Search Results for 'gasbarrini'


beuys5BS.jpg

http://www.pescarapress.it/domani-al-colonna-il-dibattito-sulla-serigrafia-di-joseph-beuys-2086/

Si terrà  a partire dalle 17 presso il Museo d’Arte Contemporanea ‘Vittoria Colonna’ di Pescara, l’incontro-dibattito intitolato “A proposito della serigrafia Tram Stop di Joseph Beuys“.

Questo il programma della conferenza:

  • Giovanni Giancarlo Costanzo
    Organizzatore della Mostra PescaraArt 2010.
  • Antonio Gasbarrini
    Originale, multiplo, prova di stampa, copia e falso de “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.
  • Antonio Picariello
    Tram Stop di Joseph Beuys: una prova di stampa serigrafica originale, in mostra al Museo d’Arte Contemporanea di Pescara.

E’ prevista, inoltre, la testimonianza del collezionista che ha dato in prestito, a titolo gratuito, l’opera Tram Stop di J. Beuys.

di Matteo Aldamonte

POSITIVO-NEGATIVO1.jpg

da un’opera di mario serra

PescarArt 2010: l’organizzazione risponde alla denuncia di Lucrezia Durini

E’ stata una conferenza-stampa accesa. Anzi, un incontro-dibattito, come hanno preferito definirlo gli organizzatori di PescarArt 2010, la mostra del Museo d’Arte ‘Vittoria Colonna’ che tanto ha fatto discutere in questi giorni, dopo la denuncia di Lucrezia Durini, per aver esposto un presunto falso dell’opera ‘Tram Stop’ di Joseph Beuys.

Ed hanno risposto prontamente gli organizzatori della mostra, a partire da Giancarlo Costanzo, responsabile dell’evento, assieme al curatore Antonio Picariello, il quale ha sottolineato come la critica della Durini “sarebbe ben accolta se riferita a tutta la mostra, ma inutile se fine a se stessa”.

Ai danni dell’editrice, esperta di Beuys, sarebbe partita anche una querela da parte di Antonio Gasbarrini, curatore dell’area moderna di PescarArt 2010, ed erroneamente tirato in ballo in qualità di ‘organizzatore’.

Non è falso, secondo gli organizzatori. Potrebbe trattarsi, bensì, di ‘prova d’autore’. A stabilirlo sarà la perizia di un esperto, che confronterà la firma di Beuys contenuta sull’opera del ‘Colonna’ con altre cinque o sei ritenute già autentiche, e la cui risposta è attesa per la prossima settimana.

A testimoniare, comunque, è stato anche Angelo Mucci, proprietario della serigrafia, il quale ha spiegato di come l’opera, un regalo dello stampatore conosciuto sia da Beuys che da Lucrezia Durini, risulti ingiallita sullo sfondo a causa dell’usura, e non di una colorazione artificiale, come sostenuto nella denuncia pubblica.

Certo, rimane l’impressione che la polemica sollevata attorno ad un’opera comunque secondaria, se paragonata ad altre presenti nella stessa mostra, sia stata eccessiva, ed a tratti incomprensibile.

di Matteo Aldamonte

http://www.pescarapress.it/pescarart-2010-lorganizzazione-risponde-alle-denuncia-di-lucrezia-durini-2110/

pescara.jpgpescara.jpgpescara.jpgpescara.jpg

Erano anni che in Italia non avvenisse un sollecito riattivo dello “ scandalo “. Allora l’Italia esiste ancora?  Può ancora produrre storia dell’arte?. Bene diamoci da fare….

 Tutti gli artisti presenti nella mostra Pescarart 2010 producano un’opera in omaggio a Lucrezia De Domizio Durini per il magnifico libro “ Il cappello di feltro” ed a  Joseph Beuys che sembra voglia tornare a vivere adesso…. Basta vecchiume e ripetizione morbosa;  con  la divinità dell’ironia e con quel poco di  umano che ci rimane   rimettiamogli il sangue nobile dell’arte nelle vene, riattiviamo le sue sinapsi, ma soprattutto riaccendiamo la sua anima  che ci ha dato onore e fede per poter credere negli archetypi dell’’Occidente.

 Antonio Picariello

lettera pescar900 per pres visione.jpglettera pescar900 per pres visione.jpglettera pescar900 per pres visione.jpglettera pescar900 per pres visione.jpglettera pescar900 per pres visione.jpg

OPERA 217-IL FALSO-OMAGGIO A BEUYS12.jpg15_3_Beuys_g.jpgconferenza con figurapilò.jpgpescr segno.jpeg31.jpgaalabirinto_armonico1.jpgJoseph_Beuys_and_Lucrezia_De_Domizio_Durini_Photo_Bubi_Durini.jpgdurini02con bpilo.jpgOPERA 217 IL FALSO OMAGGIO A B.jpg

 “La piantagione di 7000 querce rappresenta solo un inizio simbolico, e per questo inizio simbolico io necessito anche di una pietra miliare, questa colonna di basalto. In un’azione come questa ci si riferisce alla trasformazione della vita di tutta la società e dell’intero spazio ecologico. […] Era mio interesse ottenere tramite queste prime 7000 piante un carattere monumentale, che ogni singolo monumento consista di un elemento vivente, appunto l’essere costantemente mutabile nel tempo, l’albero, e di una parte che sia cristallina e mantenga la sua forma-massa-grandezza e peso. Se su questa pietra avviene un mutamento esso avverrà soltanto a causa di una sottrazione, frammentandone un pezzo, ma mai a causa di una crescita. Dato che questi due elementi sono posti uno accanto all’altro ne risulta una proporzionalità costantemente variabile tra le due parti costituenti del monumento. Se noi osserviamo delle querce 6 o 7 anni, vedremo in un primo tempo che sarà quasi sempre la pietra a dominare. Dopo un po’ di anni avremo l’equilibrarsi proporzionale tra pietra e albero e vedremo poi, forse tra 20-30 anni, come la pietra lentamente diverrà un accessorio ai piedi della quercia”
Joseph Beuys in Lucrezia De Domizio Durini, Il cappello di feltro. Joseph Beuys una vita raccontata, edizioni Carte Segrete
logo.jpg

