ruota-della-vita2.jpgEmergence-142.jpggate2.jpg  La sciamanizzazione dell’arte
 Antonello Colimberti
 
“Il maestro di metamorfosi acquista effettivo potere quale sciamano.
 Durante i suoi accessi estatici, egli aduna presso di sé spiriti che sottomette,
parla la loro lingua, diviene un loro pari e può comandarli al loro modo.
Diviene uccello quando viaggia per i cieli e animale marino
 quando scende in fondo al mare.
Egli può tutto; il parossismo che raggiunge
deriva dall’accresciuta e rapida sequenza di metamorfosi
che lo scuotono finché non ha scelto fra di esse il suo vero scopo.”
 
 
Georges Lapassade ha definito come società dello sciamanesimo quelle che «trasformano le allucinazioni in visioni» (Lapassade 1993, p. 16). Ebbene, ciò è proprio quello che la nostra cultura attribuisce al malinconico”.
Tale procedura di trasformazione dell’allucinazione in visione è ben descritta da Giorgio Agamben, sulla scia di alcune intuizioni freudiane : «se il mondo esterno è infatti narcisisticamente negato dal malinconico come oggetto d’amore, il fantasma riceve però da questa negazione un principio di realtà ed esce dalla muta cripta interiore per entrare in una nuova e fondamentale dimensione. Non più fantasma e non ancora segno, l’oggetto irreale dell’introiezione malinconica apre uno spazio che non è né l’allucinata scena onirica dei fantasmi, né il mondo indifferente degli oggetti naturali; ma è in questo intermediario luogo epifanico, situato nella terra di nessuno fra l’amore narcisistico di sé e la scelta oggettuale esterna, che potranno collocarsi le creazioni della cultura umana <...> è nello spazio aperto dalla sua ostinata intenzione fantasmagorica che prende avvio l’incessante fatica alchimica della cultura umana per appropriarsi del negativo e della morte e per plasmare la massima realtà afferrando la massima irrealtà» (Agamben 1977, pp. 32-33). Queste parole, nel delineare un rapporto stretto fra malinconia e cultura nelle civiltà umane, ci suggeriscono già il rapporto decisivo, che indicheremo in seguito, fra sogno e cultura nello sciamanesimo. Ma dalle analisi di Agamben possiamo individuare, oltre alla malinconia, un altro tratto pertinente alla conoscenza dello sciamanesimo: il feticismo: «come nella Verleugnung feticista, nel conflitto fra la percezione della realtà, che lo costringe a rinunciare al suo fantasma, e il suo desiderio, che lo spinge a negare la percezione, il bambino non fa né una cosa né l’altra, o, piuttosto, fa simultaneamente le due cose, smentendo, da una parte l’evidenza della sua percezione e riconoscendone dall’altra la realtà mediante l’assunzione di un sintomo perverso, così, nella malinconia, l’oggetto non è né appropriato né perduto, ma l’una e l’altra cosa nello stesso tempo. E come il feticcio è, insieme, il segno di qualcosa e della sua assenza, e deve a questa contraddizione il proprio statuto fantomatico, così l’oggetto dell’intenzione malinconica è nello stesso tempo reale e irreale, incorporato e perduto, affermato e negato» (Ibidem, pp. 26-27). Tali caratteri, che nelle pagine successive del suo lavoro Agamben estende ad alcuni procedimenti del linguaggio come la metonimia e la metafora, nonché alla sfera oggettuale dei giocattoli e della merce, ci sembrano particolarmente appropriati per cogliere il senso degli oggetti rituali sciamanici. L’impostazione ideologica «metafisica» di Mircea Eliade, infatti, non ci sembra cogliere nel segno con la sua interpretazione tesa a riconnettere il simbolismo degli oggetti rituali sciamanici ad un significato cosmico (manifestazione dell’illud tempus primordiale, ecc.).  Ciò che ci sembra discutibile di tale impostazione non è tanto il suo vero o presunto «irrazionalismo», quanto la sua persistente «semiologia». In altri termini, per quanto Eliade venga spesso incluso fra i maestri di un’«ermeneutica instaurativa» , non si può non cogliere i limiti di una riduzione delle immagini ai loro significati, da lui costantemente praticata. Ad esempio, nel parlare del simbolismo del costume sciamanico, Eliade scrive che «il costume sciamanico costituisce di per sé una ierofania ed una cosmografia religiosa: esso non rivela soltanto una presenza sacra ma anche simboli cosmici e itinerari metapsichici. Ove lo si esamini attentamente,il costume ci dà a conoscere il sistema dello sciamanismo nella stessa trasparenza propria ai miti e alle tecniche sciamaniche » (Eliade 1992, p. 169).Questa lettura è molto più «semiologica» che «simbolica»; eppure il riferimento ai sogni del candidato avrebbe dovuto mettere sull’avviso Eliade che lo sciamano non “riduce” i simboli, neppure interpretandoli in chiave «cosmica» o «metafisica», ma li “amplifica”, attraverso una specifica “arte del sognare”: «Il candidato nei suoi sogni deve riuscire a vedere il luogo esatto ove si trova il suo futuro costume e deve poi andare lui stesso a cercarlo»(Eliade 1992, p. 171).Il modello semiologico si pone sotto il segno di Edipo, quello simbolico sotto il segno della Sfinge: «ogni interpretazione del significare come rapporto di manifestazione o di espressione (o, all’inverso, di cifra e occultamento), fra un significante e un significato (e tanto la teoria psicoanalitica del simbolo che quella semiotica del linguaggio appartengono a questa specie) si pone necessariamente sotto il segno di Edipo, mentre si pone invece sotto il segno della Sfinge ogni teoria del simbolo che, rifiutando questo modello, porti innanzitutto la sua attenzione sulla barriera fra significante e significato che costituisce il problema originale di ogni significazione» (Agamben 1977, p. 165) .
