Aprile 2014



IN OCCASIONE DELLE CANONIZZAZIONI DEI DUE PONTEFICI

Una mostra a Roma di Guadagnuolo

per celebrare i Beati Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII

Il pittore Francesco Guadagnuolo considerato uno dei maggiori artisti del rinnovamento iconografico dell’arte sacra, già ritrattista di Karol Wojtyla in tante occasioni del suo pontificato, grazie anche alla conoscenza personale col Pontefice, non poteva, con la sua sensibilità, restare indifferente o semplice spettatore di un simile evento. E, infatti, ecco esporre a Roma una grande mostra dedicata a Giovanni Paolo II e a Giovanni XXIII, che sarà inaugurata a Roma il 24 aprile presso la storica Libreria Leoniana Via dei Corridori, 28, adiacente al Vaticano, accanto al Braccio destro del colonnato berniniano (guardando la Basilica) e rimarrà aperta fino al 30 maggio 2014 con orario 8,00 alle ore 18,30 e il giovedì: 8,00/13,00 15,00/18,30 con ingresso libero.

Francesco Guadagnuolo ripercorre con la sua arte il Pontificato di Giovanni Paolo II, da cui l’artista aveva meritato particolare stima personale e di cui si è fatto “cantore” sia delle opere letterarie sia del suo drammatico percorso di sofferenze e di universale esemplarità negli ultimi anni.

In occasione della Canonizzazione del Beato Giovanni Paolo II pubblichiamo il saggio di Mons. Sante Montanaro, già Segretario della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra, che descrive il lavoro artistico di Guadagnuolo.

LE OPERE D’ARTE DI FRANCESCO GUADAGNUOLO SULL’APOSTOLATO DI GIOVANNI PAOLO II

Durante il suo lungo Pontificato, iniziato il 16 ottobre 1978, Giovanni Paolo II mostrò sempre più ampiamente e incisivamente la sua capacità di comunicare con ogni tipo di persone, dalle più semplici alle più colte, interessandosi ad ogni campo dell’attività umana, come al mondo della cultura, delle arti e dello spettacolo. In quest’ultimo ambito Egli coltivò fin da giovane, nel 1942, l’amore per il teatro, scrivendo vari testi, in cui compariva come autore e anche come attore nel Teatro Rapsodik di Cracovia, il più noto dei quali è “La Bottega dell’Orefice” composto nel 1960 sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawie?. Testo di profondo contenuto morale, esso riguardava le tematiche familiari, degli sposi, dei genitori e dei figli.

Nel 1979, dopo che Karol Wojtyla salì al soglio pontificio, “La Bottega dell’Orefice” fu illustrata da Francesco Guadagnuolo su sollecitazione dell’Arcivescovo Mons. Giovanni Fallani, Presidente della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia. Il giovane artista siciliano produsse sei acqueforti che manifestavano in lui una notevole capacità di interpretazione espressa con un tratto ad un tempo incisivo e delicato. Per il pittore Guadagnuolo si trattò di un sicuro successo che lo fece entrare negli ambiti spazi della cultura romana. Da allora costituì l’inizio della sua grande avventura d’arte per cui oggi è considerato uno dei più qualificati e prolifici pittori innovatori dell’arte sacra contemporanea. Degna cornice dei favorevoli commenti che filosofi, storici e critici d’arte come Rosario Assunto, Ferruccio Ulivi, Nicola Ciarletta, Pasquale Rotondi, Ennio Francia, Pietro Amato, Vittorio Stella, Mario Scotti, Vito Riviello, Franco Simongini, Sandra Orienti, riservarono alle sei acqueforti de “La Bottega dell’Orefice”, è quanto Monsignor Fallani scrisse al Guadagnuolo. Lo trascriviamo qui di seguito: Roma, 24 gennaio 1980 «Carissimo Artista, ... desidero che ti giunga l’affettuosa parola di stima per le sei acqueforti che hai eseguite, ispirate allo stupendo dramma della “Bottega dell’Orefice” di Papa Wojtyla. Sei penetrato nel dramma, hai sentito la verità dei personaggi e la gravità del loro problema. Nei volti e negli atteggiamenti si legge la nobiltà dei pensieri che muovono l’azione, nella quale è presente, anche se invisibile, il Personaggio principale. La via da te seguita non è la più facile: al dono della chiarezza hai aggiunto, senza timore, la forza del pathos che caratterizza questa sacra rappresentazione. Mi auguro che il pubblico presente raccolga il messaggio e la tua interpretazione, che unisce, nel clima della giovinezza e dell’arte, una volontà nuova, la quale iniziando così bene mi auguro che andrà molto lontano. Con il più cordiale saluto, affettuosamente». + Giovanni Fallani, Vescovo. Alla grande stima goduta presso l’Arcivescovo Fallani è anche dovuto l’invito del 1980 al maestro Guadagnuolo affinché realizzasse una grande tela sul tema “Cristo nel dolore umano”, da inserire in una mostra d’Arte Sacra e Liturgica da allestirsi nell’Abbazia di Montecassino in occasione del XV centenario della nascita di San Benedetto. Pur essendo il più giovane, il Guadagnuolo era stato invitato insieme con i più noti maestri Pietro Annigoni, Pericle Fazzini, Emilio Greco, Giovanni Hajnal, Pietro Canonica, Francesco Messina, Sante Monachesi, Domenico Purificato, Bruno Saetti, Gregorio Sciltian, Riccardo Tommaso Ferroni.

Di Papa Giovanni Paolo II, all’inizio del suo Pontificato, il significativo messaggio «Non si comprende l’uomo senza Cristo» colpì nel profondo dell’anima l’artista Guadagnuolo, portandolo ad essenziali riflessioni sui rapporti dell’essere umano con Dio. Forte di questa sua convinzione, Papa Wojtyla dimostrò subito la volontà di concentrare la sua attività pastorale sull’uomo contemporaneo, con le sue angosce e i suoi problemi materiali e spirituali. Su questo spirito si fonda la sua prima Enciclica dal titolo “Redemptor hominis”, che proclamava il messaggio salvifico di Cristo, seguita l’anno successivo da una seconda Enciclica intitolata “Dives in misericordia”, nella quale sottolineava il dovere della Chiesa di conciliare trascendenza ed immanenza nell’opera di compassione attiva verso l’infelicità umana.

Stimolato da queste profonde manifestazioni del pensiero del Pontefice, sotto la guida dell’Arcivescovo Giovanni Fallani, Francesco Guadagnuolo rese questi concetti in efficaci immagini. Per il tema filosofico e cioè l’“Humanitas”, produsse una cartella di sei acqueforti (1979/’80). Il maestro Guadagnuolo ha inteso rappresentare la vita umana in tutte le sue problematiche che investono i temi filosofici esistenziali, quali il mistero della vita stessa e della sua fragilità che genera angoscia e insieme a tutto questo la speranza che nasce dalla fede. Nell’illustrare i principi contenuti nell’Enciclica di Giovanni Paolo II “Dives in misericordia”, l’artista ha prodotto una cartella di incisioni nelle quali raffigura accanto alla paura delle armi atomiche e all’ingiustizia, la pietà umana che si richiama ai grandi valori cristiani.

A ben riflettere, il nostro artista, consapevole o meno, aveva con la sua produzione artistica anticipato quel grandioso avvenimento: il Giubileo Straordinario della Redenzione, proclamato da Giovanni Paolo II nel marzo 1983 per commemorare i 1950 anni dalla morte di Cristo. Mons. Fallani ha invitato Guadagnuolo per il Giubileo della Redenzione, a trattare un importante tema “Dio-uomo”. L’artista giunse a realizzare un’opera intensa rivelante fede e trascendenza nel Dio fatto Uomo.

I numerosi incontri dell’artista Francesco Guadagnuolo con Monsignor Giovanni Fallani, teologo, storico e critico d’arte, per una reciproca e migliore conoscenza del pensiero religioso di Papa Wojtyla e l’assidua presenza dello stesso artista negli ambienti della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra per l’organizzazione di convegni e mostre di arte religiosa e sacra avevano finito con il creare fra quei due personaggi una quasi familiarità e una tale confidenza per cui il Fallani, acuto conoscitore di uomini e di talenti, un giorno, parlando del Guadagnuolo, lo aveva definito un eccellente interprete dei drammi della coscienza umana e un artista capace di presentare con ottime rappresentazioni pittoriche la realtà politica dei nostri tempi. Rispondendo ad una richiesta dello stesso Mons. Fallani, Guadagnuolo si dedicò alla trasposizione visiva di quattro commedie di argomento politico scritte da Vittorio Alfieri tra il 1802 e il 1803. I titoli “L’Uno”, “I Pochi”, “I Troppi”, “L’Antidoto”, si riferiscono a diverse forme di governo e precisamente: la monarchia assoluta, l’oligarchia, la demagogia, alle quali Alfieri (fiero nemico della “tirannide”) contrappone, con una visione moderna e anticipatrice per quei tempi, la monarchia costituzionale come la forma più giusta per attuare il buon governo. Non ne sono sicuro, ma c’è da credere che il Guadagnuolo, mentre andava escogitando i segni e le forme con cui esprimere i tre veleni della società, avrà pensato in anticipo a ciò che il Cardinale Roger Etchegaray avrebbe affermato nel 1988 riguardo all’azione concomitante della Chiesa: «Essa nell’ambito di quelle che sono le sue fondamentali convinzioni, i suoi principi, i suoi valori, indica all’uomo le strade da percorrere per costruire una società fondata sull’amore, sulla giustizia, sulla solidarietà». Lo stesso Cardinale sottolineava poi la grande importanza dell’azione moralmente incisiva di Giovanni Paolo II, esplicatasi anche in ambito politico internazionale, in particolare nei confronti di capi comunisti, quali i generali Wojciech Jaruzelski, Augusto Pinochet e Fidel Castro.

