Maggio 2010


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L’Aquila

È molto che non scrivo. Ho perso la mano. Non la trovo più. Ho guardato da per tutto; sotto la cattedrale senza cupola, dentro i fazzoletti pieni di lacrime delle ombre che abitano questa città. Sotto le campane abbandonate nelle immagini che mi invia gasbarrini. Niente , la mano non sono riuscito a trovarla. So per certo, l’ho appreso dagli sciamani senza memoria, dai vecchi che vivono collegati ai polmoni di chi li accudisce, che le cose che non si trovano dettano le regole del gioco. Non vogliono farsi trovare. Si nascondono dentro gli occhi dei cercatori come i moscerini fastidiosi nella stagione delle vendemmie. Sono ubriachi nonostante la genetica gli ha confessato di appartenere anche loro vicino alla razza umana; volano all’impazzata e finiscono nel vischio lacrimale degli occhi. Loro muoiono e gli occhi piangono. A l’Aquila i moscerini hanno preso il posto dei sacrestani. Di notte sbattono contro le campane fotografate da gasbarrini e le fanno suonare. Una musica leggera appena percettibile, onde morbide da galleggiamento. Tanto basta alle novantanove cannule per mettersi in moto. Concerto notturno della città scomparsa.  Non oso pensare sia la mia mano a scorrere sulle dodici e un po’ di ottave per rallegrare il concerto della città scomparsa?. Dove è finita la città? Si è persa anch’essa? Trovando l’una, per sillogismo, troveremmo anche l’altra?. Sarà …. Forse questo è il pensiero che ha attraversato Celestino V al tempo in cui inventava Colle Maggio. Città magica L’Aquila… si nasconde per vedere se la sua gente riesce a ritrovarla… Farsi consacrare papa  lontano da Roma  poi …. E  aggiungerci il giubileo per far consacrare i visitatori della città al perdono di dio non è una “trovata” da poco….un molisano/abruzzese… ottocento anni e ancora ci si domanda chi fosse costui? Nato a limosano, a Morrone, a Isernia (bombardata dagli “alleati” a guerra terminata, Set cinematografico a poco costo….) E questi pellegrini dove andranno a purificarsi adesso che la città è diventata delle ombre? E le casette distribuite nelle zone dei lupi? E i lupi dove andranno adesso che le vie della transumanza hanno cambiato disposizione?. Troppi pensieri. Farò come insegnano i vecchi: aspetterò che la mano si voglia fare trovare….per il momento mi accontenterò  del concerto dei moscerini finiti nelle pagine delle carriole….

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Requiem per una fu città?

 

di Antonio Gasbarrini *

 

Domenica mattina 16 maggio 2010 ore 11: nel Corso agibile della città fantasma non girava più nemmeno un cane….

P. S.  Più o meno alla stessa ora, una folta rappresentanza del Popolo delle carriole marciava con i centomila pacifisti da Perugia ad Assisi. Contemporaneamente altri carriolisti, a L’Aquila, affluivano a  Collemaggio. Qui, nell’ex ospedale neuro-pschiatrico, effettuavano un lavoro di autentica bonifica in un paio di ambienti di una delle 27 palazzine colpite più dal degrado e dall’incuria, che dal terremoto. I solerti funzionari della Asl – primi responsabili dell’ingiustificato stato di abbandono dell’ingente patrimonio civico dell’intero complesso su cui già prima del terremoto avevano messo gli occhi speculatori d’ogni risma – anziché ringraziare il Popolo delle carriole, hanno denunciato alle autorità (così si legge nella stampa) i Comitati di base per l’occupazione di alcuni spazi. Le fotografie documentano, tra l’altro, il lerciume attorniante decine di costosissime apparecchiature riabilitative: chi risponderà dei danni finanziari arrecati alla collettività? La parola d’ordine “Collemaggio alla città” circolante nell’assemblea cittadina all’aperto che ha discusso di detassazioni, ricostruzione sulla faglia attiva di Pettino, predazione delle pietre storiche e monumentali, ed altri argomenti capitali per la reale rinascita della città morta, vale più di mille spiegazioni.