http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=news_det&id=1198&det=ok&news=Falso-Beuys-in-mostra-a-Pescara

http://www.flashartonline.it/index.php

http://www.primadanoi.it/notizie/25542-Scandalo-in-mostra-a-Pescara-artista-denuncia-serigrafia-falsa

http://www.flashartonline.it/index.php

http://ilcentro.gelocal.it/multimedia/home/23616187

http://ilcentro.gelocal.it/dettaglio/un-falso-di-beuys-al-museo-colonna/1889747

Lucrezia De Domizio Durini, personaggio atipico del sistema dell’arte contemporanea, opera da circa quarant’anni nel campo della cultura internazionale: operatrice culturale, giornalista, scrittrice, curatrice, editrice, mecenate.

Lancia alla fine degli anni sessanta la prima sfida aprendo a Pescara lo Studio L.D. una casa galleria strutturata da Getulio Alvani, Ettore Spalletti e Mario Ceroli. Organizza mostre di Burri, Fontana, Capogrossi, Rotella, Pistoletto e propone la Pop Art americana e il Costruttivismo Internazionale.

Sposata al Barone Giuseppe Durini di Bolognano, negli anni ’70 la villa di San Silvestro Colli (PE) diviene un centro di incontro per i protagonisti dell’arte di quel momento storico: tutte le firme del Concettuale e dell’Arte Povera si ritrovano nella sua casa nel segno dell’eccellenza e dell’amicizia. Mario e Marisa Merz, Kounellis, Calzolari, Bagnoli, Bizhan Bassiri,Vettor Pisani, Paolini, Prini, Mattiacci, Boetti, Ontani, De Dominicis, Fabro, Agnetti, Job, Russo, Giuli, Salvadori, Clemente, Chia, Tieri e molti altri. A questo cenacolo permanente partecipano critici quali Bonito Oliva, Celant, Tommasoni, Trini, Menna, Corà, Salerno, Gatt, Izzo e nel contempo trasforma una stalla del vecchio forte borbonico di Pescara in uno spazio di eventi e operazioni artistiche antitradizionali.

Nel’71 incontra l’artista tedesco Joseph Beuys, da questo incontro nasce nel 1974 la prima discussione Incontro con Beuys.

Mentre tra lo spazio di Pescara e la Villa di San Silvestro Colli si svolgono gli avvenimenti maggiori della ricerca estetica degli ultimi trent’anni, l’opera di Joseph Beuys diviene il filo conduttore che trasforma l’intera esistenza di Lucrezia De Domizio che condivide profondamente l’intera filosofia beuysiana e ne diviene militante e studiosa. Venezia, Kassel, Bolognano, Tokyo, Napoli, Veert, Parigi, Londra, Düsseldorf, Seychelles, New York, Roma sono le tappe dell’operazione Difesa della Natura, un’operazione a salvaguardia dell’ambiente e in difesa antropologica dell’uomo e della creatività umana che trova nel rifugio storico delle campagne abruzzesi i momenti più creativi degli ultimi quindici anni di vita dell’artista.

Dalla morte di Joseph Beuys (23 gennaio 1986) Lucrezia De Domizio Durini dedica le sue energie alla diffusione del pensiero beuysiano nel mondo attraverso discussioni, dibattiti, conferenze, pubblicazioni, convegni, tesi di laurea, scritti e mostre nei musei internazionali.

Va ricordata l’antologia dell’Operacio Difesa della Natura al Museo Santa Monica in Barcellona promossa dalla Generalitat de Catalunya 1993, la mostra Diary of Seychelles.

Difesa della Natura promossa dalla Provincia di Perugia alla Rocca Paolina 1996, la Piazza Beuys 1999, il primo Convegno mondiale a Budapest nel 2000, La Mostra Joseph Beuys. L’immagine dell’Umanità al Museo MART di Trento 2001, il Francobollo Repubblica di San Marino in omaggio del Maestro tedesco, Il Bosco Sacro di Beuys a Gibellina oltre a numerose manifestazioni internazionali.

serial n.jpgFALSO_GRAFICA_BEUYS.jpgserial tramsfer n.jpg

Autrice di ventisei libri sul pensiero beuysiano, è da ricordare il Il Cappello di Feltro tradotto in sette lingue e adottato come libro di testo in molte Accademie e Università italiane ed estere, Olivestone, L’Immagine dell’Umanità e la Spiritualità di Joseph Beuys.

Collezionista ed editrice di opere d’arte, presidente della Free International University italiana, insignita nel 1993 da J. Lang a Parigi dell’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e della Letteratura, membro del Tribunale dell’Ambiente, lega il suo nome a donazioni di opere d’arte di Joseph Beuys, ricordiamo tra le più significative in Italia alla Galleria degli Uffizi di Firenze, all’università di architettura a Venezia e al Museo Mart di Rovereto, all’estero “Olivestone” al Kunsthaus di Zurigo, alla Fondazione Mitterand di Parigi, al Guggheneim Museum di New York, ai Musei di Sarajevo, di San Marino, Zagabria e Santa Monica in Barcellona.