Anche di una fusione tra letteratura e arte in un linguaggio unico di poesia e in un messaggio di verità e fede occorre parlare a proposito degli “Inni Sacri” di Alessandro Manzoni e della Divina Commedia di Dante Alighieri. Sugli “Inni Sacri” del Manzoni Francesco Guadagnuolo lavorò nel 1985, in occasione del secondo centenario della nascita dello scrittore. Ne vennero fuori nove incisioni che furono presentate in diverse città, tra le quali a Roma, nella Sala dei Cento Giorni del Vasari al Palazzo della Cancelleria e a Sant’Ivo alla Sapienza. Le acqueforti ispirate all’artista dalla lettura e dalla meditazione degli “Inni Sacri” di Alessandro Manzoni rendono efficacemente l’alto livello di spiritualità che quei componimenti poetici esprimono, dopo il superamento da parte del grande scrittore del proprio tormento interiore, acquietatosi nella fede e in una speranza cristiana sincera e profonda.

Per la mostra “Dante in Vaticano” (1985, Braccio di Carlo Magno-Basilica di San Pietro) Guadagnuolo eseguì alcune acqueforti sulla Divina Commedia tra cui “San Domenico nella gloria del Paradiso”. Essa fu occasione per l’artista di un colloquio con Papa Giovanni Paolo II, durante il quale il Pontefice auspicò che quell’opera rappresentasse l’inizio rispetto ad alcune ispirazioni alla Divina Commedia di più ampio respiro.

 

Assisi: San Francesco e i giovani

Nel 1978, all’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II aveva concluso così una sua calda preghiera a San Francesco: Assisi, 5 novembre 1978 «… Aiutaci, San Francesco d’Assisi, ad avvicinare alla Chiesa e al mondo di oggi il Cristo. Tu, che hai portato nel tuo cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci, col cuore vicino al cuore del Redentore, ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca. I difficili problemi sociali, economici, politici, i problemi della cultura e della civiltà contemporanea, tutte le sofferenze dell’uomo di oggi, i suoi dubbi, le sue negazioni, i suoi sbandamenti, le sue tensioni, i suoi complessi, le sue inquietudini…

Aiutaci a tradurre tutto ciò in semplice e fruttifero linguaggio del Vangelo. Aiutaci a risolvere tutto in chiave evangelica affinché Cristo stesso possa essere “via–verità–vita” per l’uomo del nostro tempo.Questo chiede a te, figlio santo della Chiesa, figlio della terra italiana, il Papa Giovanni Paolo II, figlio della terra polacca. E spera che lo aiuterai».

Questa preghiera era ben conosciuta dall’incisore e pittore Francesco Guadagnuolo il quale sapeva pure bene quanto Giovanni Paolo II aveva a cuore l’invio di un bel messaggio francescano che riuscisse ad avvicinare i giovani a Cristo. Nel 1984 trovò ispirazione nel nostro artista di realizzare una cartella di grafica su “San Francesco e i giovani”. Ammirando le sei acqueforti che vi erano contenute, Monsignor Fallani si espresse in questi termini: «… Questa volta il messaggio parte da San Francesco, il Santo che ha illuminato di speranza la vita. Egli sa che le sofferenze possono trasformarsi in pietre di luce da offrire a Dio. Guadagnuolo interpreta questo messaggio e lo trasmette ai giovani, fiducioso che possa avere il consenso di altri e continuare così ad una missione, che tocca le coscienze e rende sana la vita… L’artista ha voluto unificare, come nel suo spirito, così nell’immagine, l’arte e la spiritualità… ».

Nel 1984, c’era stato il messaggio: “San Francesco e i giovani”; nel 1986 il Papa volle e indisse ad Assisi il primo incontro di tutte le religioni del mondo in nome della Pace e del rispetto reciproco.

Uomini anch’essi di pace, il Cardinale Sebastiano Baggio e l’artista Francesco Guadagnuolo s’immedesimarono nelle preoccupazioni del Santo Padre per i pericoli a cui era esposto il valore della vita umana nel mondo contemporaneo così pieno di contraddizioni e di conflitti.

Pertanto, Guadagnuolo realizzò la cartella incisoria “La Pace valore senza confine, presentata dapprima a Roma nell’Istituto San Francesco a Ripa e poi in Assisi, monumento aere perennius, per l’Anno Mondiale della Pace.

Con il 1987, l’opera artistica del Guadagnuolo segnò una più attenta e ponderata riflessione in vista di sempre nuovi spazi d’indagine, riguardanti grandi temi della storia sacra con la realizzazione di tavole pittoriche quali: Maria e la sua vita, Passione e morte di Cristo.

 

Un anno dedicato a Maria

Nel 1987 cadeva l’anniversario del Concilio Ecumenico Niceno II, celebrato milleduecento anni prima, nell’847, durante il quale i saggi Padri diedero fondamento teologico all’arte nell’ambito religioso, aprendo così la strada agli artisti dell’Europa cristiana.

Nello stesso anno, Papa Giovanni Paolo II, pubblicata il 25 marzo l’Enciclica “Redemptoris Mater”, uno studio sulla Madre di Dio della quale veniva ricordata la centralità quale mediatrice divina fra Dio e l’uomo, indiceva l’Anno Mariano, durante il quale, a cura del Collegamento Mariano Nazionale, furono programmate varie manifestazioni religioso-culturali. Fra queste memoranda resta l’esposizione d’arte su “La Vita di Maria”, facente bella mostra di sé nel celebre Santuario Mariano del Divino Amore, durante la visita del Santo Padre in tale località. Questa particolare produzione di Francesco Guadagnuolo ispirata alla Madonna mostra una spiritualità così intensa da superare i limiti del tempo e la caducità che il suo scorrere comporta.

 

Crocifissione e Morte del Signore

In un articolo de Il Corriere della Sera del 17 febbraio 1988, dal titolo «In mostra la “Crocifi ssione”» di Guadagnuolo, Pietro Lanzara ricordava Max J. Friedländer, conoscitore d’arte, il quale, trattando il solenne evento della Passione di Cristo, scrisse: «Pensiamo al Crocifisso di Grünewald che offre al nostro sguardo, crudamente, da vicino, con estrema chiarezza, il culmine del tormento fisico. Come mai rimane uno spettacolo sopportabile, come mai non ne deriva un’onda di orrore a travolgere il piacere della contemplazione? Perché, nonostante il massimo naturalismo, non il corpo martoriato ci sorge dinanzi, ma la sua immagine. Perché il maestro ci trasmette la sua visione, e quindi il suo religioso fervore, con tanta purezza e decisione che la nostra fantasia, distolta dal doloroso inesorabile presente, vive il grande avvenimento lontano; e l’orripilante diventa commovente dramma. In quel quadro, Cristo non muore ora, non qui, ma dappertutto e sempre, quindi mai e in nessun luogo».

Queste or ora riportate meditazioni sono le medesime che si provavano anche di fronte alla “Crocifissione”, di Guadagnuolo un grande olio su tela, posto in verticale, di tre metri per due, esposto a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana “G. Treccani” nella Sala Igea del Palazzo Canonici Mattei in Roma, sede romana dell’Istituto.

Fissando bene il dipinto, si notavano tre suddivisioni orizzontali: in alto lo scorcio di ciò che rimaneva di un paesaggio, brandelli di case distrutte; al centro le tre croci nel momento culminante del martirio di Cristo; nella parte sottostante s’intravedevano i peccati della società che umiliano i valori umani. Unico conforto la figura luminosa di Cristo che svelava pace e risurrezione.

La “Crocifissione” del Guadagnuolo va oltre la storia per descrivere le cronache della vita con i propri drammi e le proprie vicissitudini, dove l’umanità si ritrova a patire congiuntamente alla grande sofferenza divina.