Agamben tratta tale problema nella parte IV del suo volume, non a caso intitolata L’ immagine perversa. Anche lo psicanalista James Hillman, nel riprendere alcune intuizioni di Gaston Bachelard sull’attività deformante dell’immaginazione , parla di «patologizzazione» dell’immagine: «l’immagine patologizzata o deformata è fondamentale per l’alchimia e per l’arte della memoria, che presentano entrambe metodi complessi per fare anima. È all’immagine patologizzata del sogno, alla figura bizzarra, particolare, malata o ferita- l’elemento di scompiglio- che dobbiamo rivolgerci per trovare la chiave del lavoro del sogno. <...> La deformazione patologizzata che restituisce a un’immagine la sua capacità di perturbare l’anima al punto che, portando un’immagine in prossimità della morte la fa al tempo stesso rivivere. Perché è il sogno scioccante, di cui è paradigma l’incubo quello che maggiormente ricordiamo, quello che risveglia la memoria dell’anima» (Hillman 1996, pp. 122-124). Quale esempio migliore da questo punto di vista si può dare se non quello relativo ai sogni iniziatici sciamanici? Vasta è la bibliografia su smembramenti del corpo, lacerazioni della carne e torture varie. Basti il seguente riassunto di Eliade: «i momenti importanti di un’iniziazione sciamanica comportano: 1. la tortura e la lacerazione del corpo; 2. il raschiamento delle carni fino alla riduzione del corpo a scheletro; 3. la sostituzione delle viscere e il rinnovamento del sangue; 4. un soggiorno abbastanza lungo agli Inferi, durante il quale il futuro sciamano viene istruito dalle anime degli sciamani morti e da “demoni”; 5. un’ascensione al Cielo per ottenere la consacrazione dal Dio del Cielo. A differenza dei neofiti delle altre iniziazioni, il futuro sciamano subisce in modo più radicale l’esperienza della morte mistica. Egli rischia più di una volta di precipitare nella “pazzia”, e affronta questo pericolo nella speranza di accedere a un’esistenza totalmente diversa dall’esistenza profana» (Eliade 1988, p. 147).Questo riassunto va tenuto costantemente a mente se, parafrasando Hillman , si vuole lavorare sullo sciamanesimo tenendo dietro al lavoro dello sciamanesimo. Studiare lo sciamanesimo dal punto di vista della Sfinge e non di Edipo non esclude l’analisi, ma implica un atteggiamento diverso da quello consueto. Insiste Hillman : «il dividere in parti analitico è una cosa e l’interpretazione concettuale è un’altra. Può esserci analisi senza interpretazione. L’interpretazione trasforma il sogno nel suo significato. La traduzione del sogno prende il posto del sogno. La dissezione invece opera un taglio nella carne e nelle ossa dell’immagine, esamina il tessuto delle sue connessioni interne e si muove tra i suoi pezzi, eppure il corpo del sogno è ancora lì, sul tavolo. Non ci siamo chiesti che cosa significa, ma chi, che cosa, e come è» (Hillman 1996, p. 124).
Rinunciare a ridurre lo sciamanesimo ad una costellazione di significati, palesi od occulti che siano, non significa mettersi a sciamanizzare tout-court, ma assumere innanzitutto il punto di vista della conoscenza onirica, mettendo da parte ogni idea di sciamanesimo come esoterismo, in cui presunti iniziati detengono la conoscenza di significati occulti solo da essi trasmissibili; l’origine di tali concezioni “esoteriche” fa tutt’uno con le culture cosiddette “alte”, nelle quali si attua un passaggio, come efficacemente sintetizza Francesco Saba Sardi a proposito dell’avvento degli Incas, “dallo sciamano al sovrano”: «se lo sciamano cerca la solitudine, diventa sognatore, ha visioni, il sovrano si circonda di solitudine (è solo in cima al suo inaccessibile trono) le sue visioni si traducono in scelte politiche, il suo comportamento è bizzarro e idiosincratico (capricci di re) <...> Se lo sciamano è concretamente dotato di “poteri meravigliosi”, che rivelano l’accesso allo stato di ek-stasis, il sovrano domina le forze: vince l’acqua che incanala, la siccità che previene con l’accortezza, la carestia alla quale ovvia creando scorte di viveri. Non ha effettivi “poteri meravigliosi”, ma è come se li avesse: gli vengono attribuiti senz’altro ex lege <...> Mentre lo sciamano non pretende di essere un dio, il sovrano tale si dichiara. Gli sciamani sono dunque al suo servizio e, a tale scopo, li isola in santuari, li chiude in recinti, li obbliga a pronunciare profezie a lui favorevoli<...> Ancora, se lo sciamano “ascende” o “discende” lungo l’albero-centro del mondo per raggiungere il cielo o il mondo ctonio, il sovrano dichiara il santuario, il palazzo, la città regale centro del mondo» (Saba Sardi 1982, pp. XLV-XLVI).   Alla subordinazione della conoscenza onirica nell’ antichità, con il connesso statuto dell’immaginazione che essa possedeva, fa seguito la sua emarginazione nella modernità, con la conseguente nascita della follia:« e, dal momento che è la fantasia che, secondo l’antichità, forma le immagini dei sogni, ciò spiega il particolare rapporto che, nel mondo antico, il sogno intrattiene con la verità e con la conoscenza efficace. Ciò è ancora vero nelle culture primitive…l’espropriazione della fantasia si manifesta nel nuovo modo di caratterizzarne la natura: mentre essa non era, in passato, qualcosa di soggettivo, ma era piuttosto la coincidenza di soggettivo e oggettivo, di interno e di esterno, di sensibile e intelligibile, ora è il suo carattere combinatorio e allucinatorio, che l’antichità relegava sullo sfondo, a emergere in primo piano. Da soggetto dell’esperienza, il fantasma diventa il soggetto dell’alienazione mentale, delle visioni e dei fenomeni magici, cioè di tutto ciò che resta escluso dall’esperienza autentica». (Agamben 1978, p. 19). Se questo è vero, allora la dimensione onirica nelle società sciamaniche non è uno specifico aspetto della cultura, quanto la modalità che fonda la conoscenza e dunque la cultura stessa. Tra coloro che meglio hanno colto questo punto essenziale vi sono l’etnopsichiatra George Devereux e, sulla sua scia, l’antropologo Roger Bastide., i quali hanno segnalato i limiti etnocentrici delle attuali teorie sul sogno. Devereux, in particolare, riferisce, a proposito della cultura mohave (in questo non dissimile da altre culture sciamaniche), che, contrariamente a quanto sostiene Mircea Eliade, il mito non è riattualizzazione dell’illud tempus primordiale, ma creazione continua. La cultura sciamanica non è «contro» la storia, piuttosto per essa storia e sogno sono inscindibili: «il mito della creazione è , d’altronde, un’opera incompiuta. Il mito della creazione, quale era raccontato, per esempio nel 1900, contiene semplicemente quelle porzioni della creazione che erano state rivelate in sogno fino a quell’epoca. Così, quando le armi da fuoco fecero la loro apparizione e inflissero ferite da pallottole, uno sciamano sognò subito di essere stato testimone di quella fase della creazione che si riferiva alla istituzione iniziale –prototipo costituente un precedente-di ogni ferita da arma da fuoco e della sua guarigione. In linea di principio, domani o il giorno dopo, uno sciamano mohave può sognare la creazione di ustioni dovuti a radiazioni o il mal di spazio e la loro cura. Questi nuovi sogni esigono automaticamente un completamento delle versioni anteriormente conosciute del mito della creazione, così come la scoperta di un nuovo fossile impone l’aggiornamento di un manuale di paleontologia pubblicato precedentemente. » (Devereux 1978, p.291). La conclusione è esplicita: “soltanto il sogno rende valido l’apprendimento culturale: chiunque può imparare a cantare un canto terapeutico, ma questo è una terapeutica inefficace e rimane un atto puramente extraculturale e individuale, se non è appoggiato e convalidato da sogni sciamanici appropriati…mi sembra che i Mohave interpretino la loro cultura in termini di sogno, anziché interpretare i loro sogni in termini di cultura” (Ibidem, p.293).