Dal 1987 vive e opera a Milano in un loft ricavato dai vecchi capannoni della Caproni, un luogo di incontri internazionali e redazione del periodico “ RISK Arte Oggi”, rivista di Intercomunicazione Culturale fondato da Lucrezia De Domizio Durini nel 1990.

È curatrice per la Sezione Italiana del Museo di Sarajevo.

http://cultura.inabruzzo.it/0011487_pescara-il-ricordo-di-umberto-mastroianni-al-museo-vittoria-colonna/

http://istituti.blogspot.com/2007_12_30_archive.html#7630235930623157801

http://mysticdriver.blogspot.com/

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2006/11/trackerArt241106prisco.shtml?uuid=129311b2-7b98-11db-9a68-00000e25108c&DocRulesView=Libero

LEO STROZZIERI

Pescara è forse una delle prime città che rende omaggio ad Umberto Mastroianni, il grande scultore che a suo tempo fu definito “erede di Boccioni” per il dinamismo esplosivo delle sue opere sia plastiche che grafiche, per il centenario della sua nascita . Il grande maestro amava molto l’Abruzzo ed in particolare la Città di Pescara, dove negli anni novanta tenne una memorabile mostra presso la Succursale FIAT.

Grazie all’Assessore alla Cultura del comune Elena Seller si è potuto utilizzare il prestigioso Museo Colonna per l’attuale mostra omaggio inserita nell’ambito di PESCARART. Come già per la mostra della FIAT, anche questa volta ci si è avvalsi della consulenza critica di Floriano De Santi, il massimo esperto dell’opera dell’artista ciociaro. Affianca questa interessante mostra in cui sono esposte non solo sculture, ma anche opere su carta, altre due sezioni dedicate rispettivamente a maestri storici e ad artisti contemporanei curate da Antonio Picariello e Antonio Gasbarrini, studioso quest’ultimo tra i più apprezzati della nostra regione, direttore di quello straordinario centro di documentazione aquilano chiamato “Angelus Novus”.

La rassegna Pescarart, giunta alla sua terza edizione, è promossa dal P.A.E. (Pescara Art Evolution) diretta dal maestro Giancarlo Costanzo, ed è stata documentata da un elegante catalogo a colori per le edizioni Sala di Pescara. È molto gratificante notare come in questa manifestazione siano state coinvolte quasi esclusivamente forze culturali ed editoriali operanti sul territorio, e questo non è cosa di poco conto alla luce della sempre ricorrente tentazione di esterofilia. Da rilevare poi come siano state inseriti in rassegna due artisti abruzzesi scomparsi un po’ dimenticati come Elio Di Blasio che fu uno dei più autorevoli esponenti di quella che viene chiamata Scuola Artistica Pescarese che si riuniva attorno alla figura carismatica di Giuseppe Misticoni, fondatore del Liceo Artistico, e Giuseppe Di Prinzio, insigne ceramista. Nutrita poi la pattuglia degli abruzzesi tuttora operanti: Mandra Cerrone, Isabella Ciaffi, Mario Costantini, Giancarlo Costanzo, Duccio Gammelli, Cesare Giuliani, Stefano Ianni, Gabi Minedi, Massimina Pesce, Anna Seccia, Simone Zaccagnini.

Ma torniamo ad Umberto Mastroianni.

Nato a Fontana Liri nel 1910, è morto a Marino nel 1998. Tra i più noti scultori italiani del ‘900, ha eseguito numerosi monumenti tra i quali quello alla Resistenza di Cuneo e quello alla Pace di Cassino. Il riconoscimento più alto lo ottiene nel 1958 con il Gran Premio per la Scultura alla Biennale di Venezia. Nel ’73 gli viene conferito il Premio Feltrinelli e nell’89 il Praemium Imperiale a Tokyo, una specie di Premio Nobel per l’arte. Ha lasciato un museo permanente delle sue opere ad Arpino. Indubbiamente un personaggio in grado di significare appieno nella sua opera la contemporaneità, che sappiamo essere fondata sul dinamismo, la velocità, sul mito della macchina, del progresso, elementi che a suo tempo il movimento marinettiano proprio negli anni in cui nacque Mastroianni propagandava spesso con serate anarchicamente provocatorie. Lo scultore ciociaro è stato anche il grande cantore della resistenza con monumenti sparsi in diverse città a cominciare da quello già citato di Cuneo, davvero imponente. Frenetica, parossistica sia nella composizione che nel cromatismo effervescente la sua vastissima produzione grafica al limite della febbre sempre incombente. Chi abbia avuto la fortuna di conoscerlo, come lo scrivente, non può non ricordare la sua irrequietezza che poteva placarsi solo con un pennarello in mano ed un foglio di carta sul quale vergare i suoi appunti grafici sempre elegantissimi e di grande letizia coloristica. Un vero vento furente sembrava lo coinvolgesse a ogni istante: questo il ricordo che nutro di lui e che ritrovo nelle opere esposte in mostra. Che dire? Un bel regalo che Giancarlo Costanzo e l’Assessore alla cultura Elena Seller hanno fatto alla nostra regione e non solo.