 

Il crollo del comunismo

9 novembre 1989, crollo del muro di Berlino: questa data è ormai incisa nella Storia come l’inizio della caduta di un regime, quello comunista, che per lunghi anni aveva assoggettato i popoli dell’Est europeo alla sua dittatura. Gli avvenimenti che portarono a quest’evento decisivo videro come principali protagonisti il Presidente americano Ronald Reagan, Papa Giovanni Paolo II, Michail Gorbaciov, Segretario PCUS dal 1985. Uno degli episodi più significativi era stato in precedenza il viaggio di Papa Wojtyla nella nativa Polonia nel 1979; intorno a Lui, Portatore della Fede, si era raccolto pacificamente il popolo polacco, a contraddire la propaganda atea del Regime.

In seguito, la visita in Vaticano, il 1° dicembre 1989, di Gorbaciov, accompagnato dalla moglie Raissa ed ormai Presidente dell’URSS, sottolineava ufficialmente il cambiamento di rotta della Federazione russa, che la Santa Sede riconobbe il 1° gennaio 1992, dopo i gravi fatti del 1991. In questo periodo, infatti, era avvenuta l’improvvisa presa del potere da parte di Eltsin, con l’esclusione del riformatore Gorbaciov. Il crollo di un’utopia così diffusa qual era stato il comunismo sovietico e i conseguenti problemi di grave instabilità che preoccuparono tutto il mondo, incisero profondamente nel sensibilissimo animo del pittore Guadagnuolo che nel 1991 si affrettò a preparare ed allestire una grande mostra d’arte dal titolo “San Pietroburgo. C’era una volta Lenin”. In essa si prefiggeva di fissare in immagini, con tratti vigorosi e incisivi e colori intensi, lo stato d’animo di tutti di fronte agli ultimi avvenimenti che deludevano le molte speranze di un’apertura dell’Unione Sovietica alla democrazia, dimostrando come all’artista spetti anche il compito di testimoniare e di fissare la Storia.

 

L’Intergruppo Parlamentari per il Giubileo dell’Anno 2000

Nell’anno 1997, Francesco Guadagnuolo, ormai quarantunenne, già noto come pittore, e in possesso di una vasta cultura filosofico-letteraria che gli suggeriva tematiche di tipo diverso e sconfinanti dall’area mitologica a quella religiosa, da quella sociale a quella politico-economica, era maturo per entrare in ambienti molto più prestigiosi, stringere rapporti d’amicizia e collaborazioni culturali con eminenti personalità del nostro tempo, raccogliere dai documenti pontifici e dall’instancabile attività di Giovanni Paolo II le opportunità per andare incontro alle molteplici problematiche del mondo, esaltando la ricerca del mistero esistenziale. Già nel 1987 il Pontefice aveva sottolineato, nell’Enciclica “Sollicitudo rei socialis”, l’improrogabile necessità per la Chiesa di intensificare il proprio impegno nel sociale, rivolgendo anche un intenso appello in questo senso ai vari Paesi. Nell’approssimarsi dell’inizio del nuovo Millennio aveva poi emesso la “Tertio Millennio adveniente”, nella quale sollecitava il dialogo tra i popoli e il superamento delle disuguaglianze economiche e sociali, in particolare l’urgenza di soccorrere i Paesi in via di sviluppo, indebitati verso i più ricchi senza possibilità di riscatto se non attraverso un condono o un’attenuazione del debito. In amorevole adesione agli insegnamenti del Santo Padre contenuti nei sopraccitati documenti, al fine, inoltre, di sostenere il grande evento dell’anno 2000 sulle finalità della giustizia sociale, nell’anno 1997, su iniziativa della Senatrice Ombretta Fumagalli Carulli, era stato costituito l’ “Intergruppo Parlamentari per il Giubileo”, con la convinta partecipazione di 250 tra Deputati e Senatori italiani. Tale Intergruppo, tra le attività, opportunamente decise che alle problematiche di giustizia sociale per cui era sorta, si desse veste artistico-estetica, affidando gli incarichi delle opere pittoriche da eseguire all’illustre maestro di Caltanissetta, Francesco Guadagnuolo.

Primo suo incarico fu la realizzazione del bozzetto di una grandiosa pala d’altare intitolata “Maria Madre del Giubileo” da installarsi in una nuova Chiesa della Diocesi di Roma. Il bozzetto dell’opera, realizzata in ceramica, fu donato al Santo Padre in occasione della serata-evento del 5 novembre 1998, per celebrare il ventesimo anno del suo Pontificato.

Il suo secondo incarico riguardò un olio su tela di 100×100 cm sul tema “Il Debito Estero”, consegnato al Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan per una sua esposizione permanente nella Sede dell’ECOSOC (il Consiglio Economico e Sociale) del Palazzo di Vetro a New York. Di tale opera fu tirato un certo numero di esemplari in serigrafia, il primo dei quali fu donato al Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi e gli altri distribuiti fra i 185 rappresentanti delle Delegazioni presenti nel Palazzo di Vetro.

Nel Gennaio dell’anno 2000, al Guadagnuolo fu fatta realizzare anche l’opera pittorica “Il cammino dell’Umanità” che venne esposta a Palazzo Marini della Camera dei Deputati, in occasione di un importante incontro tra gli Ambasciatori presso il Quirinale e quelli presso la Santa Sede a riguardo dell’Anno Santo.

Tale dipinto esprime la collettività umana che, al suono del biblico corno di montone, si avviava verso la Basilica di San Pietro, punto convergente del Grande Giubileo.

Sul mondo, nel frattempo avevano esercitato una grande presa i numerosi viaggi di Giovanni Paolo II, durante i quali Egli aveva potuto constatare da vicino l’indigenza dei Paesi sottosviluppati, tormentati dalla fame e da conflitti interni che violentano divese parti del Mondo, specie nella Terra Santa. A questa tematica s’ispirò, nel marzo 2000, il pittore Guadagnuolo nel realizzare un dipinto tra l’utopico e il profetico, interpretando lo storico incontro fra Israeliani e Palestinesi, avvenuto nel 1993 ad Oslo. Tale indovinata opera d’arte sulla quale Shimon Peres e Yasser Arafat avevano scritto contemporaneamente la parola ‘Peace’, fu dall’autore consegnata al Presidente Arafat. Per farlo si avvalse del viaggio in Terra Santa della Delegazione per l’Intergruppo Parlamentari, di cui l’artista fece parte, al fine di prepararvi un viaggio-pellegrinaggio di 1000 fra Parlamentari e Capi di Stato, il quale, a conclusione di otto tappe, avrebbe dovuto concludersi in Vaticano il 5 novembre 2000 con la “Giornata del Giubileo dei Governanti e dei Parlamentari”. Per motivi di disordini bellici in Terra Santa, l’interessante progetto fu rinviato; di esso restò, però la testimonianza artistica del nostro artista il quale aveva realizzato otto grandi dipinti ispiratisi al viaggio Sulle Orme di San Paolo. I temi degli otto pannelli che in seguito elencheremo, erano gli stessi di quelli che, a sfondo religioso ed etico-sociale, i politici avrebbero dovuto trattare in ciascuna delle otto tappe del viaggio-pellegrinaggio. Nello specifico i temi erano: “La Famiglia”, ideata per la tappa di Betlemme; “La Pace”, per la tappa di Gerusalemme; “Il Debito Estero”, per Cipro; “La Dignità della Donna”, per Efeso; “Mass Media, Economia e Globalizzazione”, per Atene; “I Giovani”, per Malta; “Il Dolore”, per Siracusa; “L’Arte”, per Messina.

Rinviato il viaggio-pellegrinaggio, non fu però rinviata la data del 5 novembre 2000 quale data per il “Giubileo dei Governanti e dei Parlamentari”. Vi parteciparono 2000 fra Capi di Stato e Parlamentari a ciascuno dei quali fu donata una copia del pregevole libro d’arte “Il Segreto della Vita”, pubblicato nel 2000 da Leonardo International Mondadori-Milano. Vi si possono ammirare, autore il pittore Guadagnuolo, di quindici tavole sull’ “Apocalisse” e quattordici tavole sulla “Vita di Maria”; ognuna delle quindici e delle quattordici tavole a colori, è commentata da un eminentissimo Cardinale; profonde ed edificanti sono poi le prefazioni della Senatrice Ombretta Fumagalli Carulli, di Monsignor Crescenzio Sepe, oggi Cardinale, del Senatore a Vita Giulio Andreotti, del poeta Mario Luzi e del giornalista-vaticanista Lorenzo Gulli.