A partire dalle conclusioni di Devereux, Bastide formula una vera e propria “teoria generale del sogno”, nella quale contrappone la «naturalizzazione del sogno presso i primitivi» alla «culturalizzazione del sogno negli occidentali» . Nel primo caso il sogno «permette il passaggio, dal soggettivo al collettivo, attraverso la comunicazione ad altro e l’accettazione degli altri» (Bastide 1976, p. 56). Ma nel secondo caso «si è spezzato il legame tra il sogno e la realtà per respingere il primo nell’immaginario e costruire la realtà sull’efficacia» (Ibidem p. 58). Sono due processi, quello del primitivo e quello dell’occidentale, decisamente antitetici. Come riassume ancora Bastide «separando l’onirico dal mondo reale, facciamo dell’onirico un “aldilà del mondo”, un “altro luogo”; possiamo certamente compiacerci in lui (per reazione alla nostra società industriale e costruire, per la nostra gioia, ogni giorno nuove fabbriche di sogni opposte alle fabbriche dei prodotti di consumo pratico), ciò non toglie che in noi il sogno non abbia più legami con la storia o la metafisica, perlomeno per gli “spiriti forti”. Al contrario, per i primitivi il sogno è incorporato nella realtà, segue la storia, fabbrica la storia e nello stesso tempo è il riflesso del trascendentale, la parola esplicitata dei morti e degli dei» (Ibidem, p. 61)
Se questo è vero, allora possiamo cogliere il punto di contatto “politico” fra la funzione dello sciamano e il compito dell’intellettuale, definito da Benjamin «solo ex negativo: egli “deve organizzare il pessimismo” e portare avanti “la distruzione dialettica” delle immagini false sulle cui proiezioni si costruisce lo spazio sociale. <...> Le manifestazioni storiche della società vengono comprese come immagini oniriche: è compito dello storico interpretare la loro complessa dinamica. Lo storico, esattamente come il Messia nel giorno del compimento della storia, ha il compito di rimettere a posto le immagini “impazzite”, e, in questo modo, di attribuire al mondo il suo vero significato» (Witte 1991, pp. 106-108). 
Si compie così il passaggio “dal sovrano allo sciamano”, fine della storia e inizio del regno messianico secondo Benjamin, per il quale «comprendere la storia dell’umanità come il suo sogno, significa capire che le vere pulsioni e i veri desideri dell’umanità, ad esempio quelli di compimento e di felicità, trovano espressione nella storia solo in forma spostata, censurata e rimossa. Questo lavoro onirico preclude all’umanità la possibilità del risveglio che porterebbe alla fine della storia e all’inizio del regno messianico. La dottrina dei sogni storici del collettivo riflette quindi il volto ambivalente dei fenomeni storici che esprimono sia il fallimento che, nel contempo, la riuscita  <...> Per non riprodurre semplicemente il sogno, come fanno Aragon e i surrealisti, rimanendo però all’interno del mito, è necessario analizzarlo, riconoscere e sciogliere il “nesso espressivo” esistente fra la situazione economica del XIX secolo e le sue strutture socio-culturali e portare in questo modo alla superficie il contenuto utopico in esso racchiuso. La dialettica è lo strumento di quest’analisi, il “montaggio letterario” il suo metodo» (Witte 1991, p. 180).
 Ma l’uso del termine «dialettica» va oggi specificato in «dialettica immobile» e/o «dialettica sincretica».
Il primo termine (dialettica immobile) è utilizzato da Agamben per definire proprio la concezione benjaminiana, che sopprime radicalmente la separazione fra struttura economica e sovrastruttura culturale: «lo storico che vede separate davanti a sé struttura e sovrastruttura e cerca di spiegare dialetticamente l’una in base all’altra (in un senso o nell’altro, secondo che lui sia idealista o materialista), può essere assimilato al chimico di cui parla Benjamin, che vede solo legna e cenere, mentre il materialista storico è l’alchimista, che tiene fisso lo sguardo sul rogo in cui, come tenore cosale e tenore di verità, così struttura e sovrastruttura tornano a identificarsi» (Agamben 1978, p. 126).
Il secondo termine (dialettica sincretica) è utilizzato da Massimo Canevacci che vi perviene attraverso i concetti di «dialettica negativa» di Theodor Wiesegrund Adorno e «dialettica spezzata» di Paul Ricœur: «quanto la dialettica sintetica pulisce, ordina, classifica, supera, tanto la dialettica sincretica sporca, disordina, mescola, frammenta e giustappone. Trasloca. Nel sincretismo culturale il montaggio o il collage perviene dentro la stessa metodologia della ricerca e della rappresentazione» (Canevacci 1995, p. 40).
Su queste basi possiamo comprendere quella saldatura fra immaginazione messianica e conoscenza onirica che assillò la mente di Walter Benjamin, come ci segnala il seguente commento di Ferruccio Masini: «le forze dell’ebbrezza possono essere conquistate per la rivoluzione solo ad opera di quella surdeterminazione della dynamis profana che la rende produttiva di effetti trasferendoli sul vettore, diretto in senso opposto, della “intensità messianica” <...> L’illuminazione profana ha a che fare col quotidiano e con il mistero quando riguarda l’ebbrezza come luogo aporetico, in cui, appunto, quotidiano e mistero s’incrociano» (Masini 1983, p. 24).
Parafrasando Benjamin,  possiamo dire che oggi alla spettacolarizzazione dello sciamanesimo, si debba rispondere con la sciamanizzazione dell’arte.
Se la spettacolarizzazione dello sciamanesimo traduce il mondo dello sciamano nel mondo della veglia, la sciamanizzazione dell’arte restituisce piuttosto il mondo della veglia al mondo dello sciamano. Da questo punto di vista potremmo assimilare quest’ultimo lavoro a quello di uno specchio deformante, che restituisce appunto un’immagine spostata, una prospettiva rovesciata. Ma questo è dopo tutto proprio il senso di una escatologia realizzata, la quale non attende il millennio perché si sa già avvenuta. Escatologia realizzata è il paradosso per cui l’ostacolo è la chiave, il quotidiano il mistero, ovvero, sciamanicamente, la follia è la guarigione.
 
