Febbraio 2007


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Maurizio Deoriti “Storia di Iop e Tata”
Il Surmentale, acquerelli
X° Giornata Parapsicologica Bolognese – Bologna, Sala del Baraccano
 “Sri Aurobindo (1872-1950) è il più grande yogi di tutti i tempi. E’ un avatar, venuto sulla terra per compiere una grande azione. La sua azione è stata aprire i territori del surmentale e sovramentale. Esplorando tutti i vari stadi dell’estasi coscientemente, si trovò al cospetto di due territori della creazione fino allora inesplorati.
Il surmentale è il territorio dove nascono le religioni e l’arte, il sovramentale è il territorio dell’intelligenza pura e della creazione.
La Storia di Iop e Tata in questi acquerelli è dedicata a Sri Aurobindo e a Mère, vuole essere una traduzione del senso del territorio surmentale.
Il Formichiere (la monade) canta nei territori incontaminati dello spirito. Iop (il principio primario) è a cavallo dell’Ostripante (che rappresenta il rajas, una delle tre Guna, delle tre qualità induiste: tamas, rajas, sattwa). Da qui Iop esplorando tamas, rajas e sattwa, conoscerà la Tata, il principio femminile.
Tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo la “nuda roccia sul fondo” è uno dei temi dell’avventura di Sri Aurobindo sulla terra: conoscenza ed esplorazione dell’inconscio e del subconscio operata da lui e da Mère, la grande jogini sua principale collaboratrice.
Nella storia, Iop trovata la Tata rapita dai mostri dell’inconscio, scenderà in quell’inconscio per liberarla e porterà i mostri (le creature) nel surmentale (il paradiso), in una gioiosa comunione evolutiva.
 

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LE OVAROLE – incontri con signore
“STORIE DI DONNE E DI LAVORO IN UN PAESE DI MARE”    

STORIE DI DONNE E DI LAVORO IN UN PAESE DI MARE Lo spettacolo, curato da Lelia Serra e Gabriela (Leli) Nottoli, rientra nella rassegna “LE OVAROLE – incontri con signore” organizzata in collaborazione con l’Assessore alle Pari Opportunità e il Consigliere di Parità della Provincia di Forlì-Cesena
Ingresso ad offerta libera che verrà devoluto al Centro Donna di Cesenatico-Domenica 11 marzo 2007 – ore 16

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La Réunion a échappé aux plus fortes rafales de Gamède. Le cyclone tropical continue en effet sa route vers l’ouest. Mais son passage n’aura pas été sans incidence, notamment pour le sud de l’île isolé à la suite de l’effondrement d’un des ponts de la rivière Saint-Etienne.A 16 heures 30, Gamède contunait sa route vers l’ouest. Il se trouvait en effet à 18.3 sud et 54.0 est, soit à 320 kilomètres de la Réunion. Il poursuit sa route en direction de l’ouest nord-ouest à la vitesse de 9 km/h. Ce qui l’éloigne de la Réunion. Mais notre île est toujours sous l’influence des énormes masses nuageuses du cyclone tropical. Ce mauvais temps, caractérisé par des vents encore violents (des pointes de 100 km/h ont encore été relevées à Saint-Denis) et des précipitations importantes, pourrait durer encore plusieurs jours. De ce fait, l’alerte rouge reste de mise jusqu’à nouvel ordre. Ce qui n’empêche pas de nombreuses personnes de braver l’interdit.
Gamède continue de s’éloigner
“La cyclone Gamède s’éloigne vers l’ouest nord-ouest à 15″La cyclone Gamède s’éloigne vers l’ouest nord-ouest à 15 km/h. Une lente amélioration est espérée mais de fortes rafales de vent vont persister au cours des prochaines heures ainsi que d’abondantes précipitations”, indique la préfecture dans un communiqué publié à 14 heures. Les infrastructures ont cependant bien souffert au cours des dernières heures. 100 000 foyers sont toujours privés d’électricité En ce qui concerne le réseau téléphonique, 40 000 abonnés n’ont plus de ligne. Le réseau de téléphonie mobile a également bien souffert. 50 sur 300 du réseau SFR et les deux tiers du réseau Orange sont hors service. A noter aussi qu’environ 100 000 foyers n’ont pas d’eau. L’état du réseau routier est pour sa part difficilement évaluable. Une trentaine de radiers sont submergés.km/h. Une lente amélioration est espérée mais de fortes rafales de vent vont persister au cours des prochaines heures ainsi que d’abondantes précipitations”, indique la préfecture dans un communiqué publié à 14 heures.
Le sud isolé
A Saint-Louis, le pont de la Rivière Saint-Etienne, long de 520 mètres, s’est effondré, provoquant une vive inquiétude pour les maires du sud. Ce pont, emprunté quotidiennement par 50.000 véhicules, est vital pour les liaisons routières entre les diverses communes du sud, ainsi qu’entre l’ouest et le sud. Selon des témoins, les piliers du pont se sont affaissés l’un après l’autre, “comme des dominos”, après la rupture d’un premier pilier. Un pont en amont permet toujours une liaison sur deux voies entre Saint-Louis et de Saint-Pierre, mais son état devra être examiné avant toute ouverture éventuelle.