Se nell’Apocalisse, che si apre con il libro “Il Segreto della Vita”, le sette visioni allegoriche: “La Donna ammantata di sole”, “La bestia che sale dal mare”, “La bestia che viene dalla terra”, “L’agnello con il suo seguito”, “Tre angeli che annunciano la lotta fra l’agnello e il drago”, “Il figlio dell’uomo che getta una falce sulla terra”, “Sette angeli apportatori degli ultimi sette flagelli” e i due capitoli che aprono e chiudono le visioni “Dio tiene in mano un libro con sette sigilli preannuncianti eventi profetici” e “La nuova Gerusalemme che scende dal cielo”, sono connotati da un’intensa drammaticità, questa viene superata dall’artista nella sottolineatura visiva della dimensione spirituale che l’uomo di oggi può vivere nel suo rapporto con Dio, malgrado le avversità presenti nel seno della società attuale. Inoltre le tavole sulla “Vita di Maria”, collegando tra loro i messaggi spirituali dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono emblematiche del percorso dell’Umanità che, nel mistero della vita e della morte che contrassegnò quell’esistenza prediletta, può ritrovare lo sbocco verso la speranza cristiana.

Ritornando al viaggio in Palestina del marzo del 2000 con la Delegazione dell’ “Intergruppo Parlamentari per il Giubileo”, Guadagnuolo nell’incontrare l’allora Presidente Yasser Arafat, nel clima di speranza in una prossima pacifica composizione delle controversie tra israeliani e i palestinesi, l’artista intendeva offrire il suo contributo rappresentando in una grande tela questa felice prospettiva. Ma, essendo intervenuti nello stesso anno gravi episodi di violenza che annullarono le attese di una pace vicina, egli realizzò l’opera “Palestina Anno 2000” ossia “Pace in Terra Santa”. Su questa tela di grandi dimensioni (175 x 400 cm) morti e feriti raffigurati su varie prospettive rappresentano gli effetti della lotta cruenta; nel centro giace un uomo come crocifisso, compianto da una donna amorevole (qui si rinnova il sacrificio di Cristo); in basso i simboli cristiani del pane e del calice e gli strumenti della Crocifissione; in alto due mani che sorreggono una colomba bianca, simbolo di libertà e di pace; sullo sfondo una cattedrale illuminata in cui si scorge la figura del Pontefice col manto del Giubileo.

Francesco Guadagnuolo, cattolico praticante, è stato un attento osservatore di quanto di nuovo nei gesti, negli atteggiamenti, e nelle aperture mentali e di dialogo Giovanni Paolo II aveva amato farsi promotore. Profonda impressione avevano prodotto in lui, fra le tante iniziative del Pontefice in questo senso, due fondamentali eventi svoltisi in San Pietro, rispettivamente nel 1995 e nel 2000. Il primo era costituito dalla visita che Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, aveva fatto il 27 giugno 1995 a Papa Giovanni Paolo II ed alla Chiesa di Roma, con la concelebrazione delle due Santità nella Basilica Vaticana, seguita dalla firma di una Dichiarazione Comune. Il secondo riguardava la “Giornata del Perdono dell’Anno Santo 2000”, celebrata il 12 marzo di quell’anno, durante la quale il Pontefice aveva pronunciato a grande voce i mea culpa della Chiesa romana per le guerre di religione, per la persecuzione contro gli Ebrei, per il silenzio davanti alle ingiustizie sociali, per gli scismi e per tante altre miserie umane, esprimendosi con queste parole: «perdoniamo e chiediamo perdono!» ne è nato un sentito ritratto del Papa davanti al Muro del Pianto di alta intensità emotiva.

Sotto l’onda di tali ricordi, durante l’Anno del Giubileo 2000, nel mese di agosto il valente artista Guadagnuolo, invitato dall’Ambasciata della Turchia presso la Santa Sede, in una mostra che rappresentasse l’Italia, prese il coraggio ed espose opere a carattere sacro ad Aivalik in Turchia, un

Paese ad alta densità musulmana. Nell’incontro che l’artista ebbe con il Patriarca ortodosso, mentre veniva consegnata al Presule un’opera grafico-pittorica di carattere religioso, fu fatta memoria dell’incontro ecumenico del 1995, quando Papa Giovanni Paolo II e Bartolomeo I si erano fraternamente abbracciati, rievocato dal pittore Guadagnuolo con un’opera pittorica densa di significati.

L’anno 2001 fu proclamato dalle Nazioni Unite come “Anno Internazionale del Volontariato”. Invitato dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute a dare il suo contributo per il migliore svolgimento delle celebrazioni di quell’Anno, il pittore nisseno realizzò una grande opera che intitolò “Il Buon Samaritano del Terzo Millennio”. Il dipinto, esposto nella Sala Nervi in Vaticano e presentato dal Cardinale Javier Lozano Barragàn al Papa nel quale l’artista, autore dell’opera, aveva intravisto il ‘Buon Samaritano’ sempre in cammino attraverso le vie delle sofferenze del mondo, attirò l’attenzione e l’unanime plauso di tutti i partecipanti al simposio che, per l’occasione, era stato organizzato, quale appropriato simbolo dei valori umanitari e di civiltà che il volontariato cristiano quotidianamente attua con passione a servizio del prossimo.

Anche negli anni 2002 e 2003, Francesco Guadagnuolo si è sentito molto onorato nel mettere i suoi talenti artistici a disposizione di cause molto nobili.

 

Tre eventi della Chiesa

16 giugno 2002: Canonizzazione di Padre Pio da Pietrelcina.

Papa Giovanni Paolo II aveva conosciuto personalmente e visitato nel Convento di San Giovanni Rotondo Padre Pio. Francesco Guadagnuolo, in occasione della sua Canonizzazione, realizzò una serie di ritratti del Santo monaco e dei Papi che avevano scandito la sua vita, (1887 – 1968), da Leone XIII a San Pio X, da Benedetto XV a Pio XI, da Pio XII al beato Giovanni XXIII sino a Paolo VI, pubblicati nel libro: “Padre Pio, Giovanni XXIII. I Papi del monaco santo” di Mario Cinelli e Lorenzo Gulli (RAI-ERI Roma, 2002).

16 ottobre 2002: Il Papa introduce nel Rosario i misteri della “luce” e indice un Anno del Rosario (ottobre 2002 – ottobre 2003).

Giovanni Paolo II, con lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, indisse l’Anno Mariano e introdusse nel Rosario altri cinque misteri, quelli della luce. Al Papa ‘mariano’ fece riscontro il pittore Guadagnuolo che, con una sua mostra dedicata a “Maria”, dando ascolto al Papa che esortava: «con Maria contempliamo il Volto di Cristo», riuscì con l’essenzialità e la tensione religiosa delle sue varie opere, a offrirci, fra i tanti Volti del Cristo, quello Consolatore che dà speranza di vita e di salvezza.

19 ottobre 2003: Beatificazione di Madre Teresa da Calcutta.

Papa Giovanni Paolo II ha proclamato beata Madre Teresa di Calcutta, una coraggiosa religiosa della quale erano ben note l’eccezionale semplicità, la grande dolcezza, e l’esemplare adattamento alla sofferenza, certamente, frutto del suo profondo amore per Cristo. Preso dell’ammirazione per questa suora, nel cui corpo minuto albergava un’eccezionale forza interiore, Guadagnuolo ha eseguito una serie di ritratti che testimoniano le opere straordinarie di carità compiute dalla Beata, le sue preghiere, le sue parole colme di speranza cristiana”(Sante Montanaro).

 

Alla fine del Cinquecento, a contrastare la veemenza manieristica dei colori pastosi e morbidissimi, ai limiti del seducente, sensuale morbosità, nasce una pittura più intima, capace di recuperare il classicismo raffaellesco e carraccesco, in un’atmosfera di quotidiana tranquillità. Scorre lucido e attento lo sguardo sulle figure dei santi, sulla luce e soprattutto sull’ombra che si posano a definire allusivamente oggetti, panneggi, colonne e membrature architettoniche; scorre lieve a scrutare i paesaggi immersi nella penombra, squarci di personaggi, come messi in posa davanti ad un obiettivo ideale. Si dispongono nello spazio figure sacre, lontane e accostanti nello stesso tempo: lontane nella maestà classicamente impostata; accostanti nell’apparenza di vero in cui le figure si stagliano.

Questo particolare tipo di cultura figurativa viene elaborato sviluppando un processo compositivo non sempre rettilineo ed univoco, a volte contraddittorio, con scarti, ripensamenti e ritorni, accelerando o frenando a seconda delle sollecitazioni dell’ambiente, come capita sovente ai pittori di genio.

Il gioco cromatico e della luce divina che squarcia il cielo nel permettere, quasi a visione, di contemplare il divino e il mistero, lambisce il volto dei personaggi, che nelle rappresentazioni leviga i volti di luce estatica: linguaggio dai luccichii fiamminghi addolciti dalla pastosa cromia di tipo veneto. Riconoscere a Teodoro D’Errico una singolare maniera, frutto di geniale sintesi tra cultura rinascimentale nell’impostazio- ne degli sfondi, elaborando una personale variante compositiva, che continuerà a proporre, con una originale continuità di linguaggio, per tutto l’arco della sua carriera, lo rendono maestro indiscusso ed unico del suo periodo.