BIBLIOGRAFIA –
 
-Giorgio AGAMBEN:
 1977: Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi,  Torino.
 1978: Infanzia e storia. Saggio sulla distruzione dell’esperienza, Einaudi,  Torino.
 
-Roger BASTIDE:
 1976: Sogno, trance, follia (1972), Jaca Book, Milano.
 
-Walter BENJAMIN
1966: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), Einaudi, Torino.
 
-Elias CANETTI:
1981: Masse e potere (1960), Adelphi, Milano.
 
-Massimo CANEVACCI:
1995: Sincretismi. Una esplorazione sulle ibridazioni culturali, Costa &  Nolan, Genova.
 
-Georges DEVEREUX:
1978: Saggi di etnopsichiatria generale, Armando Armando, Roma.
 
-Gilbert DURAND:
1977: L’immaginazione simbolica (1964), Il Pensiero Scientifico, Roma.
1996: L’immaginario. Scienza e filosofia dell’immagine, Red, Como.
 
-Mircea ELIADE:
1988: La nascita mistica – Riti e simboli d’iniziazione (1958), Morcelliana,  Brescia.
 1992: Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi (1951), Edizioni Mediterranee,  Roma.
 
-René GUÉNON:
 1982: Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi (1945), Adelphi, Milano.
 
-Michael HARNER
          1995: La via dello sciamano, Edizioni Mediterranee, Roma
 
-James HILLMAN:
 1996: Il sogno e il mondo infero, EST, Milano.
 
-Georges LAPASSADE:
 1993: Stati modificati e transe, Sensibili alle Foglie, Roma.
 
