Febbraio 2014


A Roberto Freak Antoni

Antonio Picariello

 

Nella lingua russa “verità” e “giustizia” sono indicate con la stessa parola: “pravda”. Dostoevskij spezza idealmente ciò che nella lingua russa era unito. Nel romanzo di Dostoevskij, il personaggio  Ivan rifiuta la fede e di conseguenza rifiuta  l’immortalità dell’anima. Camus si chiede: “se rifiuta l’immortalità, che gli rimane? Soppresso il senso della vita, rimane ancora la vita. […] Ma vivere è anche agire. In nome di che? Se non c’è immortalità, non c’è premio né castigo, né bene né male. […] Tutto è lecito. E con  questo “tutto è lecito” ha inizio la storia del nichilismo contemporaneo”. (“CriticaMente” Alessandro Palladino)

Ieri alla notizia della morte di Freak Antoni, l’amico del Dams negli anni 70/80, avrei voluto scrivere qualcosa poi, come Ivan, mi sono detto che scrivere adesso non avrebbe senso se non per una lugubre maniera di poter “dire la mia”. Dire la nostra è diventato il diritto mai acquisito di una democrazia andata a male, lasciata nel barattolo dei sottoaceti con il coperchio aperto su cui hanno agito le particelle dell’aria ricamando una magnifica reticella verdognola  che il linguaggio comune chiama muffe. Tutti ci sentiamo in una democrazia ammuffita che non serve, avrebbe detto Freak,  neanche a  Fleming per farne della  penicillina.  Adesso sembra che la ripetizione ossessiva del poter dire tutto e il contrario di tutto abbia prevalso sulla nobile arte, l’arte della demenzialità intelligente da lui inventata. L’arte di Freak Antoni tradotta in genere musicale e espressa  in letteratura poetica che ha generato condivisione felice nelle società di giovani  post-77.  Forse  perché nell’età adolescenziale e  post adolescenziale la libertà di essere demenziali è una forma di rappresentanza che mette magia nelle comunicazioni senza senso ed è strano riflettere che un semiotico “largo” come freak addetto alla ricerca del senso, abbia trovato sostanza e concretezza sociale nell’invenzione cantata  del “non senso”. La demenzialità esprime  modelli della comunicazione di cui Freak era a conoscenza perché il giornalista Roberto Antoni era laureato al Dams di Bologna; l’università avanguardista in Europa e concorrente con gli USA per aver forgiato attraverso il suo massimo rappresentante, Umberto Eco, la scuola di semiotica  interpretativa. Da questo punto di vista Roberto Antoni  era più vicino alla  pioneristica amabile “Sociosemiotica” francese di Roland Barthes che alle  strutture ontologiche  di Levi-Strauss e forse da questo punto di vista riusciva anche a incontrarsi, senza volerlo, con la visione del suo professore. Lui che aveva scelto una tesi di laurea intitolata “ Il Viaggio dei Cuori Solitari: temi fantastici sulle canzoni dei Beatles, e che aveva avuto per relatore Gianni Celati lo stesso criminal prof che ha dato anima creativa alle visioni scritturali di Enrico Palandri, Vittorio Tondelli, G.R.Manzoni e altri divulgatori liberi della scienza damsiana. Tutta questa scienza era infusa, per formazione obbligata, nell’anima di Freak Antoni che aveva capito che l’unica vera qualità comunicativa doveva essere data dallo spettacolo improvvisato a base circense, come l’antica maniera della Commedia dell’Arte, e le parole dovevano assumere una significazione della strada, un linguaggio comune come una pacca sulla spalla tra amici ubriachi degni di una verità semantica separata dall’imposizione delle regole dettate dalle  strutture sociali. Freak ha  incorniciato nella massima eleganza dello stile demenziale, lo stile dei giovani post 77 che a Bologna, città magica e segreta, conoscevano il fantastico tramite il racconto delle nonne quando cullandoli  gli facevano apparire due   leoni in gabbia nei giardini margherita, ( questa faccenda dei leoni me l’ha raccontata lui che abitava a San Giovanni in Persiceto, aggiungendo  che  amava la natura proprio perché sua nonna gli parlava sempre  della città ). Le generazioni che seguivano la visionarietà di Freak sembravano  apparentemente prive di fede come Ivan in  Dostoevskij; generazioni giovani che rinunciano all’immortalità per una formula semplice che si  traduce nella semplicità di poche frasi: “mi piacciono le sbarbine”,  “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”.  Poi anche le generazioni del demenziale sono passate all’età della ragione come,  molto tempo prima dell’arrivo degli Skiantos,  raccontava la voce classica di Marcuse. E allora  la verità che nella lingua russa condivide con giustizia lo stesso termine Pravda, può anche raccontare la storia strutturata dai libri nelle vicende fantastiche del Novecento russo diventando “La Pravda”   del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.  Verità e Giustizia che urlano salvezza dal boccale ricoperto di muffa conciliano i racconti della nonna sui leoni dei giardini margherita, e le informazioni televisive intrise di pubblicità e demenzialità accettata. Penso al mio amico Freak mentre in tv scorre  in diretta l’americano perfetto  linguaggio del giovane Renzi, e poi quello coerente e strutturale di  Cuperlo che del Dams Bologna è un eminente esponente. Penso a Freak che dice : “Nelle nostre canzoni esistono due livelli mescolati; quello alto, escatologico, di impegno politico, e quello basso, scatologico, gergale… Ma la poesia ci insegna che non ci sono parole proibite, è che solo la retorica le divide in auliche o di basso livello. Ed è proprio la retorica, intesa atteggiamento di supponenza ed ipocrisia, che rende volgari le cose”. Poi canta e recita poesie- “Se sei muto ridi con gli occhi, se sei cieco ridi con la bocca. Se sei muto e cieco c’è ben poco da ridere”. Ciao Freak.