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menu_slices_nuovo_01.jpgfog malevic celeste.JPGIl Pudore, Etna.jpgfolgore lenta 12E.jpgfolgore lenta 12A.jpgPietraluce.jpgbandoni valerio.JPGShifts vestiti.jpgin cerca di frasi 5C.jpg

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Gian Ruggero Manzoni nasce a San Lorenzo di Lugo, in provincia di Ravenna, il 22 marzo 1957, dove vive. Poeta, narratore, teorico d’ arte e pittore, compiuti gli studi presso il Liceo Classico Trisi-Graziani di Lugo di Romagna, nel 1975 si iscrive al DAMS di Bologna, con indirizzo Spettacolo, poi Arte.
Nel 1977, causa i fatti riguardanti il cosiddetto Marzo Bolognese, per motivi politico-giudiziari, deve lasciare la città emiliana e parte volontario nell’ Esercito. Prima specialista-pioniere nel corpo del Genio Guastatori, nel dicembre del ’77 fa domanda per entrare nel Battaglione San Marco, dov’ è accettato. Reclutato dai Servizi d’ Informazione Militari (SISMI) è addestrato a Verona e Vicenza, si congeda nel 1978 col grado di sergente.
Tornato alla vita civile, ripresi gli studi, si presta ai mestieri più disparati: dj, agente pubblicitario, venditore di barche a vela e motoscafi da competizione, poi rappresentante di rivestimenti in ceramica, venditore di pavimenti in legno, operatore culturale per l’ Associazionismo, speaker radiofonico, barman. In questo periodo sono molti i viaggi che fa in Europa, di solito in camion, accompagnando gli autisti di linea. Soggiorna a Parigi, Amburgo, Berlino, Marsiglia, Bruxelles, Londra, Barcellona, Praga, Kiev.
Nel 1980, in seguito all’attentato alla Stazione di Bologna, è richiamato dall’ Esercito perché sottufficiale appartenente ai Corpi Speciali. Ritornato a San Lorenzo riprendono i viaggi per l’ Europa. In particolare si reca in Olanda e in Belgio, dall’ amico Emilio Dalmonte, e in Germania. Nel 1986 parte per gli Stati Uniti dove, a Los Angeles, è ospitato dal poeta Paul Vangelisti. Nel 1988 è a Cuba.
Nel 1989 vede crollare il Muro di Berlino. Nel 1990 muore suo padre. Entra in una profonda crisi esistenziale (è in questo periodo che si avvicina agli scritti di Emile Cioran e di Alda Merini, con la quale poi s’incontrerà nel 2001). Dal 1990 al 1995, per chiamata, in seguito ai meriti artistici acquisiti nel campo delle Arti Visive, insegna Storia dell’ Arte, del Costume e dello Stile presso l’ Accademia di Belle Arti di Urbino.
Nella Pasqua del 1994, sebbene superati i limiti d’ età per un richiamo, accetta di andare in Bosnja, destinazione Sarajevo, come informatore per l’ Esercito Italiano.
Partecipa agli scontri armati avvenuti a Zenica, cittadina poco a nord di Sarajevo. Dopo varie traversie riesce a tornare in Italia. Riprende l’ insegnamento ad Urbino.
Colpito dal Morbo di Crohn, lasciato l’insegnamento fisso, ora lavora come docente a contratto tenendo seminari sui rapporti che sono intercorsi tra Letteratura e Arti Visive dalla Rivoluzione Francese ai giorni nostri.
Ama abitare in provincia e, come di solito dice, “dell’ uomo di provincia possiede tutti i difetti, ma anche tutti i pregi”.