Montorio nei Frentani

Nella nota che il Comune traccia sui cenni storici della cittadina del Basso Molise è da rilevare che le radici dell’insediamento affondano nell’alto medioevo. Dopo le invasioni barbariche si riscontra un  sito di agglomerato abitativo intorno ad un castello e ad una chiesa, che fungeva da vedetta. Atti di importanza storica furono la conquista di Montorio nel 1462, da parte di Ferrante D’Aragona, e la presenza di una comunità di profughi Greci-albanesi scappati dalla invasione Ottomana (XIV–XVsec.). La costruzione delle cappelle dell’Annunziata, di S. Caterina d’Alessandria, dei SS. Marco e Lazzaro risale al XVI secolo. La Parrocchiale, dedicata all’Assunta, si rifà al XVII sec. sull’area della chiesa medievale. Le due tele del D’Errico, L’Annunciazione e l’Assunta sono custodite in essa. Gli arredi della chiesa settecentesca dell’Assunta sono di particolare interesse artistico: l’altare, in marmo policromo, custodisce le reliquie di S. Costanzo, il coro ligneo in noce, l’organo a canne a mantice del 1779.

L’Annunciazione

La pittura del D’Errico è fatta di armonia, proporzione, decoro, misura, che rendono un percorso di un virtuosismo manieristico nella composizione figurativa. Troviamo in una lettura attenta, compostezza, ordine e armonia. La composizione non è complessa, ma essenziale e sfocia nel particolarismo. Potrei definire le opere molisane del D’Errico il periodo della completa maturità; in sintesi, la sua maniera è trasfigurazione della realtà e l’istante è colto quale attimo passionale nella emotività espressiva dai moti interiori raccontati nel gesto, sì da coinvolgere il fruitore dell’opera in estatica contemplazione. La sua pittura è un “genere”, che innegabilmente dà fondamento alle correnti che emergeranno in tutto il secolo ormai aperto, il ‘600.

Linee di fuga, movimento concitato, linea trasversale, effetto della luce, questo l’immaginario compositivo dell’Annunciazione di Montorio.

Il tema iconografico è incentrato nell’attimo dell’annuncio e racchiude “…eccomi, sì faccia…” quale risposta che comunica turbamento e stupore. La torsione della Vergine, quasi un accasciarsi in flessione, il volto in linea con quello dell’Angelo, le mani allargate all’altez- za del petto, il manto che scivola prolungando un movimento di scatto con resa capillare del particolare, che in termini prospettici risulta falsato. La luce scivola dalla sinistra dello spettatore, tipica della pittura fiamminga, con il graduale passaggio da tonalità luminose a timbri che esaltano la resa materica degli oggetti. Il rosso con le sfumature dal carminio all’arancio, dal sensualissimo incarnato ai verdi che incorniciano con tonalità fredda dando risalto alle forme corporee. Il braccio destro dell’Angelo proiettato verso l’alto crea una linea che accompagna lo scivolare della luce sul corpo della Vergine fino a posarsi sullo scanno sul cui ripiano sbozza la pagina di libro aperto. Languido l’Angelo dal corpo tornito e ben disegnato nella muscolatura e dai capelli ramati si protende, vibrato nell’aria, verso la Vergine; il fruscio delle vesti, la coscia ostentata, i calzari attirano lo sguardo su memorie di messaggeri pagani, di dei già osservati in assemblaggi classici. Dal buio dello sfondo, in penombra si nota un cubicolo dalla tenda scostata ed una finestra che già annunzia il crepuscolo, poiché con la notte che s’avanza si attende l’aurora. I particolari del cesto con gli strumenti del lavoro femminile, rocchetto, forbici, panni di lino piegati e già ricamati, la sedia impagliata spostata all’indietro, rende l’attimo eterno. In primo piano sulla sinistra un’anfora con un giglio fiorito prelude al biancore della donna nuova che ha operato l’ingresso della vita di Dio nella storia. La Colomba, racchiusa nella sua luce, sembra abbozzare che la donna-tenda, ora è adombrata dalla forza generante di Dio.

Jacobucci

 

Franco Valente racconta a polmoni pieni la forza storica della sua terra, il Molise, che gli risponde a parolacce. Potrei cominciare con questo enunciato la descrizione del suo magnifico libro che credo sia stato costruito per oltre un decennio se non, a quanto si comprende dal racconto,  sia stato ideato pensato e assemblato in forma testuale per  una intera vita; la vita dell’architetto conferenziere.  Franco Valente è lui stesso un romanzo, il suo corpo  esprime l’ aspetto di un patriarca greco antico, saggio,  che gira per piazze  a redimere l’ignoranza accidiosa che governa i cuori di questa Italia venduta al corteggiamento della finanza facile e al tradimento della sua vocazione artistica e letteraria che un tempo la rendevano invidiabile agli occhi del mondo. Insomma a Franco Valente io voglio bene e questo è già sufficiente per poter  dire che una recensione non è fatta solo di parole in stile ordinato secondo il sentire, a proprio uso,  la  soddisfazione per la filiazione  grammaticale,  sintattica   e ortografica. No!, scrivere di un libro portatore di sceneggiature magiche incastrate nella verità storica, significa anche prendersi la coscienza sulle spalle e trasportarla al punto massimo della montagna per poi lasciarla rotolare verso valle incontro alle bocche spalancate dei lettori mancati. La meraviglia del racconto e la gratitudine della documentazione storica uniscono gli elementi vettoriali della forza discorsiva che rende identità quello che il popolo molisano, erede sacro di quello che il testo documenta,  trascura per avvezza rinuncia al piacere di leggere.  Nel regno dell’editoria queste frivolezze scolastiche; grammatiche, lessico e ortografia,  le riparano, rispettando l’intoccabile struttura stilistica dell’autore,  l’esperienza e la professionalità dell’editing, e quindi è bene dire che se nelle pubblicazioni si incontrano sregolatezze di questo genere la colpa non è dello scrittore, ma della casa editrice che non ha apportato qualità di revisione alle bozze del  testo. Qui però, oltre a dire della magnifica scrittura sotto tutti i punti di vista formulati dal racconto organizzato a due tempi:  parte introduttiva storica che farebbe piacere allo scomparso J. Le Goff, e una seconda parte romanzata attinente alla costruzione del genere che alcuni o lo stesso autore hanno classificato come giallo, ma che personalmente credo possa essere definito alla Camilleri o alla Sellerio, (visto che l’autore siciliano per principio parla solo di episodi che avvengono o appaiono nella sua terra natia), si dovrebbe dire che il testo è, con la sua facciata narrativa, una vera testimonianza diretta abbinata alla storia dei ritrovamenti archeologici e delle pitture murali; gli affreschi magnifici e archetipici del Monastero campano/molisano.   Qui Franco Valente da anni, produce lo stesso impegno e le ripetute delusioni di accoglienza da parte dei molisani. Caro Franco, i Molisani non leggono, a malapena ascoltano, ma difficilmente considerano il dono che un ricercatore esperto e valido come te, riesce a calcare (infinito) con determinata volontà e tenacia, dalla svinatura al primo travaso alle nostre  menti,  per cercare di far fermentare  qualcosa quando ci si accorge che dietro un testo che presenta un’editoria campale si apre il cuore pompante dell’archetipo teologico, politico,  mediterraneo e occidentale. L’origine del monachesimo occidentale, la regola di San Benedetto  contrapposta a quella di San Basilio eccellenza dell’ascetismo monastico nella Chiesa d’oriente si fondano nelle manovre politiche carolinge e la sapienza di  Autperto che come i vinicoli travasa la visone imperiale dei Franchi nella formulazione teologica del monastero di San Vincenzo di Saragozza fino allora retto e fondato dalle volontà Longobarde.  Se per questi ultimi, avvezzi guerrieri, il santo per eccellenza ritrovato nelle iconologie cristiane appariva nelle sembianze di un angelo guerriero, un San Michele, per i primi l’iconografia murale risultava secondaria alle direttive dei testi sacri tradotti manualmente in cui il concetto dell’ascensione mariana comportava che la vergine – Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre – sia diventata unica figura celeste lievitata, o ascesa, con tutto il corpo terrestre alle vicinanze divine. Un libro questo che nessun politico dovrebbe non leggere per poter capire metodi di manovra strategica e storiografica dei  luoghi. Dal ducato di Benevento, a Montecassino per finire nelle vergognose attualissime indignitose e inumane funzioni della conquista saracena di stanza a Napoli, o meglio, oltre le mura della città, tra il mare e le terre sconfinate dei sanniti.  Una narrativa delle pianure e delle città antiche modello storico con stimoli affascinanti  quasi a risvegliare un vecchio testo che avevo letto in gioventù, “Manoscritto trovato a Saragozza”, unico romanzo scritto in francese dal conte polacco Jan Potocki. Guarda caso  per costruirlo, come credo Valente, vi dedicò buona parte della sua  vita.  A suo tempo mi aveva affascinato tanto da farmi innamorare della vita del nobile  polacco produttore di tavole sinottiche e che si suicida con una pallottola d’argento lavorata e limata ogni sera da lui stesso dopo averla smontata dal coperchio di una teiera. Affascinante, no!, Stesso linguaggio stesso intreccio, stessa passione nel libro di Franco Valente : Incipit Apocalypsis. Leggete….

