Dicembre 2007


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Galleria Arketyp’Art – Via Marconi, 2 – 86039 Termoli

COMUNICATO STAMPA

Si comunica che Sabato 29 Dicembre 2007 alle ore 19.00, in via Marconi n. 2 a Termoli presso Arketip’Art Gallery, si inaugura la mostra d’arte contemporanea “collezione privata, Picariello”. La mostra è composta da opere di grande prestigio che i direttori della Galleria hanno raccolto durante la loro carriera di promotori d’arte. Ogni opera, oltre a veicolare il messaggio dell’arte che le è proprio, contiene anche una sua specifica storia intima e segreta esplicata dall’incontro che l’artista protagonista ha avuto direttamente con il critico Picariello  Opere presenti di:

LOMBARDO, A. PACE, ORLANDO, KODRA, SAQUELLA, MASTROPAOLO, ANDERSEN, GIORDANO, VERRILLI, PERRONE, C. FONTANA, DIAZ URQUIZA, MANDELLI, SENATORE, SERRA, NAPALO, ELMA, CAVONE, MASCIA, MACOLINO, MASTRANGELO, CERRONE, GENTILE LORUSSO, FRANI, PEDULLA’, PULINI, ESPOSITO, MAROTTA, E. ACCIARO, V. ACCIARO, BUCCI, RIGHINI, PERI, MARINI, CHRISTO & J., LAURELLI, FALASCA, PILO’, FARALLI.

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libreria BOOK e WINE Pescara

Libreria Book e Wine, Via 397 da Denominare n. 30 – 65129 Pescara

BOOK E WINE-PROGRAMMA GENNAIO

giovedì 3 gennaio 2008 alle ore 17,30
presentazione del libro
“DIAMOCI DA DIRE”
di GIUSEPPE ROSATO
Edizioni Carabba
Intervengono: Alberto BIONDI, Giacomo D’ANGELO, Carlo ORSINI.

sabato 12 gennaio 2008 alle ore 17,00
presentazione del libro
“COMUNQUE PRIMA C’ERA”
di ANTONIO PICARIELLO


intervengono: F. DI GIOVANNI del centro OKI DO; F. GASPARRINI, critico
letterario.

domenica 13 gennaio 2008 alle ore 17,00
presentazione del libro
“LETTERE DAL PALAZZO”
di LIDIA MENAPACE
Edizioni Marea

intervengono: Giacomo D’ANGELO, Luciano MARTOCCHIA e Michele
MEOMARTINO.

sabato 19 gennaio 2008 alle 17,30
presentazione del libro
“MIE CARE NIPOTI”
di ANTONIO CIANCIO
Ediz. Noubs

intervengono: Cristina MOSCA e Giacomo D’ANGELO.

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(titolo, L’annunciazione)

http://www.studioraffaelli.com/da un precedente testo di a. p. per santolo:

Se si pensa al silenzio come il rovescio della parola si tratta di comportarsi con il silenzio come ci si comporta quando si rovescia un broccato: il disegno da una parte è molto chiaro, molto rigoroso, molto colorato. Girato, dall’altra parte presenta molti fili intrecciati e complicati.
Quando si decide di indicare qualcosa per mezzo del titolo si sceglie l’atto che sostituisce il vuoto statico della parola con la sua corrispondente immagine. Ma ci vuole coraggio perché il titolo è menzogna. E’ fenomenologia che incastona in quello stesso spazio gli assalti di significanti pretestuosi che aprono varchi contestuali nel servilismo visivo di chi si scontra con l’indicazione semiologica. C’è bisogno di liberarsi della visione dell’enunciato per poter sopravvivere alle definizione obbligatorie della materia . E’ obbligo per chi si intrappola in questo indice, concentrarsi sull’indirizzo dato che di fatto è una pressione semantica, un volume della significazione che sfreccia nel corpo della comunicazione facendo di chi ne è rimasto affascinato un san sebastian folgorato dal piano delle apparenze e delle significazioni.
Ogni “inauteticità” della memoria attiva, è la mascherata delle avanguardie; una comicità sottile che contiene in sé la consapevolezza di non poter mai fare ridere. Sotto questo aspetto per molti decenni il significante prevalente, ha governato con un’audacia infiammante il mondo delle idee avanguardistiche, convenzionando codici fatti di silenziose accettazioni esaltanti, provocate e promosse dall’impresa del “fare vuoto” mentale e poter così ri-strutturare gli interstizi esistenti tra le avanguardie antecedenti e le avanguardie successive; tra un prima che aveva consolidato il proprio passaggio esistenziale con una sapiente collocazione nelle stanze dei musei, e un dopo che in questo ambito doveva ancora capire come collocarsi, o farsi collocare, fin quando non arrivarono le fauci onnivore della cupidigia del mercato selvaggio governato dai mercanti onnivori e carichi di cupidigia assoluta. E’ il significante, latore di un significato nascosto che attraverso il titolo riemerge sotto forma di strutturalismo perentorio, anche per poter ritornare alla funzione apparente di dover e poter mutuare con qualsiasi aspetto realistico, la presenza e l’auto-rappresentazione del contemporaneo. E’ la stessa forma che si sposta attraverso il vuoto; un vampirismo dell’antimateria fatto di significato dominante che svuota e paralizza ogni tentativo processuale con l’arroganza di una semiosi “amagica” e illimitata. E’ il punto dove il significante diventa nuovo significato, ma soprattutto, il luogo dove il significante ritorna sempre a spazzare i segni di ogni attività costruttrice che si illude di essere eterna. Il titolo sottrae l’opera al suo codice di significazione, agisce mediante il potere della parola creando un senso nascosto, non immediatamente percepibile […]quel godimento estetico derivato dal doppio senso o dal suo continuo decentramento che è l’attrazione fluttuante di ogni discorso latente. Bisogna però asservirsi al senso morale che i segni stessi pronunciano nel loro silenzio, e che vuole il significante “imposto” a principio di un sistema, come l’inizio della fine di quella struttura perché logora la sostanza, logora il contenuto “affidandosi” solo ed esclusivamente, il compito di reggere perennemente la forma, che sopravvive grazie ai significati con i quali, a cicli, si riempie e ingrassa.
Non può esserci materia senza spirito, così come non può esistere l’opera senza il titolo e viceversa.

I miei soggetti non hanno nulla di simbolico, sono le cose che sono, non rimandano a nulla altro che non sia il loro assurdo proliferare dove la pittura si moltiplica come la cellula dividendosi all’infinito. Una finestra aperta sull’infinito che contiua al di la dei limiti del quadro….. Non è un al di la o un al di qua della pittura ma è quel grado di visionarietà che ti permette di portare le immagini al “altra definizione” più che ad alta definizione. Una defiizione più delinquente di quanto la realtà può presentarsi in telecamera”. La definizione di una pittura che supera la “confezione artigianale” dell’opera e l’applicazione tecnica dello strumento, questa certo che è delegabile ad altri. Ce ne sono di pittori in giro, ottimi tecnici ma che, non avendo un grado di visionarietà , gli si deve almeno riconoscere nella migliore delle ipotesi un grado di “televisionarietà”.

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