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Cattura del soffio

“Spero che l’aver scritto queste parole mi esoneri dall’essere attrice. Mi prendo la libertà di un colpo di tosse in scena. Mi prendo la libertà di tenere le mie inflessioni romagnole, senza le quali sarei una persona in forte disagio, in forte stato di lontananza da casa, di lontananza dal suo centro, unico solenne luogo dal quale può fare dono di sé. A chi pensa che per questo ci si troverà di fronte ad una noiosa lettura di autore, posso dire che non sarà così. In primo luogo perché la musica dei Bevano Est è bella, è viva, è rustica e raffinata. Poi perché c’è una regia sapiente, che appena scivolo dalla parte dell’autore mi bastona con precisione. E in fine perché i versi che leggerò sono nati molto vicino alla scena, e conoscono la sofferenza di uno spettatore costretto in poltrona. Vorrei che fosse una festa delle orecchie, una semplice lieta festa di chi ode, ode esattamente, profondamente tutte le sfumature del suono, le sue parti tonde, le pendenti, le molli. Col capogiro della parola”. M.G.

Mariangela Gualtieri è nata nel 1951 a Cesena, in Romagna. Si è laureata in architettura all’IUAV di Venezia. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca, di cui è drammarturga.
Fra i testi pubblicati: Antenata (ed. Crocetti, Milano 1992), Fuoco Centrale (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1995), Nessuno ma tornano (Centro Editoriale Università degli Studi della Calabria, Cosenza 1995), Sue Dimore (ed. Palazzo dell’Esposizioni di Roma, Roma 1996), Nei Leoni e nei Lupi (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1996), Parsifal (ed. Teatro Valdoca, Cesena 2000), Chioma (ed. Teatro Valdoca, Cesena 2000), FUOCO CENTRALE e altre poesie per il teatro, (Giulio Einaudi ed. Torino 2003), Donna che non impara (Galleria Emilio Mazzoli, Modena 2003). In preparazione, sempre per Einaudi, la raccolta dei versi inediti.

Di lei Franco Loi scrive: “… Quel che distingue la poesia di questa donna è appunto la frantumazione da cui sembra gridare la propria ossessione… Ad una prima impressione di disgregazione e di dispersione corrisponde però un senso di unità e di raccoglimento. Il poeta, attraverso sè, e persino malgrado la propria disunità, richiama se stesso e le cose ad una centralità. Dunque ecco che i tanti talenti e il provarsi multiforme nel vivere e nel fare, trovano il ‘suo fermo e gioiso applicarsi’, il suo entusiastico donarsi all’esperienza dal fondo, spesso oscuro, di una centralità.”

Gabriella Rusticali è attrice del Teatro Valdoca, nel quale si è formata e col quale collabora dal 1985.
E’ interprete di rilievo dei principali spettacoli della Compagnia. Memorabile la sua figura in Ruvido Umano, Antenata, Nei leoni e nei lupi e Parsifal. Nel 2000 il Teatro Valdoca le dedica il monologo Chioma.

Bevano Est nasce nel ’90 come laboratorio di ricerca etnomusicale, all’interno della Scuola di musica Popolare di Forlimpopoli.
Rustico e raffinato sono aggettivi che ben si addicono a questo gruppo, che della musica popolare conserva la vispezza, il brio, lo struggimento, gli eccessi, l’esortazione al ballo, con una attualità che arriva dalla lezione dei maestri contemporanei, ed una grazia compositiva che lo rende unico.
Dal ’94 collabora col Teatro Valdoca, per il quale ha composto ed eseguito in scena le musiche di Parole porte parole ali e di Fuoco Centrale, di cui è in commercio l’omonimo CD.

