogo, appunto, come dalla definizione celebre di Marc Augé!), come un immenso centro commerciale, per restituirgli identità.

Presentando il progetto alla stampa Omar Calabrese ha classificato questa avventura come una sfida, un mettersi in gioco certo non facile né consolatorio. Portare grande arte in un centro commerciale, in mezzo alla campagna e al granturco, tra svincoli autostradali e sentieri poderali, può spostare significativamente l’idea di consumo, ma può anche spostare l’idea sacrale, museale e intirizzita, che troppo spesso si ha dell’arte. Ecco dunque che il non luogo augeriano potrebbe diventare un ‘luogo possibile’, con diramazioni identitarie, di senso e di potenzialità d’uso, ad oggi del tutto sconosciute.

Voi (non) siete qui, a cura di Maurizio Bettini e Omar Calabrese, Acciaierie Arte Contemporanea, Cortenuova, 21 settembre-24 dicembre 2006, catalogo Skirà.

by Umberto Eco, Omar Calabrese

“Here is the entertaining history about the most successful ‘cult-scooter’ Vespa in its 50th anniversary. Not many products reach the goal of a fifty-year-life-span. The 50 years of Vespa are even more striking if one considers the condition and the period in which it came to existence. Many post-war inventions were forgotten when income rose and life standard improved. But Vespa instead, developed from a utility vehicle, into an international success, a ‘cult-object’, which has given rise to the creation of associations and collector’s guilds world-wide. Text by Umberto Eco, Omar Calabrese, Lina Wertmuller, Francois Burkhardt, Maurizio Bertini, and many other celebrities.”