 

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/02/12/news/addio_a_freak_antoni_la_voce_degli_skiantos-78355521/

 

http://zralt.angelus-novus.it/

REDAZIONE

 

EDITORIALE

In questo secondo numero di ZRAlt! facciamo subito parlare il “più grande poeta di tutti i tempi”, Albert Einstein, il quale da par suo, continua ad illuminarci sul fecondo rapporto crisi / creatività, perfettamente aderente alla filosofia di fondo della rivista:

“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘superato’. (…) Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla” (da Il mondo come io lo vedo).

Non avrebbe mai immaginato Einstein, che quelle sue riflessioni datate 1931, prima cioè delle inenarrabili aberrazioni naziste che lo obbligheranno ad emigrare un paio d’anni dopo negli USA, mal si conciliavano con la terrifica “realtà cadaverica” della Shoah o con gli altri milioni e milioni di cittadini europei massacrati nella Seconda guerra mondiale.

Eppure…. eppure la benedetta parola Pace in quella stessa Europa insanguinata ha riconquistato piano piano la sua legittimazione, mentre l’einsteiniana “crisi” si riappropriava delle sue normali sembianze etimologiche greche (Krisis, ovvero separo, decido).

All’interno di questa illuministica cornice, anche ZRAlt! si propone nel suo piccolo come a-temeraria sfida di un potenziale rinnovamento editoriale nel già fitto panorama nazionale e internazionale delle riviste online, con la sua nomade mini-redazione nella non-più-città dell’Aquila dove anche collegarsi semplicemente ad Internet può diventare un insormontabile problema.

Nell’editoriale del primo numero si chiarivano le motivazioni ed i contenuti di una rivista monotematica incentrata su “Catastrofe & Creatività”.

Ma, ogni catastrofe implica una crisi esistenziale (individuale e collettiva) ed entrambe –  come ha scritto lucidamente Einstein –  altro non sono che il propellente di una  indomita e indomabile creatività che con il suo linfatico apporto può rigenerare tutte le essiccate radici utopiche di una “umanità altra” viepiù schiacciata dall’opprimente peso d’intollerabili ingiustizie.

Creatività antagonista frapposta alla furia devastatrice di ogni sciagura, non solo causata dalla Natura, ma da “menti umane malate” che dal marxista sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sono passate nell’era globalizzante della ricchezza concentrata nelle mani sporche dell’1% della popolazione (mimetizzate prevalentemente dai guanti bianchi delle multinazionali), alla sistematica rapina quotidiana del restante 99 %.

I frammenti d’una galoppante ingiustizia planetaria possono ritrovarsi, in questo numero di ZRAlt!, nell’articolo di Pino Bertelli (Sulla guerra del Mali) documentato con il portfolio di straordinarie foto da lui scattate in un campo profughi nel 2012, autentiche icone capaci di restituirci tutta l’integra Bellezza dell’etnia Tuareg.

Che il salvifico tema della Pace non sia affatto archiviato, lo dimostra Disastri naturali: G8 e G20 scritto a quattro mani da Sekiguchi Toyoshige e Pina Calì, in cui emerge a tutto tondo la mite figura del monaco buddista coautore dell’articolo, il quale dal Giappone intraprende i suoi solitari viaggi per poi invocare, marciando nelle sedi dei G8 e G20 (con la salmodiante preghiera e con gli immancabili tamburello e “mini-dazebao), lo Stop al nucleare.

Sul versante dell’arte, la rassegna La deriva debordiana alle 99 Cannelle ideata e curata da Antonio Gasbarrini nel primo anniversario del sisma (6 aprile 2010), certifica la possibilità estetica di seminare ancora la Bellezza a piene mani, là dove macerie su macerie e medioevali cannelle essiccate lascerebbero intravvedere solamente gli spettrali aspetti di ogni distruzione..

Nelle due speculari proposte testuali e video Catastrofi naturali, cinema e effetti speciali di Gabriele Lucci e Post Scriptum (un docufilm dei giovani aquilani Stefano Ianni e Francesco Paolucci) è possibile percepire la sottesa dialettica delle finzioni filmiche ispirate alle catastrofi naturali e la contrapposta ostica durezza d’una desertificata città evacuata prima, e, ingabbiata poi con gli scheletriti puntellamenti.