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di Gabriele Perretta

Il mio lavoro, per quanto riguarda la riflessione sui media, parte alla fine degli anni ‘80 da questo presupposto: cominciare a indagare e a esperire il rapporto con i media che alcuni artisti giovani della generazione degli anni ‘80 (per generazione anni ‘80 non mi riferisco ad artisti che hanno poi delle caratteristiche che si identificano con questo decennio in una maniera negativa; in questo caso dico anni ‘80 soltanto come periodo storico; prevalentemente artisti che nascono dopo la seconda avanguardia, dopo quella che viene definita la neoavanguardia, artisti più giovani) costituiscono attraverso il loro lavoro. Nelle loro opere compare una considerazione forte dell’universo mediologico. A partire da questa traiettoria io comincio a considerare questo universo, però quello che vado sempre di più sperimentando e quello che vado sempre di più osservando è che in concomitanza, parallelamente al lavoro di ricerca degli artisti, nasce negli stessi anni un interesse di ordine teorico, più generale e staccato da quello che è il mondo della ricerca artistica sui media. Nella seconda metà degli anni ‘80 ( e questo non lo dico soltanto io ma ormai è una constatazione storica che andiamo a fare) si è visto che l’attenzione intorno ai media è esplosa incredibilmente sia da parte delle economie produttive del mondo capitalistico avanzato, sia per quanto riguarda il ‘calarsi’ di questo nuovo soggetto della comunicazione in questo rapporto con le macchine. E’ mutata la tendenza che c’era fino all’inizio degli anni ‘80.
Questo grazie al fatto che c’è stata un’espansione del mercato, un’espansione dei veicoli produttivi di queste macchine e l’affermazione stessa di queste macchine e di queste tecnologie sul piano internazionale.
Per cui a partire da alcuni di questi artisti nasce questa riflessione e collegata a questa riflessione sull’operato di questi artisti nasce invece anche l’esigenza di contenere un corpo più organico, un’idea generale di opera mediologica che sia anche strutturata da un punto di vista teorico.
Io grazie ai miei studi, grazie alla mia formazione (provenendo da quella che è l’indagine della Scuola di Francoforte e da quella che è l’indagine sull’opera d’arte come riproducibilità tecnica) ho fatto anche un lavoro di differenziazione rispetto alla tradizione e all’approccio che si ha sulla questione dei media da parte di quella tendenza più funzionalista, più comportamentale, quindi più americana e più, in qualche modo, Mc Luahniana.
A partire da questo, ovvero dalla grande riflessione di Walter Benjamin del saggio del 1936 “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, mi sono posto il problema del rapporto tra riproducibilità, e quindi distribuzione dell’opera, organizzazione del prodotto e composizione dell’opera come momento comunicativo. Quanto questi elementi mutassero la grammatica non solo compositiva dell’opera, ma anche l’approccio che l’opera stessa deve avere nella sua presentazione, nella sua esposizione al pubblico.
Quindi cosa succede? Ci sono degli artisti in quegli anni cominciano a lavorare sulla questione dell’interattività. Allora io prendo a prestito questa formazione, prendo a prestito questo veicolo, l’ elemento, il concetto e cerco di portarlo nella direzione degli studi più generali, più teorici sulle teorie delle comunicazioni di massa. Quando cominciavo a fare questo lavoro alla fine degli anni ‘80 non c’era tutto questo interesse e l’ esplosione che poi c’è stata dopo su queste questioni, per cui era anche un lavoro su una materia originaria, una materia che era in nuce, che si conosceva di meno. Adesso invece c’è un gran parlare, c’è un grande interesse, anche perché nel giro di sei o sette anni non solo, come dico spesso, il medialismo è un work in progress (per cui cresce da solo e non c’è bisogno di metterci le mani dentro, cresce nel momento in cui cresce la situazione storica e sociale che lo accompagna), ma è cresciuta anche tutta l’attenzione su queste questioni. Se prima all’inizio eravamo in una dimensione in cui ci chiedevamo: “la comunicazione ha molto o poco a che fare con l’arte?”, “da dove parte?”, “come parte?”, adesso siamo passati a un’accettazione, quasi come se fosse un dato implicito il fatto che la comunicazione sia ‘intrinseca’ al comportamento stesso dell’opera e quindi all’evoluzione del comportamento dell’opera d’arte.Nella prima fase ero più preoccupato di dare una definizione storica di questo fenomeno e scoprire quelli che erano gli anelli che riconducevano a una serie di questioni generali per le quali si identificava la comunicazione nell’opera d’arte.Adesso invece sono più interessato a capire come tutto ciò si è evoluto e quali direzioni ha preso.Naturalmente, fin dall’inizio questo rapporto, e la relativa questione, tra arte e comunicazione aveva intrapreso delle strade.Cerchiamo di capire quali.Io ne avevo individuate alcune.Per quanto riguarda l’indagine sulle pratiche artistiche, andavo collocando la questione in questo modo: c’era una situazione legata alla pittura, che io chiamavo pittura mediale perché mutuava dall’universo mediologico e faceva una pittura non-pittura; nel senso che eseguiva una pittura che non voleva essere pittura, ma voleva essere un richiamarsi all’immagine mediale. Poi seguivo una seconda tendenza che assumeva delle connotazioni sempre più mentali, analitiche