Quanto alla sezione degli artisti contemporanei tutti di livello con opportuni inserimenti di giovani, una citazione meritano, per aver presentato opere di grande raffinatezza estetica e formale, i pittori Gard, Amadio, Bellandi, Braido, Carboni, Ciaponi e Paolo Marazzi, che di Mastroianni fu amico, estimatore e collaboratore (vedi foto). Indubbiamente una mostra che avrà notevole successo di pubblico e di critica e che richiamerà nel capoluogo adriatico numerosi visitatori.

http://www.cityrumors.it/2010031713931/pescara/cultura-spettacolo/caso-beuys-il-comune-di-pescara-si-rivolge-a-vittorio-sgarbi.html

http://www.pressonweb.org/index.php?option=com_content&view=article&id=7604&catid=51&Itemid=87

http://www.c6.tv/archivio?task=view&id=3796

http://www.pescarapress.it/falso-beuys-la-replica-degli-organizzatori-di-pescaraart-2010-2015/

Dall’organizzatore e dai critici d’Arte della mostra PESCARART 2010 si intende chiarire all’opinione pubblica, così fortemente “allertata” dalla roboante iniziativa mediatica della sig.ra Lucrezia De Domizio Durini, che l’attacco non colpisce nel segno: intanto perché, senza alcuna prudenza, professionalità, attenzione, confonde ruoli e responsabilità.

Inoltre perché si fonda su una conoscenza evidentemente parziale dell’operare del maestro Beuys, infine perchè si connota di errori oggettivi e particolare violenza, livore, acredine, che non si giustificherebbe comunque, considerando che l’opera (che non è colorata ed è stata acquisita da un collezionista che l’aveva avuta direttamente dallo stampatore abruzzese dell’epoca di Beuys ed è perciò comunque “originale”) non è di certo tra le più significative tra le trenta opere esposte nella sezione “maestri storici” della mostra.

Comunque, mentre partiranno senz’altro le opportune iniziative giudiziarie a tutela di chi è stato ingiustamente offeso e dileggiato con tanta approssimazione e leggerezza, se non per scopi non degni, per amor della verità, della chiarezza ma anche dell’Arte e della Cultura, si preannuncia anche una ulteriore iniziativa –un incontro culturale, sempre al museo Colonna- proprio per chiarire tutti i ricordati aspetti del falso “scoop”.

http://ilcentro.gelocal.it/dettaglio/beuys-il-giallo-della-stampa/1890398?edizione=Pescara

http://www.primadanoi.it/notizie/25542-Scandalo-in-mostra-a-Pescara-artista-denuncia-serigrafia-falsa

carriole732010last aquila 003 (Large).jpg

Immagine 047.jpgImmagine 045.jpgImmagine 040.jpg

Immagine 048.jpg

carriole732010last aquila 008 (Large).jpgcarriole732010last aquila 012 (Large).jpgcarriole732010last aquila 022 (Large).jpgcarriole732010last aquila 024 (Large).jpgcarriole732010last aquila 027 (Large).jpgcarriole732010last aquila 028 (Large).jpgImmagine 045 (Large).jpgImmagine 046 (Large).jpgImmagine 047 (Large).jpgImmagine 048 (Large).jpgImmagine 049 (Large).jpgImmagine 050 (Large).jpgImmagine 052 (Large).jpgImmagine 055 (Large).jpgImmagine 057 (Large).jpgImmagine 059 (Large).jpgImmagine 062 (Large).jpgImmagine 063 (Large).jpgImmagine 064 (Large).jpgImmagine 067 (Large).jpg

Parigi, Marsiglia, Weimar, Napoli, San Gimignano, Mosca. Negli anni venti Benjamin scrive per giornali e riviste una serie di articoli-reportage sulle città dove gli capita di soggiornare.”Alla base delle descrizioni delle città straniere di Benjamin non troviamo motivi meno personali di quelli che ispirarono “Infanzia berlinese”. Ma ciò non significa che egli non abbia saputo vedere quei luoghi nella loro realtà. Ché un paese straniero riesce a operare la magica trasformazione del visitatore in fanciullo solo se gli si mostra così pittoresco e così esotico come una volta era apparsa al bambino la propria città. Simile al fanciullo che sta con occhi attoniti nel labirinto inestricabile, Benjamin nei paesi stranieri si consegna con tutto il suo stupore e tutta la sua avidità alle impressioni che lo investono.  Il linguaggio metaforico aiuta Benjamin – analogamente alla struttura da lui preferita: l’articolazione in brevi periodi – a dipingere le immagini di città come miniature. Nella loro sintesi di lontananza e vicinanza, nella loro incantata realtà, esse assomigliano a quei globi di vetro in cui la neve cade su un paesaggio, che furono fra gli oggetti preferiti da Benjamin”. -QUESTA CITTà, QUESTA L’AQUILA CHE AMIAMO è QUI A DIRCI ANCORA UNA VOLTA CHI SIAMO PERCHè ESISTIAMO PERCHè DOBBIAMO ESISTERE ADESSO PER NOI, PER CHI CI SOTITUIRà NELLA STORIA E NELLA VITA. SAREMO ANIME E LORO LA BIOLOGIA CHE CI RISPETTERà SE SAREMO STATI CAPACI DI FARCI RISPETTARE. DAI FIGLI E DAL MONDO. A. P. 

La mani sporche, i nuovi  lanzichenecchi ed il sacco dell’Aquila cementificata

 

di Antonio Gasbarrini *

 

Le mani sporche sulla città di Federico II. Le iene ridenti, qualche minuto dopo le devastanti 3.32, erano già pronte ad azzannarne  la  carcassa. Rivoltante scena avvenuta subito dopo con la complicità di alcuni basisti-imprenditori locali i quali non hanno avuto alcun ritegno, con la costituzione del “Consorzio Federico II” in puzza di mafia, nell’infangare l’aulico nome dell’imperatore svevo. 

Aveva assicurato, l’incauto braccio destro del sig. b. – il marsicano Gianni Letta –  che quelle iene “non hanno avuto né avranno un solo euro”:  al momento, ne hanno già incassati circa 12 milioni. Tondi tondi, si tratta di 24 miliardi delle vecchie lire. Hanno vinto appalti o sono stati direttamente incaricati, senza colpo ferire, ma con la determinante mediazione di uno dei tre coordinatori del cosiddetto Partito della Libertà, quel Denis Verdini indagato per corruzione dai magistrati fiorentini. Quel che è peggio, hanno tra l’altro  costruito una scuola media e messo in sicurezza una delle più prestigiose architetture della città, il Palazzo quattro-cinquecentesco Farinosi-Branconi.