-Ferruccio MASINI:
 1983: Dialettica dell’ebbrezza, in AA. VV., Walter Benjamin: tempo, storia,  linguaggio, Editori
 
-Francesco SABA SARDI:
 1982: Introduzione a Inca Garcilaso de la Vega, Commentari reali degli Incas,  Rusconi, Milano, pp. V-LXXVIII.
 
-Dan SPERBER:
1981: Per una teoria del simbolismo-Una ricerca antropologica (1974), Einaudi, Torino.
 
-Danièle VAZEILLES:
 1993: Gli sciamani e i loro poteri, Edizioni Paoline, Milano.
 
-Bernd WITTE:
1991: Walter Benjamin, Lucarini, Roma.
 
-Elémire ZOLLA:
 1986: Il decennio 1970-1980, in “Fondamenti”, n. 4, pp. 175-192.
 1992: Uscite dal mondo, Adelphi, Milano.
 
Tutti noi viviamo migliaia di esistenze.
Molti ormai in Occidente credono questo e la chiamano reincarnazione.
Quasi tutti immaginano che queste migliaia di incarnazioni si succedano nel tempo una dopo l’altra, come le perle di una collana.
Ma non è così perché al di fuori di questa realtà il tempo non ha significato.
Le nostre moltissime vite non sono una collana, ma piuttosto sono come migliaia di foglie che galleggiano sparse su un fiume.
Ciò significa che voi potreste star vivendo un’altra vita in qualche altro luogo, senza che questa sia ancora finita, perché il tempo nell’Altra realtà, dove tutto ha origine, non ha significato.
Se del flusso di foglie che scorre nel fiume considerate solo quelle che si succedono nel tempo, allora avete la reincarnazione che conoscete. E sembra che la vostra anima trasmigri dall’una all’altra.
Gli antichi maestri parlarono soltanto di queste tra le nostre molte esistenze perché si rivolgevano a persone che non potevano assolutamente concepire nulla al di fuori del tempo.
 
 LEGGE  DEL FLUSSO:
Il tempo è un’illusione di questa Realtà.
Nell’Altra Realtà non esiste.
 Il flusso di esistenze è conoscenza antichissima di molti sciamani ed è stata finora tenuta segreta, accessibile solo a pochi eletti, passata di bocca in bocca da sciamano a sciamano.
Quello che leggerete qui viene forse rivelato per la prima volta al mondo.
Il mio maestro, i miei Spiriti alleati ed io abbiamo deciso di cominciare a rendere pubblica questa sapienza esoterica, perché le persone, molto più di un tempo, sono pronte per conoscerla.
 
La Ruota delle Incarnazioni della tradizione buddista. Alla pari del karma, è una semplificazione
Gli antichi maestri, come il Buddha, si limitarono a parlare delle esistenze che si succedono nel tempo, perché il loro uditorio non poteva concepire nulla al di fuori del tempo.
 
 
Esistenze collegate
Le migliaia di esistenze che ciascuno di noi vive si influenzano tra loro perché connesse le une alle altre come da una rete o come le foglie dalle acque del fiume che le trasporta.
Gli antichi maestri orientali parlarono del karma come di un’influenza causa-effetto che le vite più antiche esercitano su quelle più recenti.
Come ho detto essi dovettero limitarsi a parlare di quelle esistenze che si succedono nettamente nel tempo. Ma la causa-effetto, come il tempo, è un’illusione di questa Realtà.
Invece tutte le esistenze del Flusso si influenzano le une le altre e la vita che viviamo qui e ora può venir influenzata anche dalle nostre vite future. E ovviamente da quelle che stiamo vivendo adesso, altrove, in contemporanea con questa.
 
Le nostre esistenze sono collegate tra loro proprio come lo sono le numerosissime parti del nostro corpo.
Una nostra singola vita è come una delle nostre unghie o dei nostri capelli: è connessa al resto del corpo, il suo ruolo nel destino del corpo può essere talora importante, ma più spesso marginale, e soprattutto il vero essere vivente è l’intero nostro organismo, non la singola unghia o il capello.
Allo stesso modo la nostra vera vita è il flusso di tutte le nostre esistenze, non la singola esistenza.
 
 
 
La nostra vera vita
Essendo chiusi nella nostra singola esistenza, crediamo che la nostra vita sia tutta lì, al più pensiamo che quando moriremo la nostra anima trasmigrerà in un’altro corpo per vivere un’esistenza successiva.
In realtà la vera vita di ciascuno di noi è il flusso di tutte le sue esistenze, non le singole foglie, ma il fiume.
Purtroppo ogni foglia è consapevole solo di se stessa e così non capisce il senso della sua vita.
Immaginiamo che la vostra consapevolezza sia tutta chiusa nell’unghia del mignolo della mano destra: voi sapete di essere un’unghia e capite solo ciò che riguarda un’unghia.
Tutta la vostra persona sta – supponiamo – camminando per andare ad accendere un televisore.
Voi, chiusi nell’unghia del mignolo, vi interrogate intanto sul senso della vostra vita:
 
LEGGE 1 DEL FLUSSO:
 
Ogni complicazione è illusione.
La Realtà vera è SEMPLICE.
 
 
  sentite che andate insù e ingiù (perché nel camminare dondolate le braccia!) e fate complicate teorie sul perchè andate su e giù. E poi altre teorie sui complessi movimenti che il corpo di cui fate parte – ma di cui ignorate tutto – fa per accendere il televisore.
Le spiegazioni che trovate alle vicissitudini della vostra esistenza sono complicate, più o meno sbagliate e forse ridicole.
 