Antonio Picariello

http://www.undo.net/it/mostra/95700

Santolo De Luca, nato a Napoli nel 1960, è dagli anni ’90 uno dei protagonisti dell’arte italiana. Quella pittura che nel suo caso si afferma come espressione critica della cultura dei media, attraverso un inconfondibile linguaggio estetico che gli consente di occupare una collocazione storica ben definita all’interno del vasto panorama artistico espresso negli ultimi vent’anni.

Dopo aver esposto in diverse gallerie italiane ed estere, come alla Annina Nosei Gallery di New York, alla galleria Seno e alla galleria Zonca e Zonca di Milano, torna a esporre alla galleria Dina Caròla, che nel 1994 presentò il suo lavoro per la prima volta a Napoli.
Saranno esposte alcune tra le sue ultime opere più significative, ispirate al tema dei liquidi e, per l’occasione sarà presentata la sua prima monografia “permanentpresent”. Vent’anni di lavoro raccolti in un prezioso volume edito da“ l’arco e l’arca edizioni “, corredato da testi in italiano e inglese di Renato Barilli, Angela Tecce e un’intervista all’autore curata da Antonio Picariello.
———————-

quando si incontrano le opere di Santolo De Luca Il luogo dell’esposizione diventa anche il luogo mentale, lo spazio tra immagine e parola dove la presenza fisica e lo sguardo sono dinamicità continua nonostante il corpo è fermo in una sua propria consistenza,  in una sua totale energia materializzata dalla neuronicità dello spazio.

.” I miei soggetti non hanno nulla di simbolico, sono le cose che sono, non rimandano a nulla altro che non sia il loro assurdo proliferare dove la pittura si moltiplica  come la cellula dividendosi all’infinito. Una finestra aperta sull’infinito che contiua al di la dei limiti del quadro….. Non è un al di la o un al di qua della pittura ma è quel grado di visionarietà che ti permette di portare le immagini al “altra definizione” più che ad alta definizione. Una definizione più delinquente di quanto la realtà può presentarsi in telecamera”. La definizione di una pittura che supera la “confezione artigianale” dell’opera e l’applicazione tecnica dello strumento, questa certo che è delegabile ad altri. Ce ne sono di pittori in giro, ottimi tecnici ma che, non avendo un grado di visionarietà , gli si deve almeno riconoscere nella migliore delle ipotesi un grado di “televisionarietà”. E’ da queste energie mentali che  si rivela il quadro. Procedendo su questo assunto,  si considerano le minime unità del linguaggio come visionarietà strutturali che si attraggono per empatia o a volte per magnetismo naturale. Mentre è in atto il  processo di composizione della forma, avviene la connessione con la sua spiritualità.

Se “Qualunque oggetto creato è soggetto a consumo.”  è anche vero che la  speculazione si  trasmettere ad energia continua e non alternata tra  concetti e visioni. Tra  codice visivo e codice parola. Non è altro che una telecamera interiore che riprende in maniera neutrale tutti i processi dell’entropia e li ripropone nelle percezioni  dello spazio fisico.

Sono opere Forti, cariche di sintesi che attraversano senza esitazione i confini deliranti delle avanguardie storiche e impattano su chi le incontra con la qualità e l’energia del pensiero matematico dove temporale e spaziale  hanno la  globalità di lettura e manifestano la misura unitaria minima concepibile che premette ad identità ancora minori, possedute dall’energia  dall’opera,  di contenere esse stesse  unità  iconiche non definibili se non attraverso un percepire prima che un vedere . E’ forse quella  famosa spiritualità del punto zero che qui  non equivale solo al punto di vista perché nelle composizioni degli  oggetti i punti di visione [calcolati] si moltiplicano e si rimandano per geometrie visuali istintive [per chi guarda] . Ogni oggetto rappresentato contiene e manifesta più unità per apparire tridimensionale, ma anche qui, questa accennata tridimensionalità del modulo ha meno assi espressivi della bidimensionalità. E’ la “sfacciataggine” di un   gioco di animata spiritualità mediterranea su  tutti i possibili punti di vista . E’ energia matematica che rimanda anche ad un umanesimo primordiale tracciando buona parte delle significazioni archetipali che si muovono possibilmente tra ciò che è parola e la sua corrispettiva raggiera di rivelazioni percettive.

 

 

“I miei Misteri Santi”

Le Vare del Giovedì Santo a Caltanissetta

Tutta la mia infanzia e adolescenza passate nella mia Città Caltanissetta sono pervase dal ricordo della Settimana Santa, specie la Processione del giovedì chiamata ‘Le Vare Grandi’. I miei ricordi del Giovedì Santo sono caratterizzati dalle prime ore della mattina, quando mi recavo al Centro storico per sentire le Bande che arrivavano dai Paesi circostanti per suonare dietro ogni gruppo scultoreo detto “Le Vare”.

Ricordo che era una festa vedere uscire dai vicoli le Bande suonare mentre camminavano. Ero legato al suono delle Bande perché il mio bisnonno, grande musicista vissuto a Caltanissetta fino al 1927, aveva composto diverse partiture per Bande, specie una notissima Marcia Funebre che si suona ancora durante le Processioni della Settimana Santa.

La Settimana Santa Nissena si prepara molti mesi prima, per la realizzazione di questo grande evento. I giorni della Pasqua a Caltanissetta sono esclusivi, scanditi da momenti di trascendenza, tradizione e ritualità. Sono soprattutto giornate di preghiera tra Misteri e Sepolcri, che fino alla Domenica di Pasqua consacreranno le sequenze della “Passione di Cristo” che diventeranno indimenticabili agli stessi nisseni, anche se ormai abituati alle Vare, sono sempre le stesse ogni anno, la Processione non è mai la stessa, perché cambia con la loro ansia di rievocare i momenti dolorosi nelle loro emotività. Per i turisti che gli anziani chiamano forestieri, è una grandissima novità, i loro volti incantati esprimono meraviglia e stupore, la loro è una partecipazione ad uno tra i più suggestivi e popolari eventi religiosi nello scenario mondiale.

Nel 1976 decisi di realizzare una serie di opere ispirate alla Processione del Giovedì Santo. Seguendo tutti i riti della settimana, ho cercato di far vedere le parti meno in evidenza, ritraendo oltre i gruppi o particolari di essi, i siciliani con le loro gesta, i volti scavati, le anziane signore che venivano a toccare i gruppi in segno di fede e commozione. É così che sono nati questi disegni grafico-pittorici: La Cena, L’Orazione nell’orto, La Cattura, Il Sinedrio, La Flagellazione, Ecce Homo, La Condanna, La Prima Caduta, Il Cireneo, La Veronica, La Crocifissione, La Deposizione, La Pietà, La Traslazione, La Sacra Urna, L’Addolorata. Opere queste che colpiscono al primo impatto sia per la velocità di esecuzione, sia perché emanano commozione nel ricordo della Via Crucis che diventa momento di devozione, pensando che Cristo muore per noi al di là di qualsiasi coreografia. É una rievocazione accorata al seguito, cui si commuove tutta la città. La fede in questa circostanza è di straordinaria compartecipazione, unita di tristezza e pietà, questa fede non vissuta in maniera intimistica, ma è avvertita come forma collettiva, i nisseni si fanno trascinare in questo rito popolare in cui la gente diviene protagonista, quasi attore, in questo grande palcoscenico liturgico, come scrisse lo scrittore Gesualdo Bufalino: «A Pasqua ogni siciliano si sente non solo spettatore ma attore, prima dolente, poi esultante, di un mistero che è la sua stessa esistenza» ed è proprio questo che mi ha interessato e ho voluto fare vedere attraverso le mie opere che ho chiamato “I miei Misteri Santi”.