Due simboli forti insozzati da una volgare cupidigia senza fondo. Il primo, la scuola media Carducci, dove una moltitudine di studenti provenienti dalla costa in cui attualmente si trovano ancora in buona parte esiliati, si alza ogni mattina alle 5,30 per rientrare la sera alle 19, dopo aver percorso in autobus circa 200 km tra andata e ritorno. Il secondo, ristrutturato ed ampliato nei primi due decenni del Cinquecento dall’ “aquilanus” Giovan Battista Branconio, erede testamentario di Raffaello Sanzio nonché segretario particolare dei papi Giulio II e Leone X. Non so che fine abbia fatto, dopo il “tremuoto”, lo stupendo ciclo di affreschi di ascendenza anche raffaellesca “Le storie di S. Clemente”. So, invece, di averlo studiato e documentato iconograficamente nel mio libro “Branconio e Raffaello. Amici nella vita e nell’arte”. Anche per quest’ultima coincidenza sono rimasto particolarmente schifato dei branchi delle fameliche carogne precipitatesi sulla città morta.

Ma, in proposito, ha ragioni da vendere l’urbanista Pier Luigi Cervellati il quale, nella tavola rotonda “Guardarsi dentro” tenuta recentemente nell’auditorium della Regione Abruzzo, ha testualmente affermato: “Chi si stupisce dell’accaduto, dovrebbe riflettere su quanti imprenditori aquilani e no, negli ultimi decenni hanno riso e continuano a ridere per aver potuto costruire sulla faglia attiva di Pettino”. Non era ancora a conoscenza, l’illustre urbanista, dello squallido intreccio affaristico intercorso qualche giorno dopo il sisma tra alcuni costruttori aquilani ideatori del famigerato Consorzio Federico II (“non avente scopo di lucro” com’è scritto nello statuto, ma pronti a festeggiare nei pressi di Palazzo Chigi la sicurissima aggiudicazione di vari appalti) ed i vari indagati già in parte assicurati alle patrie galere, satelliti non tanto occulti del Re Sole della Protezione Civile.   

E, aggiungo personalmente, quanti politici, faccendieri di ogni risma, proprietari di ex terreni agricoli si sono fregati ed hanno continuato a fregarsi le mani fino al 5 aprile?

La storia è piena di Attila che non hanno risparmiato nella loro furia distruttrice un solo filo d’erba e di lanzichenecchi stupratori del corpo più sacro esistente nel nostro sistema solare: la venerabile natura-territorio-vita a cui dobbiamo tutto il benessere fisico, spirituale, civico e culturale.

Natura-territorio-vita godibile nella verdeggiante conca aquilana adagiata ai piedi del Gran Sasso, fino alla prima metà degli anni Cinquanta del novecento. Per circa sette secoli c’era stata una perfetta simbiosi nella triade città-natura-territorio. Poi, con la vorace espansione fuori le mura medioevali, l’antico equilibrio è stato progressivamente interrotto edificando a più non posso casermette e casermoni sulla faglia, implosi o squagliatisi come neve al sole con il loro mafioso cemento annacquato.

La bruttissima new town di “Aquila 2”, nel giro di una cinquantina d’anni era cosa fatta con i suoi 25.000 abitanti, quasi tutti emigrati dal centro storico, a sua volta riempito da migliaia di studenti universitari paganti fitti in nero. La città borghese e piccolo borghese liberale prima e clerico-fascista poi, con forti entrature massoniche, cambiava così in modo radicale i suoi consolidati  connotati socioeconomici trasformandosi in una parassitaria comunità prosperata sull’abnorme, totalizzante crescita della rendita parassitaria (edilizia, terreni e affitti). 

Per rendersi ben conto di questo primo sacco cementificato con cui i lanzichenecchi locali hanno deturpato la natura-territorio extra moenia, si può andare in via Duca degli Abruzzi e fermarsi all’altezza di Porta Branconia nei pressi del vecchio ospedale S. Salvatore, dissepolta qualche anno fa. Il desolante spettacolo di quel lunghissimo, disordinato convoglio di case dirette verso un precipizio antiurbano, grida ancora vendetta per aver rumorosamente oltraggiato il plurisecolare silenzio laborioso del sovrastante Convento di S. Giuliano o del maestoso Gran Sasso nella sua scenografica lontananza.  Scenografia, dentro le mura, esaltata dalle architetture barocche innestate dopo il terremoto del 1703 sul precedente tessuto urbanistico d’impianto medioevale-rinascimentale, sia con teatralizzanti soluzioni formali che con decorazioni  plastiche di matrice religiosa (la chiesa del Suffragio e quella di S. Filippo ne sono state un chiaro esempio).

La mazzata finale alla disordinata lievitazione periferica d’una città-territorio-ambiente dal volto già sfigurato, l’hanno data nel giro di alcuni mesi due nuovi Attila in groppa sullo stesso scalpitante cavallo della Protezione Civile deviata (quella “ristrettissima” degli appalti truccati, s’intende, e non già i sensibilissimi vigili del fuoco o le migliaia e migliaia di generosissimi volontari venuti a L’Aquila da ogni parte d’Italia, anche se inquadrati operativamente in un’arruffata Armata Brancaleone come ha affermato Manuela Menenti, capo dipartimento della Protezione civile).