 
Ma se qualcuno vi dicesse che state camminando per andare a accendere un televisore, voi unghia non capireste di cosa parla: voi sapete di cose che riguardano le unghie, di venir tagliate, di forbici e limette, non sapete cosa significa camminare, tantomeno accendere un televisore!
Quello che tutta la vostra persona sta facendo è semplicissimo: va ad accendere la tv.
Ma osservato dal punto di vista dell’unghia è un moto terribilmente complicato e incomprensibile.
Il moto di una singola foglia sull’acqua, fatto di dondolii, mulinelli etc. è complicato, visto nell’insieme è il semplice flusso di foglie trasportate dalla corrente del fiume.
La realtà vera è semplice, tutto è semplice.
Ci appare complicata perché siamo consapevoli solo di questa singola esistenza.
 
 
 
Entrare nel Flusso
Noi non siamo normalmente consapevoli delle altre nostre esistenze.
C’è la coscienza dell’unghia del mignolo, chiusa tutta nell’unghia del mignolo, la coscienza del capello, dell’occhio destro, ma l’unghia non diventa mai consapevole di tutto il corpo, rimane sempre confinata nel suo piccolo spazio.
Questo è il limite che ci impedisce di comprendere il senso dell’Universo e della nostra stessa vita.
Molti sciamani però e molti grandi maestri sono in grado di espandere la coscienza fino a diventare consapevoli delle altre loro esistenze e perfino di tutto il flusso delle loro esistenze.
Questa enorme espansione della coscienza è chiamata dagli sciamani entrare nel flusso.
 
 
Sotto la guida del mio maestro ho imparato a entrare nel Flusso molti anni fa e questo mi ha aperto orizzonti di conoscenza che non posso descrivere. Non posso perché non li capireste, perché non ci sono parole adatte stando “chiusi nell’unghia”. E’ una sapienza che va sperimentata per poterla avere.
 
Diventare consapevoli di altre esistenze può non sembrare niente di nuovo. In molte meditazioni e pratiche moderne, si diventa (o si crede di diventare) consapevoli di vite passate.
 
 LEGGE 2 DEL FLUSSO:
 
 
Noi tutti viviamo migliaia di esistenze che si influenzano le une le altre. 
 
Ma questo serve solo a soddisfare una curiosità o a dare spiegazione di qualche problema psicologico o spirituale.
Entrare nel Flusso è ben altro: quando espandi la consapevolezza al flusso, prima di tutto vedi per la prima volta il senso vero della tua vita (cioè dell’insieme delle tue esistenze) e di dove stai andando.
La seconda cosa poi è meno grande, ma forse più sorprendente: in ogni nostra esistenza noi accumuliamo conoscenza e potere, ma a causa della mancata consapevolezza, questa conoscenza e questo potere solo in minima parte riescono a trasferirsi alle altre nostre esistenze.
Entrando nel Flusso possiamo invece prendere prendere e fare nostre in questa esistenza le esperienze e il potere di altre vite. Di quelle passate, di quelle presenti e perfino di quelle future!
Possiamo anche rafforzare e cambiare le nostre vite più deboli e sfortunate, dando loro la conoscenza e il potere di questa nostra vita o di altre.
E questo cambiamento in meglio si rifletterà nella nostra vita presente. Perché?
Perché cambia da negativo a positivo l’influsso che quella vita sfortunata o sbagliata ha su quella attuale. Come dire che cambiamo il nostro karma.
Tutto ciò può suonare incredibile. Possiamo allora migliorare una vita passata? Possiamo dunque cambiare il passato?
Sì, possiamo farlo. Perché il tempo è solo un’illusione, non ha significato.
 
 
Come ho già detto un’unghia non sa che il corpo cui appartiene sta andando ad accendere un televisore. Non capirebbe neanche cosa significa accendere un televisore, e anzi non sa neppure di appartenere a un corpo.
Lo stesso accade a ciascuno di noi, chiuso nella propria singola minuscola esistenza, rispetto al Flusso.
Ma cosa fa il Flusso cui appartengo, dove sta andando?
Può sembrare incomprensibile: se il Flusso è fuori del tempo, se nell’Altra Realtà il tempo non esiste, come può il Flusso andare in qualche luogo? Come può evolversi?
Eppure si evolve.
Questo non può essere spiegato a parole, dev’essere sperimentato come molte verità dello sciamanesimo. Ma esiste un’evoluzione che è al di fuori, al di sopra del tempo.
Lo farò sperimentare, capire in pratica nei Cerchi di Tamburo sul Flusso.
 
 
 
LEGGE 3 DEL FLUSSO:
 
La nostra vera vita è il Flusso di tutte le nostre esistenze, non la singola esistenza.
 
 
  Il flusso dunque ha un “destino”. Su questo “destino” la singola esistenza ha spesso poco peso, talora è perfino irrilevante, ma può anche contribuirvi molto o al contrario essergli di impaccio.
Destino è tra virgolette perché non è un destino scritto una volta per tutte, esso può venir cambiato, così come possiamo cambiare il nostro “destino” individuale.
 
 
 
Entrando nel flusso, ossia allargando la propria coscienza al flusso, come gli sciamani sanno fare, possiamo orientare meglio il nostro flusso verso il suo “destino”, anche correggere il “destino” cioè la direzione dove il flusso sta andando, e possiamo far sì che questa nostra esistenza dia a tale direzione un forte contributo.
 
