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Nel 1972 Alighiero Boetti (Torino 1940 – Roma 1994) cominciò a firmarsi “Alighiero e Boetti”. Era questo il punto di arrivo di una riflessione sullo sdoppiamento fra realtà e linguaggio iniziata negli anni Sessanta (“Gemelli” 1968, foto-cartolina di lui che tiene per mano se stesso). Trasferitosi da Torino a Roma, l’artista diveniva pioniere e protagonista dell’arte concettuale in Italia, grazie anche ai suoi interessi per la filosofia, la matematica e l’alchimia. Dopo una partenza “fredda” vicina al minimalismo americano (cataste di tubi e di lastre di eternit, vetrate) Boetti passava a soluzioni figurative improntate ad un gusto ironico di gioiosa eleganza cromatica. Con le sue invenzioni di sistemi iconici elementari è divenuto l’artista di neoavanguardia più gradito anche al grande pubblico: disegni a biro di ripetuto tratteggio, combinazioni di lettere dell’alfabeto su scacchiere, virgole su fondali blu come una nuova cosmologia, mascherine moltiplicate. Le sue opere presuppongono anche uno sdoppiamento  fra l’idea e l’esecuzione affidata a terzi. Sintesi brillante fra queste procedure e l’amore per la cultura medioasiatica, sono le Mappe: grandi arazzi o tappeti tessuti in Afganistan che riproducono le nazioni del mondo individuate ciascuna con il disegno della relativa bandiera.