I due Attila, i sigg. b&b, con un furore distruttivo senza precedenti, hanno devastato nel diametro di una quarantina di chilometri pianure, colline e montagne con la sciagurata cementificazione di ben 19 aree agricole produttivamente essiccate e paesaggisticamente stuprate.  

Un oceano di verde che aveva sostanzialmente resistito all’inesorabile ingiallire dei secoli, ingoiato in un battibaleno da voraci, più che redditizie muraglie grigiastre fintamente imbellettate con i più svariati colori presi in prestito dalle posticce quinte scenografiche delle fictions televisive.

Mentre le montagne e montagne di rovine sismiche implose nel centro storico (“L’Aquila 1”) e della periferia (“L’Aquila 2”) venivano deliberatamente fatte scomparire nel cilindro del grande imbroglione fino ai disperati sfondamenti da parte dei terremotati dello sbarramento militarizzato dei Quattro Cantoni – con le due eroiche giornate delle “Mille chiavi” e della “Rivolta delle carriole –, tutta l’attenzione mediatica dell’opinione pubblica era stata trionfalisticamente concentrata sulla “spezzettata” new town di “L’Aquila 3”, con le sue cimiteriali c.a.s.e.t.t.e – dormitorio fortemente volute ed esibite come  un nuovo miracolo italiano.

Dopo l’inchiesta penale di Firenze, anche noi aquilani siamo riusciti finalmente a  capire le ragioni di fondo che hanno determinato tale scempio. Da inquadrare, purtroppo, all’interno d’un unico pacchetto corruttivo e affaristico gravitante attorno ai familistici “appalti gonfiati” legati alle ordinanze della Presidenza del Consiglio-Protezione Civile, appalti spartiti e spartibili tra alcune cricche malavitose.

Non tanto sprovveduti, però, c’eravamo già chiesti – ed ora lo ribadiamo a viva voce – come mai le c.a.s.e.t.t.e antisismiche siano ipercostate a noi contribuenti circa 2.700 euro al mq., contro i 1000-1200 dei moduli abitativi provvisori rimovibili in legno, o i 550 delle meravigliose “piccole case” ecocompatibili in paglia costruite con il determinante apporto di lavoro volontario a Pescomaggiore in quel di Paganica? Un auspicabile intervento chiarificatore della magistratura aquilana, in proposito, ci tranquillizzerebbe.

Preoccupati come siamo per le futuri sorti d’una città storica urbanisticamente plasmata con pietre e mattoni, ora soffocata forse in modo irreversibile dalle colate di  cemento per una seconda volta, non potevamo non sobbalzare sulla sedia alla diversiva quanto grottesca proposta bertolasiana lanciata nell’intervista rilasciata al TG5: “Secondo me un’idea bellissima  sarebbe quella di candidare L’Aquila per le Olimpiadi invernali del 2018. In quel momento l’Aquila sarà stata ricostruita”. Ignorava, il nostro grande improvvisatore spendaccione che ha dilapidato milioni di euro durante le tre giornate del G8 a L’Aquila, euro sottratti alla popolazione terremotata, che le proposte di candidature sono già scadute il 31 ottobre scorso. Ma non è solo una questione burocratica. Ci vuole una vera e propria faccia tosta, dopo il totale fallimento d’una ricostruzione mai cominciata, nel prendere impunemente per i fondelli bucati i circa 30.000 aquilani desparecidos (sistemazioni autonome, alberghi e caserme).  

L’oggi e l’immediato domani per le tante migliaia e migliaia di concittadini, disoccupati, cassintegrati, artigiani, piccoli imprenditori, commercianti, liberi professionisti senza più arte né parte e studenti universitari fuori sede mandati allo sbaraglio, pensionati confinati nelle desertificate little towns, hanno una primaria necessità: ritornare il più presto possibile nelle loro abitazioni.

Ed il loro sogno, attualmente, è lo stesso di S. Giuseppe da Copertino, inopinatamente inserito qualche anno fa, in occasione delle celebrazioni per il quarto centenario, tra i Grandi Eventi  finanziati dalla Protezione Civile:  continuare a guadagnarsi il classico “tozzo di pane”.

Facciamo parlare il Santo protettore dei cafoni fontamaresi con alcune frasi siloniane: «Questo santo dunque era un cafone e si fece frate, ma non riuscì mai ad imparare il latino; quando gli altri frati recitavano i salmi, egli rendeva onore alla Vergine, dovunque si trovasse, anche in chiesa, facendo capriole. Maria Santissima per […] premiarlo gli diede il dono della levitazione. […] Si racconta che quando egli comparve di fronte al trono divino […] il Santo espose quel che desiderava: “Signore, un gran pezzo di pane bianco”. […] Iddio […] chiamò dodici angeli e ordinò loro che, ogni giorno, dalla mattina alla sera, per “omnia saecula saeculorum” , rifornissero San Giuseppe da Copertino del miglio pane bianco che si cocesse in paradiso”.

Affiatatissimi cantanti in falsetto b&b: avete inteso l’antifona?       

 

* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

26234_1292581287576_1621607329_693194_6573659_n.jpg26234_1292581287576_1621607329_693194_6573659_n.jpg26234_1292581287576_1621607329_693194_6573659_n.jpg26234_1292581287576_1621607329_693194_6573659_n.jpgconferenza .jpg

gard,de santi, seller, picariello, gasbarrini.