 
 
 
La Via Lattea che quasi tutti i popoli antichi dicevano essere il luogo dove vanno le anime dopo la morte.
Di fatto il Flusso appare nelle visioni e agli sciamani che vi entrano come una Via Lattea in movimento, dove le stelle sono le numerose esistenze.
 
 
 
Fortuna e felicità vengono dal Flusso
Quando viene da me una persona sofferente afflitta da cattiva sorte o mancanza di potere personale, spiego sempre che la fortuna non è che il fluire della Vita.
L’espressione Non è che è uno scherzo, poiché il fluire della Vita è la cosa più importante del mondo per delle creature viventi!
La Vita ha le sue leggi e, come un fiume, segue un suo corso.
Quando ci adattiamo alle leggi della Vita e il nostro agire, i nostri desideri sono allineati con corso del “fiume”, abbiamo fortuna e potere.
Se siamo ai margini del “fiume” la situazione è per noi neutra.
Quando invece i nostri obiettivi sono contro-corrente, abbiamo sfortuna.
Se la sfortuna si prolunga per molti anni, spesso vuol dire che, per posizioni ideologiche o per esperienze male interpretate, abbiamo convinzioni in contrasto con le leggi della Vita e quindi ci mettiamo al di fuori della sua “corrente” e del suo potere.

Se accettiamo umilmente le leggi della Vita e ci allineiamo ad esse, la nostra sorte cambierà.
 
Talora però questo non basta a darci vera fortuna e felicità.
Esiste infatti una fortuna di livello più alto. Questa viene dal Flusso.
Quando la nostra esistenza è allineata al nostro flusso, ossia contribuisce al “destino” del flusso, ne avremo fortuna.
Se invece è irrilevante o quasi al cammino del flusso, allora non saremo aiutati né danneggiati.
Se addirittura la nostra esistenza va contro il flusso, è di impaccio al suo cammino (o “destino”) allora potremo averne malasorte e infelicità.
 
Perciò quando, entrando nel flusso, modifichiamo la nostra esistenza per farla contribuire molto al cammino del nostro flusso, non soltanto ci impegniamo per il vero scopo della nostra vita – ma ne abbiamo di riflesso, come premio se volete, un dono di fortuna e potere e soprattutto ci si schiudono le porte della felicità.
Poiché, fortuna a parte, solo scoprire il senso della nostra vita, la vera vita e lavorare per esso può renderci felici.
 
 
 
Le Porte del Flusso
Una delle cose più stupefacenti entrando nel Flusso è scoprire che molte cose cui noi attribuiamo la massima importanza, sono in realtà, nella realtà vera, del tutto irrilevanti oppure non esistono affatto.
Non soltanto non esiste il tempo, ma molte delle nostre certezze sono completamente inventate e molti dei nostri valori sono fantasticherie o roba insignificante.
Non posso qui farvi degli esempi, perché non li capireste oppure non ci credereste! Sono cose da sperimentare di persona.
 
Per entrare nel Flusso esistono Porte, note agli uomini fin dalla più remota antichità.
I nostri avi già nell’età della pietra, sapevano come entrare e uscire dal Flusso.
Ma poi in tempi remotissimi queste Porte vennero chiuse e sigillate.
Furono gli uomini stessi, o meglio i loro capi, a farlo per impedire a quelli più deboli di perdersi. Essi costruirono dei sistemi di credenze e di valori intorno alla loro piccola esistenza, sistemi che spiegassero il mondo e il senso della vita dal punto di vista dell’unghia. Un mondo fittizio al cui centro ci fosse non la persona vera (il flusso), ma l’unghia.
Chiusero le Porte per entre nel Flusso e solo ai grandi sacerdoti o sciamani fu concesso di aprirle. Anzi col tempo solo questi eletti sapevano della loro esistenza.
Con l’avanzare dei millenni anche i capi iniziarono a credere al mondo e alla conoscenza fittizie che loro stessi avevano creati e si dimenticarono di quelle Porte. Questa sapienza diventò esoterica e solo poche stirpi di sciamani la conservarono trasmettendola ai loro allievi.
 
 
 
Gli antichi signori
Dove va dunque il mio flusso o il vostro?
Dove vada non è automatico, siamo noi in tutte le nostre esistenze a decidere il suo destino. Ma una voce lo chiama, ci chiama tutti alla casa da cui proveniamo e che non abbiamo mai conosciuto, mai in nessuna delle nostre esistenze.
E’ questa che ad es. i cristiani chiamano la casa del Padre…
 
In tempi remotissimi, quando la Terra ancora non esisteva, alcuni abitatori di un lontano mondo di luce, chiamati a volte dagli sciamani gli antichi signori, dopo un terribile conflitto di cui in questa realtà non potremmo mai capire nulla, dovettero fuggire dal loro mondo. Per mettersi in salvo approdarono sulla Terra e crearono la Vita per nascondersi dentro di essa. Più esattamente crearono il DNA, essi sono fin da allora nascosti dentro ogni forma vivente portatrice di DNA.
Gli antichi signori appaiono nell’Altra Realtà con l’aspetto di draghi o di rettili alati. Il loro Potere è affine a quello del Serpente, per questo il DNA che hanno creato ha forma di serpente arrotolato e per questo dinosauri e rettili furono tra le prime manifestazioni evolute della vita e questa forma è contenuta in tutte le forme complesse (ad es. quella parte di cervello detta rettiliana).
Gli antichi signori crearono anche l’illusione del tempo. Gli organismi viventi che loro crearono per celarsi in essi sono quelli che chiamiamo flussi di esistenze dove lo scorrere del tempo non esiste.
Ma per nascondersi meglio e impedire che le loro creature potessero tornare al Mondo di luce da cui erano fuggite, sbriciolarono la coscienza degli organismi viventi: ogni flusso allora invece di una coscienza unica ha una coscienza chiusa nell’unghia, una in ogni capello, una nel naso etc. E l’unghia non può rendersi conto dell’organismo nel suo insieme perché l’illusione del tempo glielo impedisce: l’unghia crede di venire dopo l’occhio destro, prima di un dato capello e così via.
Anche se però gli antichi signori dovettero fuggire dal loro mondo lontano, questo mondo, il popolo di questo mondo ci chiama, chiama tutte le forme viventi perché siamo tutti suoi figli.
 