e più che di un’opera materialmente concepita pensava ad una collocazione dei linguaggi, dei codici, dei segni in un universo più espanso, più aperto, che andava dall’utilizzo di strumenti tradizionali fino ad arrivare a tecnologie avanzatissime, però facendolo con questo atteggiamento molto analitico, molto mentale. Infine c’era invece una terza conformazione che era legata a quei gruppi, quelle bande, quelle associazioni anonime che lavoravano attraverso dei segnali di riconoscimento più che attraverso la propria firma come atto di riconoscimento, la firma individuale, la firma dell’autore come atto di riconoscimento.Questa era la prima fase del medialismo.Tutto ciò naturalmente si è sviluppato. Io prevedevo che si sviluppasse rapidamente e quindi c’è stato questo passaggio dove alcune tendenze hanno perfezionato la loro attitudine più mercantile. Altre tendenze di questo stesso fenomeno hanno applicato le loro ricerche in una maniera più oggettuale, facendo un lavoro più oggettuale. Altri invece si sono spostati su una linea estremamente immateriale dove, e questo è il lavoro che mi interessa di più, c’è più che produrre un oggetto hanno sempre di più prodotto un pensiero sulla comunicazione nel farla che a sua volta fosse sempre di più estensione del concetto stesso di comunicazione.Per cui a partire da quest’ultima tendenza, il rapporto con le tecnologie e i new media è indispensabile, perché i new media e le nuove tecnologie, per quanto riguarda questo tipo di ricerca, sono dei veicoli, degli strumenti, degli apparati tecnici indispensabili per strutturare questa forma di comunicazione. Una forma di comunicazione che, nel momento in cui viene tra l’altro a precisarsi, a concentrarsi e ancor meglio a identificarsi, perde sempre di più la sua natura tradizionale di opera d’arte e quindi si autoproduce sempre di più come prodotto della comunicazione, come elemento della comunicazione. Distinguo questi due termini perché quando si va sempre di più verso la comunicazione, praticamente si va sempre di più verso una dimensione in cui il rapporto con la riproducibilità tecnica dell’oggetto che l’artista in qualche modo pensa e poi realizza non è più quello che poteva essere nel passato. Non si pensa più di fare l’opera per collocarla nella galleria, ma si pensa piuttosto a un’opera che possa linearmente andare anche in una galleria, ma attraversare tutti i media possibili. Per cui, a partire da questo, io ho lacominciato a lavorare seguendo un tipo di operatore artistico che raccoglieva una serie di esperienze della comunicazione e poi attraverso un progetto, un design (e qui non utilizzo la parola design secondo il dizionario tradizionale delle arti che è riferito all’arredamento, ma design inteso come progetto). L’artista ha pensato a un design, a un progetto, dentro al quale potesse catapultare tutta questa serie di esperienze utilizzate attraverso la strumentazione tecnologica. In questo modo è successo che questa raccolta di esperienze, la raccolta di questi elementi, ha manifestato un disegno diverso, nuovo, specifico del nostro tempo, un disegno nuovo dell’opera e questa diversità, questa nuova forma di progettualità, si è riversata sempre di più verso l’universo della comunicazione.In questa direzione quì ci possono essere sia artisti singoli che lavorano, sia gruppi anonimi.Per cui tutta la questione precedente della prima fase del medialismo, dove si distinguevano questi tre momenti, attraverso questa raccolta di esperienze, viene a cadere. E’ come se questa prima fase venisse integrata da questa seconda, dove tutte queste esperienze, che erano abbastanza distaccate nella prima fase, vengono ad integrarsi. Vengono ad integrarsi come momenti e finiscono per diventare un modello unico che può manipolare sia il singolo artista, sia un gruppo di operatori che lavorano insieme.Io adesso sto lavorando su questo, e credo che il passaggio dalla prima fase del medialismo, che potrebbe essere legata di più a una dimensione più spettacolare dei media, adesso va all’interno, cerca di scavare problematiche e questioni più interne, per cui il passaggio è quello che avviene attraverso il contributo delle neuroscienze, la riflessione sulle neuroscienze e sulla filosofia della mente. Per cui questo lavoro artistico introietta e incamera sempre di più queste esperienze quindi attraverso l’utilizzazione della macchina, attraverso l’utilizzazione degli stessi new media, non sono più i new media ad essere importanti di per se, non siamo in una fase, secondo me, di esasperazione del mezzo e quindi di espressione del mezzo stesso, ma siamo in una fase in cui il mezzo viene realmente piegato alle volontà dell’artefice, alle volontà di colui che costruisce e compone il lavoro, compone l’opera. A partire da questo il lavoro diventa più mentale, nel senso che non c’è più l’esigenza di realizzare un oggetto o di realizzare un modo di essere dell’opera che sia riconoscibile e identificabile per il mercato, ma più che altro si tratta di acquisire questo passaggio fondamentale che avviene attraverso le reti, la questione delle reti e quindi il contributo che può portare tutto l’orizzonte digitale nuovo e poi introiettarlo all’interno della composizione dell’opera come fatto in progress per quanto riguarda l’esperienza della mente, per quanto riguarda l’espansione dell’universo ‘neuronico’ della medialità.

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