Novembre 2011


I calligrammes di Claudia Giraudo- l’unione di Segno e Messaggio –

Maria Stella Rossi

Per cercare nelle opere di Claudia Giraudo i segni stilistici ed espressivi chiarificatori della sua poetica è necessario porre l’attenzione su alcuni elementi tratti dal quotidiano con chiari rimandi a un mondo parallelo dove dominano l’interpretazione dei simboli e la dimensione surreale.
Dalla realtà ci arrivano animali, fili e cerchi, e ancora copricapo scenografici che vengono utilizzati dalla pittrice con attenta consapevolezza e con raffinate ed efficaci capacità tecniche.
Si entra nel suo mondo interiore muniti di chiavi di lettura, di riferimenti culturali e di capacità interpretative.
Solo in questo modo si scopre il variegato accumulo di conoscenze e di pensieri filosofici, psicologici e letterari che arricchiscono e connotano il percorso creativo della Giraudo.
Allora due sono i piani di lettura che ci offrono i suoi quadri, il primo più immediato fatto di emozioni e di intrecci sensoriali, il secondo più impegnativo e profondo perché coinvolge il pensiero speculativo e la ricerca dei messaggi che la pittrice elargisce e dissemina nelle sue opere in attesa di chi li coglierà e li svelerà.
Alla domanda che la Giraudo si pone sul senso della pittura ai nostri tempi, quando tutto sembra già esplorato e detto, rispondono le sue stesse opere che cercano e realizzano una necessità atavica di esprimere l’insondabile e chiarire l’urgenza interiore di lasciare segni che colgano anche l’atto di sintesi soggettiva.
Ecco, per Claudia Giraudo l’artista ha un ruolo ben delineato: è un precursore, un visionario che indica una possibile strada di conoscenza.
Ai personaggi delle sue tele affida messaggi, pensieri e sogni che mettono in contatto il mondo interiore con quello esterno; sono essi i portavoce delle continue interferenze fra i dualismi, anima/corpo, realtà/sogno, che segnano e determinano l’esistenza umana.
Ancora una dualità viene indicata già nel titolo che dà il nome alla mostra;
nel termine Calligrammes, tratto dalla raccolta poetica di un letterato cubista qual è stato Guillaume Apollinaire, la pittrice trova la metafora di cui servirsi per delineare una immediata collocazione culturale delle opere.
Ebbene, i calligrammi rappresentano una figura riconoscibile ma anche una poesia, Claudia Giraudo senza usare le parole unisce in maniera imprescindibile segno e messaggi.
E così gli animali, che nelle precedenti produzioni erano dipinti come elementi decorativi, diventano gli interpreti eletti alla pari dei personaggi umani. Essi sono i daimon ovvero animali rivelatori delle qualità nascoste dell’anima che accompagnano e interagiscono con la vita dell’uomo, trait d’union fra ciò che è reale e ciò che è visione o sogno, compagni armonici e silenziosi in perfetta sintonia con le figure adolescenziali ricorrenti e scelte dalla Giraudo per significare la sua ricerca di purezza, di freschezza dell’anima e del corpo. Gli adolescenti ritratti sono presenze innocenti e nello stesso tempo creature dallo sguardo a volte capriccioso, altre volte sognante e velatamente malinconico tutte protese verso il possibile e non verso ciò che è irrimediabilmente accaduto.
E’ un indagare e soffermarsi quasi ai limiti dell’ossessione su queste figure in evoluzione, nell’attimo prima delle scelte, ancor prima della stessa probabile corruzione che potrà toccare quei volti e quegli sguardi.
Ma la presenza dei daimon-animali, sempre in stretta rispondenza con i personaggi umani ritratti, possono diventare numi tutelari, guide sagge che indirizzino l’animo verso la propria specifica vocazione, per realizzare il proprio progetto di vita in questo mondo e in questo unico viaggio concessoci.
I riferimenti alla psicologia detta archetipica, il cui maestro è James Hillman, sono chiari rivelatori di un pensiero che scandaglia l’anima e ne cerca l’essenza. Allora il daimon lo potremmo chiamare anche vocazione, carattere, destino che ogni essere umano è chiamato a realizzare pienamente.
Il quadro chiave dell’intera esposizione, come un perno intorno al quale girano tutti gli altri, è Musica per Iguane, opera che sintetizza la maturità stilistica della Giraudo per la notevole costruzione tecnica e la riuscita espressività. Queste doti si materializzano sulla tela per il tramite dello sguardo di un’adolescente androgina, che ostenta un magnifico copricapo a punta e di un’iguana meraviglioso daimon dagli occhi suadenti al pari di quelli della fanciulla.