Francesco Guadagnuolo


La passione ritrovata

 

Un artista visivo è dotato di “capacità rivelatorie” del senso archetipo contenuto nei riti. Il senso di solito, nella semiologia, è dato da una convenzione comunicativa patteggiata tra riceventi e emittenze e sulla buona capacità di saper codificare segni che attribuiscono significazione agli atti interpretativi. Significati e significanti si rapportano in qualità indivisibile come maschile femminile germinanti senso a suo volta  catturato dalla percezione di chi li accoglie. L’artista ha capacità di poter  estrarre dal significato comune lo spirito del segno che a sua volta genera significanti; nuove immagini mentali, nuove passioni per l’ascoltatore, rinvigorite qualità del presente che conducono una sorta di memoria proustiana che si rimette nelle correnti canoniche degli atti rituali collettivi e li ripropone sotto una diversa luce caricata di partecipazione all’ amore per l’umanità. Francesco Guadagnuolo questo senso lo ha avvertito dalla nascita. Lo ha catturato dai primi vibrazionali segni della sua formazione sensibile e li ha offerti al luogo da artista giovane, da vent’enne che sente il bisogno passionale di interpretare il suo mondo nativo e farne omaggio alla collettività. Lui stesso dice :  Tutta la mia infanzia e adolescenza passate nella mia Città Caltanissetta sono pervase dal ricordo della Settimana Santa, specie la Processione del giovedì chiamata ‘Le Vare Grandi’. I miei ricordi del Giovedì Santo sono caratterizzati dalle prime ore della mattina, quando mi recavo al Centro storico per sentire le Bande che arrivavano dai Paesi circostanti per suonare dietro ogni gruppo scultoreo detto “Le Vare”– E’ chiaro che il tempo in cui il millennio si triplica e il centenario si anticipa, sia  tempo di grandi trasformazioni e di cambiamenti  in cui le forze del bene concorrono a dare senso iniziatico al mondo delle nuove tecnologie, dei nuovi linguaggi, delle nuove visioni che il rito mantiene silente e segreto nei corridoi soggettivi nell’anima. Così  cambiano le modalità richieste dalle trasformazioni che in arte diventano oltrepasso al messaggio linguistico e stipulano l’apprensione per la forza dell’amore  che il rito evoca alle comunità che lo attivano. Qui Guadagnuolo riprendendo una creatività così fortemente sentita negli anni giovanili ripropone la maturità visiva di un artista che facendosi conoscere ecumenicamente  ha riconosciuto se stesso; la sua terra, l’archetipo sostanziale che si porta nell’anima segreta come dominio universale che ha attraversato successi americani, europei, asiatici mondiali e adesso ritorna fedele al luogo di partenza carico di quella forza magica, ieratica che l’arte, che Francesco Guadagnuolo fa, con devozione di senso, rivivere e partecipare nella sua nativa riconoscente  magnifica Sicilia.

Antonio Picariello

 

https://www.youtube.com/watch?v=l0a0qcv8tZA

http://youtu.be/l0a0qcv8tZA

 

 

 

 


Guadagnuolo artista illustre fra gli “Uomini Illustri” di Caltanissetta

La recente inaugurazione a Caltanissetta della Sala della Cultura Nissena al Museo Civico ha destato una vasta eco soprattutto perché, vicina alla sezione che espone le opere di Michele Tripisciano (1860-1913), la nuova Sala ospita le sculture di Frattallone (1832-1874) e la collana di ritratti degli “Uomini illustri di Caltanissetta”, opera di un artista contemporaneo vivente, il pittore Francesco Guadagnuolo (1956), nisseno di nascita, romano d’adozione.

Una trilogia artistica di celebrità accomunate dal luogo d’origine e dall’amore per la loro città che non è facile mettere insieme se non ricorrendo a personaggi di epoche diverse distanti tra loro. Se poi si tiene conto che le opere del pittore contemporaneo Guadagnuolo  sono entrate a far parte del patrimonio artistico e culturale della città, insieme alle sculture di due grandi dell’Ottocento, grazie al suo talento, producendo capolavori nella sua immensa produzione artistica nella lunga carriera.

Guadagnuolo, infatti, è conosciuto ed apprezzato a livello internazionale e per questo ha raccolto una messe di riconoscimenti. Premiato a Roma, al Campidoglio, come “Personalità Europea”; insignito del titolo di Ambasciatore di Pace dell’Universal Peace Federation – o.n.g., componente Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) dell’ONU, mentre a Caltanissetta, nel 2012, gli è stato conferito il premio “Nisseni nel Mondo”, dall’Associazione C3 Comunication di Ottavio Bruno, quale apprezzamento all’artista nisseno che porta in giro per il mondo la sua arte.

Una soddisfazione in più per Guadagnuolo quella di esporre i suoi quadri al Museo Civico Tripisciano di Palazzo Moncada, accanto alle opere di due artisti immortali. Una decisione importante che il Sindaco Michele Campisi e l’Assessore alla cultura Laura Zurli hanno maturato insieme al responsabile della Pro Loco Giuseppe D’Antona ed alla Direttrice del Museo Rosanna Zaffuto Rovello, per offrire una degna collocazione alle opere che Guadagnuolo aveva realizzato circa 36 anni fa per rendere omaggio alla sua città natale, mai dimenticata.

La prof.ssa Rovello, critico d’arte, ha voluto, infatti, mettere in risalto, nella sua prolusione, proprio l’affinità culturale che lega i tre artisti nati a Caltanissetta e ospitati nello stesso Museo: Tripisciano e Guadagnuolo si sono trasferiti in età giovanile a Roma e Frattallone a Firenze per meglio sviluppare le loro capacità artistiche, ma tutti e tre non hanno mai dimenticato la città d’origine dedicandole molte delle opere più significative.

Una collezione di quadri, questa realizzata da Guadagnuolo, che supera ogni raffigurazione stereotipata e si trasforma in dialogo segreto con i suoi personaggi.

Ritrattista attento, Guadagnuolo passa dagli accordi di grigi e bruni ai colori più vivi, senza mai deflettere dal principio di coerenza del suo stile. Penetrante e indiscreto egli cerca di sorprendere in ciascuno di loro i sentimenti più intimi e ne rivela ora il volto meditativo ed ermetico, ora l’aspetto nostalgico e malinconico, ora lo sguardo austero, enigmatico o ieratico.

Si tratta di personaggi che hanno onorato Caltanissetta con attività scientifiche, letterarie, artistiche, umanitarie e con il prestigio delle loro opere. Per questo la collocazione museale di questi ritratti è stata voluta dal Comune per rendere omaggio al loro talento, affinché il ricordo non venga cancellato, col passare del tempo, dall’indifferenza dei posteri ed anzi possa suscitare nei nisseni ammirazione e spunti di emulazione.

Con questo spirito, l’Amministrazione comunale già nel 1978 aveva acquistato 22 ritratti per valorizzare il patrimonio artistico della città, esponendoli al Museo Civico di allora, insieme alle opere di Tripisciano. Tra essi i volti dello scrittore e drammaturgo Pier Maria Rosso di San Secondo, del critico letterario Luigi Russo, del conte Ignazio Testasecca e dell’attore Luigi Vannucchi. Nel 1987 la Giunta dell’epoca deliberò l’acquisto anche della seconda serie di 18 quadri, nella quale fanno parte i ritratti della Principessa Luisa Moncada, del condottiero suterese Francesco Salamone, epico eroe della disfida di Barletta, dell’Ingegnere Giuseppe Gabrielli, geniale progettista di molti brevetti aereonautici firmati con la celebre sigla “G”, del critico contemporaneo Rosario Assunto e di altri illustri personaggi. Ma la collezione, in attesa di una sistemazione definitiva nel nuovo Museo in corso di restauro, finì nei depositi per molti anni, fino a quando fu deciso di esporla in alcuni locali adibiti ad Uffici comunali.

Oggi, finalmente, il sogno si è avverato: i quadri recuperati attraverso una paziente ricognizione, hanno trovato degna collocazione nella Sala della Cultura Nissena del nuovo Museo Civico, con grande soddisfazione di Guadagnuolo che con questi ritratti aveva voluto rendere omaggio alla propria città natale.  In quegli oli, infatti, c’è tutta l’arte di un grande ritrattista che, al di là della somiglianza fisica con le persone realmente vissute, ha saputo cogliere le peculiarità più profonde dell’animo e del talento di ogni personaggio.

Ma vediamo più da vicino chi erano i 22 “Uomini illustri di Caltanissetta” i cui ritratti sono stati collocati nella sala dedicata allo scultore Frattallone, secondo un criterio che associa le affinità culturali di ciascuno:

MAURO TUMMINELLI (Caltanissetta 1778 – 1852). Giurista, fu presidente del Tribunale di Agrigento, della Corte Suprema di Giustizia e della Corte dei Conti. Si batté per il riconoscimento della demanialità di Caltanissetta per sottrarla al dominio dei Moncada. FILIPPO CORDOVA (Aidone 1811 – Firenze 1868). Istituì l’ISTAT e fu Ministro di Grazia e Giustizia e Ministro dell’Agricoltura nel secondo governo Ricasoli.