La creatività del Popololo delle carriole non conosce tregua. La performance nel piazzale antistante la Basilica, doloroso teatro di una delle tendopoli cittadine, ha utilizzato il giorno 23 la sola poetica della land art per far riaffiorare simbolicamente l’erba con la grande scritta “Collemaggio ai cittadini” sulla ghiaia da rimuovere totalmente per restituire agli stessi lo scomparso prato annaffiato con lacrime.

* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

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http://www.youtube.com/user/abruzzosvegliati#p/u/17/1tLokenVZBk

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http://www.youtube.com/watch?v=1wfamPW3Eaw

Io sono stato molte forme,

Io sono stato la lama affilata di una spada,

Io sono stato una goccia nell’aria

Io sono stato una stella sfolgorante,

Io sono stato una parola in un libro

Io sono stato un’aquila,

Io sono stato una barca sul mare

Io sono stato la corda di un’arpa

Io sono stato incantato per un anno nella schiuma del mare.

Non c’è niente in cui io non sia stato.

Taliesin

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·  Autori: Italo Calvino

·  Musica: Sergio Libedrovici

·  Anno:  1959

Re          Si-       La4
O ragazza dalle guance di pesca
La
o ragazza dalle guance d'aurora
Si-            Mi-La   Re   Fa#7
io spero che a narrarti riesca
Sol                      La
la mia vita all'eta` che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la citta` dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.
Re-
Avevamo vent'anni e oltre il ponte
La
oltre il ponte ch'e` in mano nemica
Re-
vedevam l'altra riva, la vita
La             Re-
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita e` oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore.
Sol
Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l'oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l'armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent'anni...
Non e` detto che fossimo santi
l'eroismo non e` sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non e` vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l'avvenire di un giorno piu' umano
e piu' giusto piu' libero e lieto.
Avevamo vent'anni...
Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c'eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell'aurora.
Avevamo vent'anni...

http://www.youtube.com/watch?v=jkwqA6Bn-tc&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=arpZ3fCwDEw

http://www.youtube.com/watch?v=SZegpd7rbS0

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http://www.detournementvenise.it/

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http://www.arteecarte.it/primo/articolo.php?nn=1330

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Campo Valentino – “L’arte di scavare pozzi”

LietoColle – Collana Aretusa

  La «generazione degli anni Dieci», quegli autori che hanno pubblicato i libri significativi in questo scorcio del nuovo millennio, è una generazio­ne particolarmente sfortunata.[…] si assiste ad una presa di distanza, ad una estraneità nei confronti di una riforma che intendeva in­trodurre surrettiziamente un genere di «scrittura» poetica paradigmatica. Quello che viene abbandonato e disconosciuto è il concetto feticizzato del «quotidiano» e l’adozione del linguaggio piccolo-borghese.

Capita così che in un autore significativo della nuova generazione come Valentino Campo si rinvenga il contrario di un linguaggio piccolo-borghe­se, un quotidiano de-quotidianizzato e de-poeticizzato, un contesto am­bientale straniato e irriconoscibile, un «quadro» vulnerato e incidentato, con una versificazione che slitta a sintagmi e a spezzoni, sulla misura del frammento o del microframmento, come se la zattera significazionista fosse stata crivellata dai colpi delle scritture desultorie appoggiate su ciò che nel novecento veniva indicato come significante di un significato sfuggente ed elusivo.[…] Così, a Valentino Campo non resta altro che ripartire dalla «Quarta guerra sannitica» (quella che non è stata mai combattuta, la strenua resistenza opposta dai sanniti alla omologazio­ne culturale ed ideologica dei «romani»); oppure dalle «Epifanie», (quel­le epifanie che si aprono come lacerazioni nel tessuto del «quotidiano» decontestualizzandolo); attraverso una severa scrittura che procede per straniamento e dis-locamento del discorso poetico in una procedura che obbliga il poeta a transitare in un sentiero altamente problematico e sti­listicamente «instabile». Un cammino olistico e un solipsismo stilistico tipico della globalizzazione e della sopraggiunta stagnazione, quasi che nell’epoca del digitale terrestre, degli aviogetti invisibili e dei treni su­perveloci non fosse possibile, per i poeti, che procedere con le stampelle e i lapsus di un linguaggio deturpato e denaturato, conservato in frigorife­ro, e sbrinato improvvisamente per una interruzione di energia elettrica.

  dalla prefazione di Giorgio Linguaglossa

 

sezione prima

IL NERO DELLA TERRA

 

Epifanie

 

Domenica delle Palme

 

Vidi, lo vidi

il nero della seppia

nel nero che recide

l’ombra dal suo doppio.