L’accostamento fra le due creature, quella animale e quella umana, è calibrato e armonico. Vi ritroviamo i temi cari alla pittrice e nello stesso tempo un loro ulteriore approfondimento.
Senza usare alcun segno rivelatore di tempo e di luoghi, tutto è sospeso, decontestualizzato, un immaginario fumo di seppia confonde le idee di chi guarda e tutto è voluto dalla mano e dal pensiero dell’artista che desidera portarci in un mondo fuori dal tempo.
I copricapo, accessori preziosi e insoliti calzati dai personaggi dipinti, sono parte di un rituale adoperato per chi viene insignito di un incarico. Quando si diventa messaggeri scelti e interpreti di suggestioni oniriche tutto può diventare metaforico ed ecco allora le atmosfere circensi dare il loro tocco fatato e ludico.
Personaggi e simboli quali l’hula hoop- o cerchio che si voglia- interpretano
il gioco della vita per analogie e assonanze. Trampoli, elefanti e pesci addobbati
da Arlecchini che si mostrano dalla tela solo in parte, come se emergessero da mondi invisibili, e ancora i travestimenti, che sono la divisa inoffensiva scelta dai personaggi del circo, ci portano in un mondo immaginifico e nello stesso tempo vero in una commistione che fa incontrare anime e mondi lontani.
Sono stralci di lettere, che decorano alcuni quadri, i segnali usati per avvicinare il tempo del passato al presente e confermare quella sua ciclicità che scorre fluida. E allora il cerchio è la simbologia scelta per significare ciò che non ha inizio né fine, una sorta di partenza atavica del tutto, mentre i fili sorretti da mani o da becchi e zampe di uccelli o che sostengono tartarughe o altri animali sono il chiaro riferimento al legame che lega le situazioni, le storie, gli esseri umani e il mondo degli animali tutti interconnessi e chiamati a interpretare la danza della vita.
La pittura diviene espressione di input sublimali quando è proprio l’emozione a toccare l’anima e a farla vibrare e in questo processo in cui si conferma la frase che “le risposte estetiche sono risposte morali” si pone il ruolo dell’artista che con il suo lavoro non innesca un’emozione fine a se stessa ma un processo di riflessione che sprigiona un’energia fiduciosa come motore contrario e opposto alle situazioni spesso contraddittorie e nichiliste di oggi.
Come non emozionarsi e non soffermarsi a cercare significati reconditi di fronte al quadro “Domatrice di Camaleonti”! C’è amabile sintonia tra la fanciulla e il rettile, considerato sempre poco aggraziato, la pittrice, invece, lo ritrae in un atteggiamento di grazia leggera mentre pone la zampa sulla spalla della figura femminile con cappello ad elmetto, azzurro e alato.
Improbabili elefanti, pesci e poi fenicotteri che rimandano a simmetrie e a intese interiori, occhi che bucano la scena ritratta -e non sai quali sono più espressivi quelli umani o quelli dell’animale -, cura dei dettagli, come nell’opera “La lingua Sconosciuta” dove ogni minima pennellata è stata studiata a cominciare dal tendaggio che ci fa pensare ai drappeggi amati da Jan Vermeer, e ancora la rappresentazione della luce che accende di vita volti e fondali costituiscono un mix che anima un universo alla ricerca dell’equilibrio che come un filo sottile divide ciò che è da ciò che potrebbe essere o accadere.
Questo soffermarsi sulla produzione attuale della Giraudo si conclude con l’analisi di un’opera che elegge a personaggio un procione. L’armonia della costruzione di linee curve e di masse di colore, l’espressività dell’animale, ritratto con la piccola zampa che poggia teneramente sulla fronte di un ragazzo biondo, donano all’opera “Specchi Puri” un’atmosfera di attesa, di stupore,di scoperta che cattura e innesca i pensieri.
E così l’arte di Claudia Giraudo trova il suo canale espressivo e fruibile in un rapporto vicendevole tra chi dipinge e chi osserva.
Il quadro diviene veramente tale nell’attimo stesso in cui riceve il battesimo dello sguardo come un libro che si completa pienamente solo con la lettura.
E sono ancora gli sguardi, rappresentati in maniera così attrattiva e comunicativa, a indicarci la scia di possibili traiettorie e scelte.