2623isifo.jpg

26234_1292581247575_1621607329_693193_7268451_n.jpg26234_1292581087571_1621607329_693192_5932374_n.jpgcarrn.jpg

 

 

___?Raff?
____?Raff?Raff
___?Raff?Raff?R
___?Raff?Raff?R
__?Raff?Raff?Ra
_?Raff?Raff?Ra
_??Raff?Raff?Ra?
_??Raff? Raff? Raff?
?Raff? Raff ?Raff ?Raff
?Raff ?Raff ?Raff ?Raff ?Ra
?Raff ?Raff ?Raff ? Raff ?Raf
_?Raff ?__ ?Raff ?Raff ?Raf
___?Raf ____?Raff ? Raff ?
___?Raf _____?Raff ? Raff
___?Raf_____?Raff ? Raff
____?Raf ____?Raff ?Raff
_____?Ra ____?Raff?Raf
______?Ra__?Raff ?Raff
_______?Raff ?Raff?Raf
________?Raff?Raff?Ra?
_______?Raff ?Raff?Raff ?Ra
_______?Raff ? Raff? Raff ? Raff
_______?Raff?Raff? Raff?Raff?Raff
_______?Raff? Raff? Raff? Raff?Raff?R
________?Raff? Raff____?Raff? Raff? Ra
_________?Raff? Ra_______?Raff? Raff?
_________?Raff? Ra_____?Raff? Raff?
_________?Raff?R____?Raff? Raff
_________?Raff?R_?Raff? Raff
________?Raff? Raff? Raff
________?Raff? Raff?R
________?Raff? Raff
_______?Raff ?Ra
_______? Raff?
______?Raff ?
______? Raff?
______?Raff?
______?Raff
______?Raff
_______?Raf
_______?Raf
_______?Raf
______?Raff?
______?Raffaella

franco sinisi

Inizio:

sabato 6 marzo 2010 alle ore 18.30

Fine:

martedì 30 marzo 2010 alle ore 20.00

Luogo:

Museo d’arte moderna e contemporanea Colonna – Pescara Italy

The exhibition of Contemporary Art “Pescarart 2010” is the first event that brings together in one event historic and contemporary masters around the figure of another great master of the thickness of Umberto Mastroianni who is paid tribute with a parallel exhibition. The exhibition was divided into 3 sections, therefore, takes a multifaceted character and polisemantico activating potential and the degree to arouse attention and participation of a large number of public art lover. Comparative phenomenology between “big” artists of the past and the contemporary is also supported by the professionalism and recognition of participants recognized that among the many factors contributing to the high value of the event in anticipation of an event defined in its original quality and uniqueness of history.

Exhibition: visual arts exhibition, III Edition “PESCARART 2010” sponsored by the Association. Cult. PAE (Pescara Art Evolution) divided into three sections.
The first with Homage to the Maestro Umberto Mastroianni (on the centenary of the birth)
edited by Floriano De Santi,
the second section with an exhibition of 30 historic Masters by Antonio PICARIELLO: MARCELLO Avenale – Joseph Beuys – Franz BORGHESE – ALDO Borgonzoni – Remo BRINDISI – ENZO BRUNORI – DOMENICO CANTA TORE – CARLO CARRA ‘- Antonio CORPORA – Elio DI BLASI — GIUSEPPE DI Prinz – PIERO DORAZIO – LUIGI FACCIOLI – Tano Festa – LUCIO SALVATORE FON-TANA RIVER – Beppe GUZZI – George Grosz – Umberto Mastroianni – MARIO MERTZ – JUN SEPPI Migneco – LUIGI MONTANARINI – JOHN PITTONI – CESARE Puccinelli – MAN RAY – BROWN SAETTI – Mario Schifano – Mario Sironi – JOHN STRADONE ANDY WARHOL.
The third with the participation of 40 Contemporary Artists by Gasbarrini diAntonio: VITTORIO AMADI0-DARIO Ballantine – LUCA BELLANDI – TONI Bellucci – Mirella Bentivoglio – Tomas BINGO – SILVANO Braida – LILIAN CALLEGARI – GAETANO COAL – Mandra Cerrone – ISABELLA Ciaffi – STEFANO CIAPONI — Mario Costantini – GIANCARLO COSTANZO – Lorenzo D’ANGELO – Isabelle de HAIS – NICOLAS DINGS – DUCCIO Gammell – Ferruccio Gard – France GIULIA – Cesare Giuliani – STEFANO IANNI – PAUL MARAZZI – ERIK MATTIJSSEN – MANUELA Mazzini – GABY MINED – FAUSTO Minestrini – CARLO OBERTI – Ciro PALLADINO – Massimino FISH – MASSINO POMPEO – MAURO REA – ROB REGEER – Zuzana RUDAVSKA – MARCELLO SCOPELLITI – ANNA DRY-MARIO SERRA – FRANCO SINISI – ANNA hook-and-SIMONE ZACCAGNINI
At the conference and presentation of the exhibition, the artist will speak Bing Thomas will present his book “Value vagina” with a preface by Gillo Dörfles – Ed Traces.
Creator of the show Giancarlo COSTANZO
Editors: Floriano De Santi – Antonio Picariello – Antonio Gasbarrini
Patronage: Department of Culture City of Pescara
Department of Culture Province of Pescara
Presidency of the Council Abruzzo Region
Superintendency of Artistic and Ethno-anthropological for Abruzzo AQ
University of Abruzzo
Participation: NPO = “Let’s help them to live”
Opening Saturday 06 Marzo 2010 hours 18.00. Greetings from the civil authorities and the press conference of the exhibition curators and artists.
Locations: Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Vittoria Colonna”
http://muvi.org/museovittoriacolonna
Time & Period: Until March 30, 2010 —
16-20 hours Sunday and Monday afternoon
Tuesday to Saturday 09-13 and 16-20
From 01 to April 30, 2010 the exhibition will continue in the premises of
Fiat dealers Danell, (house D rings) in Via Raffaello, 30 Pescara
– From 01 hours of 30 April 2010 business.
(Catalog in place)

http://www.sinisi.it

pagina-pubblicitaria.jpgpagina-pubblicitaria.jpgpagina-pubblicitaria.jpgpagina-pubblicitaria.jpgpagina-pubblicitaria.jpgpagina-pubblicitaria.jpgpagina-pubblicitaria.jpgpescasrart12.jpg

Una piratesca incursione (critica)

 

di Antonio Gasbarrini *

 

La overdose di flussi e riflussi delle immagini più disparate ingoiate quotidianamente nella dominante, imperialistica società spettacolare preconizzata con oltre mezzo secolo d’anticipo da Guy Debord, impone, se non si vuole crepare di bulimia, una disintossicazione.