Persi la rotta nel timpano

                       del fiume,

gettai alla riva

all’ansa la mia voce,

al luccio chiesi

l’aria dei suoi bronchi

il filamento nel pantano;

all’onda resi

il sale dei miei anni.

 

 

Lunedì Santo

 

Ti so, ti sento,

ombra, mia presenza,

nel cavo dell’iride che sgrossa

il dalmata a nuoto nel trifoglio,

palla e fanciulla saldi al chiostro

stillano il miele dell’astro.

E tu ti celi nel cono

dei suoi dardi, nel midollo

delle cose, la schiena devo darti

se voglio il tuo perdono.

 

 

 

seconda sezione

DI LUCE IN LUCE

 

Angelica

 

*

La trinità si mosse

in un cono

di luce,

            sazia di luce

si guardò intorno

in un’aria di mosche.

Dal basso

risaliva la corrente

di sterpi lavati

con l’acqua dei cani.

Ora che tutto stava

           per compiersi

sentiva la scure

invocare il legno,

un ronzio d’incenso

benedire i suoi passi.

 

******

Angelica non parla,

dà la saliva

al nido delle tarme,

poi arriva al masso

dove il ramarro

                   dorme,

lo scuote, gli dà il cambio,

                     sale

per vedere il mare.

 

METEMPSICOSI

Primo movimento

 

Arginnide

 

Angelica, questo è il mio nome,

ombra che disponi l’ordito

e non ti fai vedere,

filo su filo

per placarti poi nel grido

delle mie ali.

…………………………

…………………………

Ma tu sai il mio nome,

                          lo tiene

l’occhio del ramarro,

sul dorso lo sento,

scaglia che beve

e raspa il pigmento.

E torno lì dove

non ero mai stata

                         sull’ara

da dove non mi sono

                    mai mossa.

 

ANABASI

Secondo movimento

 

 

Di luce in luce

fin dove traduce

             la luce,

di cielo in cielo

m’involo;

sono e non sono

altro non fui

altro che Lui.

 

 

Non piangere la sventura – dice la poesia – poiché essa sarà cantata. Canta la sventura – dice il poeta – poiché essa fu pianto. Così Angelica è morte e il poeta forma della morte. E la poesia circonferenza attorno al centro-vuoto. Questo centro-vuoto è l’ara-masso. Dove il ramarro prega. Il ramarro è il poeta e il poeta è rettile come cervello rettile, sepolto e custodito dalla pia mater. Qui giunge Angelica a scuotere il dormiente e dargli il cambio. La poesia dice – o Angelica o poeta. Dice il poeta – io sono Angelica.

Stefano Calzi

 


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In copertina: Ascensione di Mario Serra

 Giorgio Linguaglossa

La Nuova Poesia Modernista Italiana

(Roma, EdiLet, 2010 pp. 262 € 13,00)

Dopo molti anni di lavoro da parte dell’autore, finalmente è uscito il libro di critica della poesia italiana che mancava e che riempie un vuoto di trenta anni. Uno studio analitico e in rapida sintesi della poesia italiana dagli anni Ottanta agli anni Dieci del Duemila.

Dice l’autore: “Vista l’assenza di lavori critici sistematici credo che, forzosamente, occorrerà far riferimento a questo studio per comprendere che cosa è successo nella poesia italiana degli ultimi decenni.

È una riflessione che dovrà essere continuata nel prossimo futuro, e non è da escludere che io stesso o altri possa  (debba) continuare con una appendice il lavoro così avviato.”

Il libro è in vendita presso le principali librerie ma può essere richiesto anche all’editore via mail info@edilet.it  e-mail: info@edilazio.com che riserverà offerte speciali per acquisti pari o superiori alle 3 copie .

