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Pare ci sia un paese in cui l’arte d’avanguardia abbia ottenuto l’unanimità dei consensi, dall’opinione pubblica fino all’agenzia statale di controspionaggio: gli Stati Uniti d’America. Qui avrebbe agito la Cia per distribuire propri uomini nei consigli di amministrazione dei vari musei. Da qui sarebbe partita la Cia per esportare, attraverso alcune fondazioni, all’estero, artisti, musicisti e cineasti. Ininterrottamente dal 1947 al 1967 e all’insaputa dei vari Pollock Motherwell, Rothko, Armstrong, Gillespie, Johns, Rauschenberg, de Kooning, Warhol ecc.

Tutto questo secondo Frances Stonor Saunders che ha pubblicato il libro La guerra fredda culturale (New Press New York). Sicuramente il saggio non ha intenti scandalistici piuttosto è frutto di una mentalità puritana portata alla trasparenza e a una cruda lettura dei fatti. I fatti sono la fine della seconda guerra mondiale, la divisione del mondo in due blocchi.

L’arte delle neo-avanguardie americane, dall ‘Action Painting, al New Dada fino alla Pop Art ha costituito il sottofondo icono grafico della mentalità capitalistica, corrispondenza esaltante tra deregulation dei vincoli costituiti dell’economia e dei codici linguistici della tradizione figurativa. In entrambi i casi conferma il mito di un garantismo che ha sempre permeato la cultura anglosassone: l’individuo innanzitutto, la sua difesa e valorizzazione.

Non a caso troviamo sempre grandi magnati pronti a fondare musei e a sostenere collezioni private sulla nuova arte americana, sempre comunque illustrazione di una società opulenta, immagine della affluent society, rappresentazione vitalistica e aggressiva della free society.

Per l’America questo significa l’espressione di libera arte in libero stato, per noi che l’arte è lo sma~liante sostegno pubblicitario di un sistema produttivo da celebrare ed esportare. Non a caso il nome ricorrente è quello di Rockefeller.

Il nome dei Rockefeller circola con insistenza nell’ambiente politico, ma anche in quello artistico se ne potrebbe stendere un elenco dettagliato che ricorda quello dei papi succedutisi nel Seicento e committenti di un arte, il Barocco, usata come propaganda della Controriforma e diga contro la Riforma protestante.

Se nessuno pensa a Bernini e Borromini come sostenitori della Santa Inquisizione così non è possibile fare facili equazioni tra arte ed imperialismo Yankee. Piuttosto colpisce l’inusitata sottigliezza culturale della Cia che contrappone alla cupa esportazione del realismo socialista da parte del Kgb il riconoscimento dell’importanza di un’arte che, come dice Nelson Rockefeller, rappresenta «la pittura della libertà di impresa».

E’ chiaro che l’arte sembra emendare i peccati di ogni committente, I’eccesso di iniziativa privata come il monopolio o la violenza per difenderlo. Gli americani hanno censurato per esempio che a monte dell’interesse dei Rockefeller per l’arte c’è un fatto avvenuto nel 1914 che ha portato poi alla fondazione del Modern Art Museum nel 1929 da parte di Mr. John D. Rockefeller.

Il padre di John, infatti, aveva represso uno sciopero in una sua miniera a Ludlow nel Colorado. Il risultato: la morte di alcuni minatori, di due donne e di undici bambini. Per far dimenticare l’eccidio fu consultato Ivy Lee, il maggior public relation man dell’epoca. Lee, per tentare di rilanciare la testata della grande Family, consigliò di associarne il nome a opere di beneficenza e di cultura. Così si arriva alla creazione della Rockefeller Foundation e del Moma.

Scelta efficace per la committenza, gli artisti ed il pubblico. Naturalmente funzionale allo scopo fino all’esplicita dichiarazione di David Rockefeller: «Da un punto di vista economico l’impegno nelle arti può significare diretti tangibili benefici, può apportare alla compagnia una pubblicità estesa e promozionale, una più smagliante reputazione pubblica un’accresciuta e consolidata immagine aziendale. Può incrementare meglio le relazioni con la clientela, una più pronta accettazione di prodotti della compagnia e un superiore apprezzamento della loro qualità. La promozione delle arti può sollevare il morale degli impiegati e attrarre personale qualificato„.

Ecco l’inaspettato riconoscimento di una funzione sociale dell’arte, anche quella di avanguardia che sviluppa un ottimismo sperimentale di nuove tecniche e materiali parallelo a quello produttivo delle imprese. Ecco anche la corrispondenza tra mentalità collettiva del sistema sociale e quella individuale di artisti come Jasper Johns che tramutano la bandiera americana in valore pittorico o Leo Castelli (triestino cosmopolita) che sostiene ed esporta l’arte americana nel mondo.

Sul piano del computo delI’import-export internazionale, gli Stati Uniti sicuramente hanno preferito a Karl Marx Groucho Marx, magari insinuandosi nei cervelli della sinistra europea di quel tempo, quasi tutti intorpiditi dai vapori dell’ideologia.

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