titolo: La lingua sconosciuta
tecnica: olio su tela
misura: 93×80 cm
anno: 2011

CGA-11-18
titolo: Musica per iguane
tecnica: olio su tela
misura: 70×50 cm
anno: 2011

CGA-11-20
titolo: Specchi puri
tecnica: olio su tela
misura: 50×45 cm
anno: 2011

COMUNICATO STAMPA

A TUTTI GLI ORGANI DI STAMPA
E RADIOTELEVISIONE

LORO SEDI

Si comunica che oggi lunedì 28 novembre 2011 – alle ore 20, presso la Sala 2 del Cinema Multiplex Maestoso a Campobasso, si terrà l’evento di contaminazione artistica La visione del sabba.

La visione del sabba è un evento progettato e messo in scena da alcune professionalità dell’arte coreutica, musicale, letteraria e teatrale di origine molisana, in occasione della prima nazionale del cortometraggio Mater nostra vivit di William Mussini, prodotto da Optima Video di Roberto Faccenda.

L’evento si compone di due momenti. In apertura della proiezione del cortometraggio, i musicisti Massimiliano D’Alessandro al mandolino e Fabrizio Baranello alla chitarra, componenti dell’ensemble Vòria fondato da Walter Santoro, eseguiranno la tarantella seicentesca Antidotum tarantulae.

In chiusura di proiezione, Mari Correa (musicista e lettrice teatrale), Luigi Fabio Mastropietro (scrittore, attore teatrale, direttore editoriale del Quaderno di segni contemporanei AltroVerso), Walter Santoro (compositore, etnomusicologo e performer) e Francesca Sara Spallone (danzatrice e coreografa), daranno vita alla parte più “interdisciplinare” dell’evento, realizzato attraverso l’interazione della lettura teatrale con l’happening della danza contemporanea e della musica (tamburo a cornice ed effetti).

La visione del sabba nasce dall’esigenza di contaminare e far interagire tra loro i diversi linguaggi artistici della contemporaneità, con l’obiettivo di potenziare il messaggio stesso delle arti contemporanee. Non a caso, il testo letterario scritto da Luigi Fabio Mastropietro instaura una percepibile continuità linguistica ed espressiva con il testo cinematografico che lo precede. Nella prima parte della lettura, l’artificio teatrale della riflessione del cineasta sul cinema della fine dei tempi innesca l’invocazione delle voci demonologiche e divine che soprintendono per l’appunto all’apocalisse prossima ventura. Un’apocalisse da intendere etimologicamente, quale rigenerazione finale della coscienza dell’uomo e rinascita della cultura e della civiltà umane. Una rinascita del genere umano possibile solo attraverso “la croce imbastita” sul cuore di ogni uomo, il quale in tale modo si muta in crociato combattente la battaglia della resurrezione della cultura umana.

Pertanto, considerato il rilievo dell’evento, nel quale interagiscono in scena cinque arti – cinema, teatro, musica, danza e letteratura – si prega di garantire la presenza di un inviato e di dare massima diffusione alla notizia.

Cordiali saluti e ringraziamenti.

Mari Correa
Ufficio Stampa e Comunicazione AltroVerso

Info: ufficiostampaaltroverso@gmail.com – altroverso.wordpress.com
Tel.: 0874.1960173 – 3801828029 – 3922091433

Camera dei Deputati presentazione della Monografia
“Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo”
con le poesie del Papa Beato Giovanni Paolo II

Venerdì 9 dicembre 2011 sarà presentata alle ore 16,00, presso la Camera dei Deputati, con ingresso via delle Mercede, 55 a Roma, la monografia “Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo” con le poesie di Karol Wojty?a (Edizioni: Angelus Novus – Tra 8 & 9 Anno 2011). Francesco Guadagnuolo ripercorre in questo volume il Pontificato di Giovanni Paolo II, da cui l’artista aveva meritato particolare stima personale e di cui si è fatto “cantore” sia delle opere letterarie sia del suo drammatico percorso di sofferenze e di universale esemplarità negli ultimi anni. Presenteranno la monografia Antonio Gasbarrini, critico d’arte, Renato Mammucari, storico dell’arte; il poeta Plinio Perilli leggerà alcune liriche del Papa incluse nel volume.