FRANCESCO PULCI (Caltanissetta 1848 – 1927). Fece ottenere nel 1900 alla città di Caltanissetta uno dei 20 monumenti al Redentore voluti dal Vaticano per celebrare i venti secoli dalla redenzione cristiana, collocato sul monte San  Giuliano, divenuto emblema della città.

FRA PIETRO DA GENOVA (seconda metà del XVII° secolo). Architetto progettista del celebre Palazzo Moncada, del Reclusorio delle orfane, sede oggi del Consorzio Universitario Nisseno, e della scalinata di accesso alla Chiesa gesuitica Sant’Agata al Collegio.

GIUSEPPE CINNIRELLA (Caltanissetta 1777 – 1861). Medico condotto a Santa Caterina Villarmosa, fece elevare il capoluogo nisseno a sede Vescovile.

MICHELE GURRERA (Caltanissetta 1866 – 1936). Uomo caricatevole, fondò l’Istituto “Boccone del Povero” per aiutare i bisognosi.

LUIGI CORNIA (Reggio Emilia 1885 – Caltanissetta 1927). Musicista di grande fama, fu compositore di molte marce funebri eseguite tuttora dalle bande musicali che accompagnano le processioni della Settimana Santa.

NICOLO’ VITELLI vissuto nello stesso periodo, fu anch’egli musicista e compositore.

MARIO GORI (Niscemi 1926 – Catania 1970). Poeta e letterato, fondò a Pisa varie riviste di cultura. Scrisse il volumetto di poesie “Ogni jornu ca passa” e, nel 1957, un “ Garofano rosso” che raccoglie la produzione più prestigiosa delle sue poesie.

LUIGI RUSSO (Delia 1892 – Marina di Pietrasanta 1961). Critico letterario, insegnò letteratura presso le Università degli studi di Firenze e di Pisa. Fondò la rivista Belfagor, scrisse un saggio su Niccolò Machiavelli e collaborò alla rivista Nuova Italia.

PIETRO PROFITA (Mussomeli 1914 – Tananarive 2004). Gesuita, visse 55 anni in Madagascar, dove insegnò lingua italiana all’Università di Tananarive e si adoperò per evangelizzare la popolazione.

FRATE LUCA da CALTANISSETTA (1644 – Luanda 1702). Al secolo Giuseppe Natale. Sacerdote missionario, visse in Congo per predicare la religione cristiana. Scrisse “Relazione del viaggio e missione in Congo”, facendo conoscere quella terra inesplorata, descrivendone la morfologia del suolo, i fiumi, la flora, la fauna e l’etnia degli abitanti.

FEDERICO POLIZZI (Serradifalco 1833 – Caltanissetta 1904). Poeta ed educatore, fu uno dei padri fondatori della scuola elementare nel Nisseno. Fu insignito nel 1893 con il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia dal Re Umberto I° che gli concesse anche il titolo nobiliare di conte.

MICHELE LA MANTIA (Caltanissetta 1874 – 1946).  Professore al Liceo, formava l’èlite intellettuale della città definita La piccola Atene, insieme al Preside Luigi Monaco, all’Editore Salvatore Sciascia, allo scrittore Vitaliano Brancati, al poeta Calogero Bonavia e ad altri intellettuali del Novecento.

QUINTINO MINGOIA (Caltanissetta 1902 – Roma 1981). Laureato in chimica, insegnò farmaceutica e tossicologia presso l’Università di Pavia. Visse per più di trent’anni a San Paolo del Brasile, dove approfondì gli studi scientifici e la ricerca farmaceutica, ponendo le basi per la produzione della chemioterapia.

LUIGI VANNUCCHI (Caltanissetta 1930 – Roma 1978). Attore di grande fama, fece parte della compagnia teatrale Gasman-Squarzina e ottenne successo con le rappresentazioni classiche: Amleto (nella parte di Laerte), il Tieste, i Persiani, l’Antigone e Prometeo. Alla Rai raggiunse grande popolarità con gli sceneggiati televisivi: “Una tragedia americana”, “Delitto e Castigo”, “I Promessi Sposi”, nel quale interpretava il ruolo di Don Rodrigo.

ANGELO LIPANI (Caltanissetta 1842 – 1920). Monaco cappuccino, rinnovò il Convento dei frati cappuccini e fondò la Chiesa del “Signore della Città” che ospita il simulacro del Cristo Nero condotto in processione dalla Real Maestranza il Venerdì Santo. Nell’annesso convento Padre Lipani ospitò le orfanelle degli zolfatai morti tragicamente nel disastro minerario del 1881.

IGNAZIO TESTASECCA (Caltanissetta 1849 – 1929). Laureato in Legge a Catania, sposò Maria Longo, donna di carità. Possidente e mecenate, si adoperò per la costruzione della Stazione ferroviaria, della Caserma militare, del nuovo Carcere e migliorò la struttura dell’Ospizio di Beneficenza per dare accoglienza ai bisognosi.  Per questa sua attività filantropica Re Umberto I° gli concesse il titolo di Conte.

GIUSEPPE MARIA VIZZINI (Villalba 1874 – Ferla 1935). Vescovo di Noto, pubblicò una collana di opere sui Padri della Chiesa in greco ed in latino, composta da ben 15 volumi.

GIUSEPPE GUARINO (Montedoro 1827 – Messina 1897). Insegnò diritto canonico presso l’Università di Palermo. Fu Arcivescovo di Messina e divenne Cardinale per volere del Papa Leone XIII° che volle così premiare il suo percorso di santità. Oggi è in corso la sua canonizzazione come pastore illuminato.

MICHELE TRIPISCIANO (Caltanissetta 1860 – 1913). Scultore neoclassico, scolpiva gesso, marmo e bronzo. Visse e lavorò oltre un ventennio a Roma, pur mantenendo forte il legame con la sua città natale alla quale donò, per testamento, le opere e i bozzetti in gesso oggi conservati nel Museo Civico di Palazzo Moncada, a lui dedicato. Fra le opere più note le statue che si trovano a Roma davanti la Cassazione, il Palazzo del Quirinale, nel cimitero del Verano, il gruppo statuario del Belli e tanti altri celebri monumenti.

GIUSEPPE FRATTALLONE (1833 – 1874). Nato a Caltanissetta, si trasferì a Firenze per meglio approfondire l’arte della scultura. Visse nel pieno del Risorgimento italiano, da cui aveva assorbito lo stile romantico di cui è stato finissimo interprete. Le sue sculture si trovano a Firenze e un po’ dovunque; nella sua città, nella nuova Sala del Museo Civico a lui dedicata lo scorso 14 marzo, si trova un’opera tra le più apprezzate: “L’ora dello studio”.

Questi quadri che ritraggono gli “Uomini Illustri di Caltanissetta” compongono – a parere di critici ed osservatori che hanno visitato l’esposizione museale – una collezione di particolare pregio perché oltre a far conoscere personaggi del passato che hanno raggiunto la notorietà, rivelano il talento dell’artista già al suo esordio giovanile. Infatti, in quei ritratti si profila la straordinaria forza di carattere di un giovane pittore combattuto fra la passione per l’arte ed il bisogno di identificare il senso della vita.

Le tecniche adoperate (dalla pittura alla scultura, dalla incisione alla ceramica) testimoniano la ricerca dell’artista di sperimentare nuovi modi di interpretare la realtà. Così la sua creatività si sviluppa, negli anni successivi, nelle acqueforti sul tema Humanitas; poi in quelle ispirate alle opere di Vittorio Alfieri ed agli Inni Sacri del Manzoni; e ancora nella cartella sul Processo di Franz Kafka; nelle acqueforti ispirate alla Bottega dell’Orefice di Karol Wojtyla, di cui ha firmato anche una brillante regia teatrale.

Ma è nell’arte sacra che Guadagnuolo dà il meglio di sé riuscendo a farsi interprete della sofferenza umana e della grande misericordia di Dio; con le opere dedicate a “Maria, Madre del Giubileo”; con gli otto grandi dipinti “Sulle orme di San Paolo”, con la “Pietà del 21° secolo”, e, più recentemente, con i meravigliosi ritratti sul pontificato di Giovanni Paolo II°, le cui mostre itineranti varcano ripetutamente i confini nazionali.

Per questo Guadagnuolo viene considerato uno dei maggiori autori del rinnovamento dell’iconografia dell’arte sacra. Quest’arte, profondamente individuale, lo rivela artista della condizione umana, interprete dei sentimenti dell’uomo contemporaneo che giungono, attraverso la sofferenza e la conflittualità dell’essere, ad una plasticità moderna, capace di continue metamorfosi.

FRANCO RUSSO

 

 

 

 

 

Pagina successiva »