Più connessi a tematiche tese a riflessioni d’ordine culturale sono i due articoli Massimo Cacciari demiurgo di Walter Tortoreto e Il pendolo di Charpy di Anna Maria Giancarli, scaturiti direttamente da incontri pubblici (L’Aquila e Roma, rispettivamente).

La seconda e ultima parte del densissimo saggio La percezione mediatica delle catastrofi di Giuseppe Siano analizza, infine, in modo originale e sotto le lenti d’ingrandimento dell’innovativa Teoria dell’informazione, le nuove modalità percettive in atto con la rivoluzione internettiana

INDICE BINARIO *

Fotografia
Sulla guerra del Mali di Pino Bertelli
1 portfolio

Pittura scultura installazioni performaces
La deriva debordiana alle 99 Cannelle di Antonio Gasbarrini
1 portfolio + 3 reportage

Saggistica
La percezione mediatica delle catastrofi (II parte) di Giuseppe Siano
2 reportage

Cinematografia
Catastrofi naturali, cinema ed effetti speciali di Gabriele Lucci
1 reportage3 trailer

Docufilm
Post scriptum di Stefano Ianni e Francesco Paolucci
1 docufilm

Chronica
Massimo Cacciari demiurgo di Walter Tortoreto
(L’Aquila 22 luglio 2013: “Recuperiamo la Bellezza”)
1 reportage + 1 video

Il pendolo di Charpy di Anna Maria Giancarli
(Roma 22 ottobre 2013: “La cultura e gli italiani oggi”)
1 portfolio + 2 video

Disastri naturali: G8 e G20 di  Sekiguchi Toyoshige – Pina Calì
Vari video e reportages links testuali

Per gli apporti multimediali al n. 2 di ZRAlt! (autunno 2013) si ringraziano, tra gli altri, Stefano Ianni, Francesco Paolucci e Carlo Nannicola.

ALCUNI  TITOLI DEL PROSSIMO NUMERO DI ZRAlt!

Antonio Picariello Videointervista a Zygmunt Bauman
Pino Bertelli La cava di pietra di Ouagadougou (Burkina Faso)
Antonio Gasbarrini La creatività sismica aquilana: un riannodabile filo rosso spezzato
Marcello Gallucci L’implosione della scrittura creativa
Giancarlo De Amicis La postcatastrofe e lo schoc civico-urbano

 

Lo strano caso del dottor J. e mister Italy

A.P.

In grammatica Simpatico è classificato come  aggettivo qualificativo, maschile, singolare, primitivo, positivo. Di solito lo si usa per caratterizzare le proprietà di un personaggio o di un soggetto che compie delle azioni. Mi è sembrato strano dunque trovare in un articolo l’aggettivo sposato al termine incidente:  – “simpatico” incidente al (M.a.r.) Museo d’arte di Ravenna. L’ombreggiatura di un buco nel muro, simulata ( dipinta)  dal riminese Eron che opera nel genere “street art” (arte della strada come la beat generation nella letteratura americana) , è stata stuccata da un operaio. – Purtroppo il vero buco rattoppato dal vero muratore è nella testa della gente. Una società che pretende di essere valutata in borsa per il suo patrimonio artistico e allo stesso tempo, come una velenosa  schizofrenia  di massa provocata scientificamente dal “nonsense” ossessivo dei ripetuti palinsesti televisivi, (senso solo nei  cervelli di massa bruciati) esclude dalle proprie scuole l’insegnamento della cultura artistica, non può essere altro che una società malata guidata da perenni istallazioni di personaggi autoreferenziali e inetti  malati cronici del proprio ego. È chiaro che per gli addetti ai lavori la lettura di questo raccontino della domenica diventa la lettura di una strategia comunicativa che ha per scopo l’accaparramento dell’attenzione di massa a basso investimento. L’operaio è pagato per fare un’azione del genere, l’artista è d’accordo con il management organizzativo del museo, l’opera è una vera boiata, che nell’era informatica traduce il  surrealismo “magrittiano” in esercitazione pedagogica  per bambini, il Mar di Ravenna, città che ha bisogno di visibilità pubblicitaria in quanto concorre a essere  Capitale europea della cultura 2019 e presumibilmente alla fine di quest’anno il  Consiglio dei Ministri dell’Unione dovrà designare  ufficialmente la città che porterà il titolo per l’Italia – http://www.europarlamento24.eu/capitale-europea-della-cultura-nel-2019-tocchera-all-italia/0,1254,106_ART_993,00.html –  se questo tipo di giochetti pubblicitari ripercorrono lo stile Cattelan con i simulacri  dei bambini impiccati penzolanti dall’albero, allora stiamo veramente freschi e sconsolati. Personalmente propongo per l’Italia la scelta ricada su L’Aquila considerando lo sfacelo italiano una vera performance reale altro che buchi e  trompe-l’oeil.