Breve sintesi dei contenuti della Monografia

Le opere, la storia personale, l’epistolario, la documentazione degli eventi e le conoscenze di personaggi che hanno distinto il cammino di un artista giunto a un dinamico incontro con la cultura, con l’arte europea e d’oltreoceano, costituiscono il contenuto di questo Volume. I lavori originali di Francesco Guadagnuolo, negli anni, sono divenuti stimolo d’interesse non solo culturale, ma anche sociale. Le tematiche affrontate nella sua attività artistica, infatti, dove poesia, musica, teatro, cinema, scienza, religione, politica, si fondono con la pittura, la scultura e le installazioni mostrano i nodi in cui s’intreccia il vissuto umano e sociale, e stimolano nel profondo i desideri di coloro che si vogliono confrontare con la sua arte.
L’opera dell’artista testimonia il talento di una personalità che interagisce creativamente col proprio contesto culturale, nella continua ricerca del senso profondo della storia. Nasce questa ‘raccolta di voci’, che fa il punto sulle opere e sul pensiero dell’artista, contribuendo al tempo stesso alla comprensione della vicenda artistico-culturale italiana del Novecento. Saggi critici, storici, sociologici, filosofico-teologici, compongono l’ampio volume, si armonizzano in un lessico chiaro ed efficace, capaci di affrontare temi di complessa definizione storico-critica. La figura di Francesco Guadagnuolo viene messa in risalto nei suoi molteplici aspetti, arte e vita s’intrecciano in una forma della realtà umana, in cui fluisce la visione dell’immagine interiore nella costante tensione spirituale fra il bene e il male. Il suo impegno è rivolto all’affermazione forte dei valori e dei diritti umani, in un mondo in cui sono in discussione i principi del vivere civile, nei rapporti tra gli esseri umani e nella perdita di un senso accomunante pur nella pluralità delle prospettive. Così egli dà voce e figura alla problematicità della condizione umana, mirando alla liberazione dal senso d’inquietudine che spesso l’uomo del nostro tempo avverte. I caratteri di questa crisi vengono osservati non nell’intento di una semplice curiosità estetica, bensì per fare della fragilità e della precarietà umana lo snodo della ricerca di un principio etico universale. Ciascun capitolo del libro è impreziosito da una poesia di Karol Wojty?a (Giovanni Paolo II) in sinergia con le opere di Francesco Guadagnuolo per rivelare all’uomo la verità più complessa che lo riguarda. Riassume bene il testo di Guido Ballo che ha scritto: «L’Arte di Francesco Guadagnuolo si caratterizza per due componenti poetiche che sono in stretto rapporto fra loro: figurazione ed astrazione. La prima è raccordabile ad un realismo intriso di espressionismo e comportamentismo; la seconda deriva dall’astrattismo e si sviluppa in senso informale, concettuale e arte povera.
Alle neo formulazioni realiste, all’astrattismo ed alla Nuova figurazione Guadagnuolo infonde un suo originale dinamismo espressivo e intellettuale che rende la sua pittura densa di significati: una vera “pittura di idea”, e mai di sola pura astrazione. Tutto ciò è dovuto alla forza del contenuto, che rivela una certa contiguità con alcune avanguardie vicine al vitalismo, all’action painting e alla poetica del gesto.
Un’importante nota distintiva della creatività di questo artista è, infatti, un’accentuata empatia con il vitalismo, e quindi una sua concezione dell’arte come sintesi. Concezione che gli permette il superamento dell’antitesi fra l’espressione figurativa e quella simbolica, anche se la sua cultura umanistica e l’ispirazione spesso letteraria lo conducono verso una forma di astrattismo concettuale che si manifesta, ad esempio, in opere basate sull’inserimento graficizzato di scritture prosastiche e poetiche, di spartiti musicali e formule scientifiche (quasi sempre autografe degli autori). Un costante intervento mentale, poi, fa sì che vengano dall’artista elaborate immagini-sintesi dilatate nello spazio, dinamizzate nel tempo e bloccate nell’hic et nunc del gesto; ma è in questo o quel particolare del quadro che si rivela al meglio una sorta di combinazione tra figurazione ed astrazione.
L’arte di Guadagnuolo non è mai occasionale o puramente formale, in quanto nasce dall’interno della sua complessa personalità, sensibile alla vita e tesa costantemente all’innovazione linguistica attraverso la pratica di una costante ricerca.
La sua attenzione si è sempre concentrata sui problemi esistenziali dell’uomo, in particolare sulle inquietudini e sui conflitti della società attuale, utilizzando anche le forme espressive più moderne legate ai mezzi di comunicazione di massa al fine di sottolineare la drammaticità da cui è spesso connotata la vita contemporanea.
Tutto questo si fonde in un’espressione artistica originale definibile, con Rosario Assunto, linguaggio di “arte e vita”. Infatti, i fini espressivi nascono sempre dall’identità tra vita e creazione, sfociante in una vitalità rivolta all’assoluto. Profonda è, infatti, la sua affinità con artisti di drammatica espressività, comune agli stessi l’impetuosità e l’immediatezza espressiva, considerando anche le insolute contraddizioni del nostro tempo ben al di là del mero connotato cronachistico.
L’arte non è soltanto un “prodotto estetico”, ma attività morale. Per questa considerazione, l’artista Guadagnuolo è innanzitutto uomo, molto attento alle implicazioni culturali del “fare arte” in una società complessa come la nostra. Egli è sempre ben documentato su tutto quello che accade in Europa e fuori, specie per ciò che concerne l’America in materia di arte contemporanea, pur rimanendo sempre fedele alla grande tradizione dell’arte italiana. Se per alcuni artisti di casa nostra la linea della ricerca estetica americana è essenziale, per Guadagnuolo è solo motivo di una conoscenza allargata e di arricchimento valutativo».

Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo”
Poesie di Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II)
Prefazione Cardinale Fiorenzo Angelini
Curatori Antonio Gasbarrini e Renato Mammucari

Caratteristiche del Volume

Formato: 30 x 26 cm
Pagine: 520 in carta patinata opaca, brossura
Foto a colori e B/N 1000 circa
Copertina: Cartonata in seta rossa con incisione a secco in oro
Sovraccoperta a 4 colori plastificata
Edizioni: Angelus Novus – Tra 8 & 9 Anno 2011
Curatori: Gasbarrini Antonio – Mammucari Renato
Prezzo di copertina € 60,00

Per informazioni: fguad@email.it

La poesia è morta viva la poesia

Questa ultima opera di Giorgio Linguaglossa – critico dalla sensibilità finissima quanto eversiva, impegnato da anni in una solitaria lotta contro la satrapia mediatica di poetarchi e poetastri che da decenni costringe in catene la poesia e la fa marcire – non è solo uno studio storico–critico sulla poesia italiana contemporanea che riannoda i fili di un epos letterario tanto ampio e articolato, per ricondurlo ad una omogenea cornice critico–ermeneutica e per colmare una lacuna storica ormai annosa. Questa storia della poesia q anche e soprattutto un’arma a disposizione del libero pensiero. Una delle poche armi oggi disponibili per pensare. Una cartina di tornasole che rivela il vuoto autoreferenziale che si cela dietro l’entertainment pseudominimalista dominante in poesia e in letteratura.
Personalmente ho pena dei chierici – nell’accezione rivelata da Julien Benda – che oggi occupano le redazioni dei periodici culturali e delle case editrici padronali. Mi fa ribrezzo il pelo sullo stomaco dei pennivendoli un tanto al chilo che propagandano il MinCulPop di una letteratura e di una poesia anodine e neutrali. Mi danno la nausea i becchini delle major che spacciano questo placebo innocuo e indolore, escreto dal regime del basso impero televisivo. E non mi riferisco alla paleotelevisione, che tanto ha fatto a suo tempo per l’unità linguistica del Paese, ma alla neotelevisione commerciale che narcotizza e avvelena la coscienza civile italiana da più di trent’anni.
La vulgata di questa deiezione inodore dell’intrattenimento globale recita che la poesia la letteratura l’arte il teatro possono intrattenere più o meno piacevolmente, magari rassicurare le coscienze come certa puerile narrativa noir oggi in voga, ma mai possono aspirare a cambiare il mondo.
Certo, è difficile che oggi in Italia si possa aspirare ad una rifondazione della poiesi sociale e civile utilizzando la lallazione afasica della letteratura prodotta dai chierici e dai loro autistici autisti (nel senso di chauffeur). Difficile sperare in una catechesi della coscienza occidentale guidata dalla sciagura di una poesia caricata a salve. Una poesia che, come l’arte visiva contemporanea, si professa un’arte post–tutto. Una sorta di didascalia di routine sempre un passo indietro al mondo. Un’arte annunciatrice del vuoto. Un’arte trans–automatica, congelata per sempre nell’ultraconsumo del ready made duchampiano.
Ma siamo veramente convinti che l’impegno civile e politico (quale appartenenza e aderenza alla polis, al mondo), il senso del sacro e del tragico che sono elementi costituzionali e fondanti dell’arte e della letteratura rimosse o marginalizzate dai poetarchi e dai loro porno protettori governativi, non possano, anzi non debbano aspirare a cambiare il mondo e ad accelerare l’apocalisse della coscienza occidentale ormai in atto?
Io mi chiedo, quale altra cosa, oggi più che mai, ha il compito epocale di leggere il mondo per cambiarlo? Quale altra missione ha questo sacro ufficio di salvezza dell’uomo? Forse la politica stragista delle banche d’affari o la guerra monoteista per esportare democrazia precotta in cambio di petrolio? O forse la dittatura globale dell’economia e del profitto ad ogni costo o magari la politica di uno stato che, tra morti nelle fabbriche e nelle carceri, fa più vittime degli eserciti riuniti di Gog e Magog?