 
 
 
Il Popolo delle Stelle
Il popolo di quel mondo lontano era chiamato dagli antichi, ad es. da coloro che edificarono la Porta del Sole sulle Ande, il popolo del Sole.
Essi sono infatti connessi al potere del Sole, come spiegherò in futuro. Ma non vengono certo dal Sole, provengono da molto più lontano. Per questo a me e a quelli del nostro tempo si presentano come popolo delle Stelle.
In altre delle nostre esistenze, ad es. future, questo nome potrebbe sembrare inadeguato e potremmo chiamarli popolo della Luce o anche questo un giorno non andrà più bene e loro si presenteranno in altro modo.
Quel che possiamo dire è che appaiono a noi come esseri molto luminosi.
 
Il popolo delle Stelle ha lasciato presso tutte le Porte del flusso delle “antenne” per trasmetterci un loro messaggio.
Quando entriamo nel Flusso, varcando le Porte, le antenne si svegliano e ci comunicano più o meno sempre la stessa cosa, molto semplice: che il Popolo delle Stelle ci chiama, che apparteniamo al loro mondo, dove ci aspettano.
Spesso dicono che vi verranno a prendere presto, di prepararci per il viaggio.
Ma il viaggio è del nostro flusso, non della nostra singola esistenza. E questo equivoco fa sì che spesso grandi gruppi di persone attendano invano l’avvento di un nuovo mondo che invece non arriva.
 
Nelle maggior parte dei casi sono solo sciamani e maestri a saper entrare nel Flusso e perciò il popolo delle Stelle si rivolge a loro e li invita a portare quante più persone con sé verso i mondi di luce.
Questo hanno cercato appunto di fare in ogni luogo e tempo maestri spirituali e capi religiosi.
Il ritorno ai mondi che sono la nostra casa di origine ma che non abbiamo mai visti è il paradiso dei cristiani e degli islamici. E’ l’uscita dalla ruota delle incarnazioni dei buddisti, ed è l’avvento del regno di Dio dei cristiani antichi e degli avventisti.
Gli antichi cristiani in particolare quando parlavano di risurrezione dei morti in cui i corpi si sarebbero trasfigurati si riferivano proprio, senza capirlo, al corpo “completo” del Flusso che entra nei mondi del popolo delle Stelle.
Oggi molti credono a civiltà extraterrestri che verranno a cambiare la nostra vita, anch’essi hanno ricevuto e interpretato in modo moderno l’appello del popolo delle Stelle.
Alcuni addirittura predicano che gli extraterestri verranno a prendere gli eletti su navi spaziali. Questa è il solito equivoco: il popolo delle Stelle verrà appunto a prenderci ma non nelle nostre singole esistenze, è il flusso che si imbarcherà con loro.
 
Poiché non tutti sono in grado di entrare nel Flusso o di entrarci senza perdersi, i maestri in ogni tempo hanno dato ai loro seguaci regole adatte per riuscire a dirigere il flusso verso il popolo delle Stelle. Queste regole cambiano a seconda del capo e dell’uditorio cui si rivolge, ma il fine è sempre lo stesso.
Molti ad es. hanno insegnato ai loro adepti a distaccarsi dai poteri terreni per aiutarli a dirigere il loro flusso verso le stelle. Ma questo non è in sé necessario né è adatto agli uomini moderni.
Poteva andar bene agli antichi che nella terra erano molto radicati ed erano fortemente assoggettati a questi poteri. I moderni però sono già molto distaccati dalla Madre Terra e far loro disprezzare le forze terrene e dei Mondi inferi li rende deboli e privi di radici, e il loro viaggio verso le Stelle diventa velleitario quando non isterico.
 
Oggi il popolo delle Stelle ha chiesto a me di portare molte persone verso di loro.
Da sciamano insegno a chi mi segue a diventare forte coi poteri della Terra e dei Mondi sotterranei per poi con questa forza volgere il proprio Flusso verso le Stelle. Perché, come insegnano gli Indiani d’America:
 
 
L’uomo è come un albero
che deve affondare le sue radici molto in profondità nella terra
per poter innalzare i suoi rami su su fino al Cielo.
Anche se gli antichi signori dall’aspetto di draghi dovettero fuggire dai loro mondi stellari, non dobbiamo considerarli nostri nemici di cui sbarazzarci: sono infatti stati proprio loro a crearci e portiamo in noi stessi la loro natura.
Se andiamo verso le Stelle, dentro di noi e con noi i draghi tornano a casa.
Se i poteri della Terra e dei Mondi sotterranei, possono renderci forti e darci la buona sorte, dirigere il nostro flusso verso le Stelle dà il senso della nostra vita e la felicità.
Perché nessuno è felice fin quando non torna a casa.