Indice

Introduzione di Carmine Chiodo

LA «NUOVA POESIA» MODERNISTA ITALIANA

per una critica della costruzione poetica

per una fenomenologia del poetico

LA« RAPPRESENTAZIONE» COME VIA INDIRETTA ALL’OGGETTO

 

la via indiretta all’oggetto:  sperimentalismo, ex Linea lombarda, informale

Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni, Camillo Pennati

la generazione degli anni novanta

il «nullismo» come frontiera del post-moderno

Roberto Bertoldo

il punto di non-ritorno delle poetiche novecentesche

LE LINEE LATERALI DEL SECONDO NOVECENTO

la poesia lirica dopo il mitomodernismo

Giuseppe Conte

dal post-ermetismo alle poetiche del realismo

Alfredo de Palchi, Luciano Luisi, Alberto Bevilacqua

LA «NUOVA POESIA» MODERNISTA

la questione del realismo integrale nella «nuova poesia» modernista

Dante Maffìa

l’interrogazione dell’assenza nella poesia di Dante Maffìa

l’irrealismo onirico-surreale della poesia post-lirica

Giuseppe Pedota

la regalità funebre e apollinea della «nuova  poesia» post-simbolistica

Roberto Bertoldo

la poesia civile,  il tema amoroso, lo stile metaironico

Fabio Scotto, Mirko Servetti, Salvatore Martino, Francesco De Girolamo

il discorso degli «spazi interiori» e la linea incendiario-umoristica

Vincenzo Anaìa, Leopoldo Attolico

la poesia deterritorializzata, l’anti-carnevalizzazione e il «discorso sulla menzogna»

Luca Benassi, Faraòn Meteosès (pseudonimo di Stefano Amorose), Daniele Santoro

LA «NUOVA POESIA» MODERNISTA FEMMINILE

la retro-rivoluzione del linguaggio poetico

Helle Busacca

la koiné espressionistica della posizione monadologica

Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi

l’illuminismo stilistico e la poesia tra prosaicizzazione e  stile alto-numinoso

Giorgia Stecher, Chiara Moimas

la poesia tra disumanizzazione e sublimazione

Lidia Are Caverni, Laura Canciani, Maria Rita Bozzetti

il canto monodico della monadicità dell’io

Maria Consolo, Maria Benedetta Cerro, Anna Ventura

la poesia neo-pagana e l’espressionismo «significazionista»

Rosita Copioli, Isabella Vincentini, Gabriella Sica, Giovanna Sicari

la procedura stilistica simbolico-allegorica

Daniela Marcheschi, Maria Teresa Ciammaruconi

il «dialogo» come autorappresentazione dell’io e il reale neo-iposurreale

Lidia Gargiulo, Giuseppina Amodei, Serena Maffìa, Elena Ribet, Daniela Bellodi

 

IL VERSANTE LIRICO DELLA «NUOVA POESIA» MODERNISTA

la linea metafisico-escatologica

Fornaretto Vieri, Mauro Germani

la stanchezza del tempo e la sensiblerie del Tramonto

Francesco Giuntini, Tiziano Salari

il modello  del «nuovo realismo» e il neocrepuscolarismo post-moderno

Valentino Campo, Fabrizio Dall’Aglio

LA «NUOVA POESIA» VERSO LA SOLUZIONE NARRATIVA: LA POST-POESIA

                       

dallo sperimentalismo alla narratività dello sguardo «interno»

Cesare Viviani, Fabio Troncarelli

post-simbolismo, esistenzialismo, carnevalizzazione

Sandro Montalto, Alfredo Rienzi, Adam Vaccaro

dal post-discorsivo alla post-poesia

Davide Rondoni, Roberto Pazzi, Luciano Troisio, Giancarlo Baroni

lo sguardo prospettico e la lingua poetica del «falegname»

Davide Puccini, Nello Rosolino Rosolini

la «fine» della civiltà del modernismo verso la post-poesia

Mauro Ferrari, Massimo Giannotta, Plinio Perilli, Andrea Di Consoli

LA VERSIONE ANTIMODERNA DELLA «NUOVA POESIA» MODERNISTA

la parola «remota»  e la figuralità «arcaica»

Luigi Manzi, Giancarlo Pontiggia, Luigi Celi

la poesia lirica dopo l’età della lirica

Pietro Civitareale, Marco Onofrio

LA  LINEA  MERIDIONALE  DELLA «NUOVA POESIA» MODERNISTA

Giovanni Occhipinti

Carlo Cipparrone

Pino Corbo

Rocco Taliano Grasso

Eugenio Nastasi

Angelo Lippo

Antonio Spagnuolo

Franco Riccio

Nicolino Longo

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