Quali altre visioni hanno il compito di guidare oggi la rinascita di un mondo sprofondato nel buco nero di se stesso, se non la letteratura testamentaria, la poesia musaica, il teatro di ricerca, l’arte visiva taumaturgica, la critica militante ed eversiva?
Oggi più che mai è il tempo di credere nella poesia virale e affamata. Nella poesia medianica che nutrendosi della carne e del sangue del poeta, si nutre della carne e del sangue del mondo. Nella voce che per vivere ha bisogno di consumare i tessuti vitali di chi la pronuncia. Perché la poesia non è una scelta ma una condizione genetica di vita. La condizione di chi è affetto da un male e soffrendone produce una linfa che va a cristallizzarsi negli strati profondi dell’essere. La linfa vitale alimenta questo giacimento di ossidiana sepolto in fondo all’abisso della coscienza, ma non riempirà mai il Tartaro scavato sotto le ali di Crono. Non bastano nove giorni e nove notti all’incudine del dolore per toccare il fondo della poesia.
Il poeta non si riconosce poeta, ha terrore e nausea di questo compito e di questa definizione. La sua poesia nasce dalla dannazione di chi parla per il mondo e dallo stato di grazia di chi tace se stesso. Il poeta scrive malgrado se stesso. Canta con una voce non sua e sa bene che per dare spazio a questa voce altra che dimora dentro di lui deve struggersi e distruggere. La voce della poesia si leva dalle ceneri del tempio e risuona tra le macerie dell’io.
È questa la sola poesia possibile per chi porta su di sé i segni dell’attraversamento. Questa la sola condizione perché la voce parli oltre e contro di lui, in nome del dio che lo possiede. Questa la sola presenza, perché la poesia viva dell’assenza del poeta. Perché il raro clostridio di questa malattia che fa dire l’indicibile, contagi chi l’ascolta. Catturi il senso perduto delle cose e risvegli i sensi del mito. La cerimonia della poesia q officiata sul ciglio della voragine. E solo nell’offerta del sacrificio, la parola benedetta sarà detta bene e i sussulti della voce si placheranno.
La voce scaturisce dal corpo negato del poeta. Canta in una lingua inaudita e corrusca, scagliata nella gola dell’uomo dai primi lampi di concepimento del verbo. Una lingua gravida di senso che sembra nascere dallo stupro del silenzio primigenio. La lingua parlata dai morti e dai morituri. Muta e misericordiosa come quella dei morti. Barbara e sfigurante come quella dei morituri. La lingua pronunciata dalle labbra dell’esilio. Accecanti barbagli di una lingua antica come il dio che la divora.
Eppure questa poesia non ha alcuna azione drammatica, se non l’azione del primo uomo che si sradica dal cerchio di fuoco dei riti della comunità ancestrale per attraversare la propria morte e restituire al mondo la vera immagine di se stesso. Una poesia che è specchio pietoso del suo deserto. Una poesia che, grazie a Dio, non racconta ma scava pozzi. Non descrive ma dilata pori. Non insegna ma segna croci. Non consola ma unge pietre sulla soglia.
Superando quella soglia, il poeta rimane solo a consumare il cilicio dell’uomo. Fuori dal mondo, a inseguire la misura. Nel cuore del mondo, a distillare quella scaglia di luce che unisce la morte alla vita.
E come l’Imbunche, il bimbo santo di Josè Donoso, il poeta scopre in punto di morte che tutti gli orifizi del suo corpo, bocca, naso, occhi, orecchie, sono cuciti e che le sue mani e i suoi piedi sono legati al letto di contenzione. Il poeta non può parlare, né sentire, né vedere, né muoversi e resta lì fermo immobile ad ascoltare il passo grave che si avvicina.
Poi, all’improvviso, avverte che qualcosa si strappa dolcemente nel petto e come un canto si libera nel nulla, e gli sopravvive.
Luigi Fabio Mastropietro

“testo letto alla Casanatense definito da D. M. “ode alla poesia”.
Che io sia un poeta e non me ne sia mai accorto? Spero di non dovermi preoccupare anche di questo…”
Comincia fortemente a preoccupartene perché le definizioni dei grandi sono grandi definizioni che non hanno necessità di aggiunte né di essere cambiate. Grazie per questa tua lucidità sacrale dovuta al dio della salute mentale che ti ha ingoiato e ti restituisce parola da combattimento utile a creare società coscienti e sacre all’esistenza. Bisogna cominciare a rimuovere i pezzenti della finanza mercantile svuotati di umanità e sostituirli con la forza dell’arte che alberga negli uomini e nelle donne che non hanno paura di generare e farsi rigenerare dal potere della bellezza. A.p.

Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010)
di Giorgio Linguaglossa.
Interventi di:

Alberto Bevilacqua,
Luciano Luisi,
Roberto Bertoldo,
Luigi Manzi,
Luigi Fabio Mastropietro,
Valentino Campo.

Biblioteca Casanatense
Un lavoro che nelle premesse si annuncia epocale “il risultato di trenta anni di studi e di riflessioni sulla poesia italiana del Novecento. Uno strumento, ritengo, utile per capire qual è l’eredità che il Novecento lascia alla poesia italiana, le profonde modificazioni subite dalla forma-poesia nel corso di questi ultimi 65 anni e le sue possibilità di sviluppo per il futuro”. La storia della poesia italiana di Giorgio Linguaglossa riannoda i fili di un epos letterario estremamente ampio e articolato, riconducendolo a una omogenea cornice critico-interpretativa e colmando una lacuna storica ormai annosa.
Roma 23 novembre 2011 – Biblioteca Casanatense


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L’altra mattina il mio caro amico di Napoli mi chiama e mi dice: sai ho terminato il libro di palandri che avevo cominciato a leggere nell’80…. Mi è piaciuto molto; non me lo aspettavo….
rispondo: ci hai vissuto dentro tutta una vita e adesso ti ricordi di terminare il libro che ci rappresenta? Sei strano, ma il miglior strano creativo io conosca al mondo.
Anni fa, molti anni fa, quando ancora esistevano i rullini e le pellicole da incastrare nei corpi delle macchine fotografiche, decisi di realizzare una serie di scatti da sviluppare con un rimando di almeno vent’anni. Di anni ne sono passati oltre trenta. I rullini sono in qualche valigia in soffitta. Un numero esagerato, settanta, forse, in attesa di sviluppo (non so se si potrà ancora fare, sarà arduo trovare qualche studio che possegga la camera oscura e un fotografo che sappia recuperare al meglio la qualità scaduta della pellicola). Sono certo i rullini contengano foto di palandri con la barba, di tondelli con la barba, di eco con la barba, di fabbri rasato, calabrese con la barba, volli rasato. Foto di bologna; l’amante indiscussa di tutti. Forse le immagini che contengono quei rullini, dimenticati in soffitta, oltrepasseranno la mia consapevolezza di averle catturate. Comunque il gesto c’è stato, quelle inquadrature sono passate nella mia retina; se la memoria naturale non riesce a recuperarle, la memoria documento potrebbe farlo con una semplice decisionale volontà. Ma penso rovinerei qualcosa. Non so!, Preferisco la memoria resti ancora immobile. Non ancora patisco rimpianto. Comunque le immagini mai apparse sono vive e respirano in silenzio come il libro di palandri nella mente del mio amico. Se la lettura gli è piaciuta a distanza di tutti questi anni vuol dire eravamo una serie innocente di giovani “boccaloni” e che questo modo di esistere ci piaceva assai. Ci piace ancora adesso, ma non possiamo dirlo a voce alta.

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