Frequentando, magari, con più assiduità i musei d’arte (antica, moderna e contemporanea) dove la benefica, auratica tirannia del reperto e dell’opera, riesce ad accorciare le inevitabili distanze separanti il transeunte dall’eterno, o meglio, la “verità relativa” dalla “menzogna assoluta” (mediatica, in particolare).

Già. L’opera d’arte “autentica” – e ben lo si percepisce in questa densa rassegna pescarese – porta e tra/sporta, ontologicamente, frammenti profumati d’una indomabile creatività prometeica ch’è all’un tempo sfida alla violenza perpetrata dagli dèi, e, rivolta verso ogni tipo di prevaricazione umanoide.

Di fronte (guardando) e non di scorcio (vedendo), si riconquisti, allora, lo scorrere lento di un proustiano tempo ritrovato. Indugiando (Gadamer) più del dovuto nei pressi ravvicinati di ogni opera. Guardandola fissa per sfidarla vis-a-vis. Svelandone così gli ambigui enigmi cifrati del suo ostinato silenzio, dei suoi cenni ed accenni, delle sue continue trasmutazioni ermeneutiche.

Le tele, le grafiche, le sculture qui copiosamente esposte attraversano, poeticamente e linguisticamente, i sussulti modernisti e avanguardisti di un fantasmagorico Novecento prolungato fino ai nostri giorni con la folta presenza di artisti contemporanei.

S’inventino, perciò, percorsi visivi personali empaticamente compatibili con la propria sensibilità. Andando avanti e indietro; scompaginando virtualmente l’ordinato, razionale allestimento espositivo; mischiando a piacimento le carte cronologiche, stilistiche e “movimentiste” rigidamente canonizzate da una storia dell’arte non sempre all’altezza d’una montante complessità scientifica e socio-culturale.

Si ritorni più di una volta su questo rinfrescante prato, complice testimone d’un amplesso fruitivo esponenzialmente moltiplicato: anche i vizi, talvolta, possono essere taumaturgici.    

 

* Alias “Il Naufrago”  (critico d’arte aquilano terremotato in esilio sulla costa teramana)

Pescart III. Il  linguaggio ritrovato

Antonio PICARIELLO

 

“Mi interessano le zone d’ombra. Quando mi convinco di aver capito qualcosa a grandi linee, il che è il massimo che si possa fare, allora mi piace spostarmi verso altre aree d’oscurità.” Gerald Edelman

Esistono ancora artisti che a sentirli nella visione mettono in allarme il sistema nervoso e quella magnifica fibrillazione che ci portiamo dentro dalle più belle esperienze dell’infanzia; artisti capaci di scatenare  il fremito. Certo il sistema delle arti, il modello mercantile, la morte totale e tormentata della critica, la superbia di alcuni artisti che poco conoscono la forza dell’arte e non sapendola sedurre lamentano colpe accusando il pensiero critico che non gli porta merito. Certo non è facile mancare della protezione degli angeli, non è conveniente restare in silenzio in un contesto sociale dove l’arte ripara nelle maglie inconsistenti di un post-modernismo vacuo addetto più  alla dirompenza pubblicitaria che allo scuotimento della scienza e dell’estetica. Artisti che hanno formulato poco per il funzionalismo degli ingranaggi  che muovono le idee e le condivisioni  collettive restando comunque  protetti dalla convenienza del mercato. Certo non è facile per gli artisti mancanti di spiritualità e di passione, incapaci di far risuonare fremiti e pulsazioni emotive, consolidarsi nel convincimento della propria ricerca. Ma anche il senso perduto dell’estetica e dell’epistemologia richiede un minimo, da parte di tutti, di amorevole attenzione. Morte della critica? Ma come potrebbe morire la parola che mette in vita la morte. Semplice mancanza di forza invece da parte di chi dovrebbe essere addetto alla costruzione di mondi inesistenti da rimettere alla realtà. D’altra parte solo se si ha coraggio navigato nella ricerca si può  superare l’apparenza  convenevole di ogni memoria storica per  investigare con sincera verità impegnata l’ombra dell’armonia contestuale  sottesa  alle  idee che hanno strutturato la significazione dei movimenti e delle avanguardie canonizzate alla consegna sociale delle convenzioni e dei  codici conquistati con destinale audacia fino a farne un linguaggio distribuibile al succedersi generazionale. Questo processo  raggiunge la contemporaneità con l’autocelebrazione che ripete se stessa fino allo sfinimento, ritrovandosi nel privilegio di luoghi del mercato e delle fiere d’arte che ormai assolvono funzioni episcopali  a riferimento del vuoto e della mancanza estetico/teologica in cui l’arte contemporanea trova l’illusione della dote secca del “materialismo rituale”.  Ripetizioni delle  funzioni distinte  della creatività artistica  nella progressione delle forme espandibili  oltre ogni misura referendaria fino a creare una  “semiosi illimitata” che trova la sua proiezione  finale  nella paura di essere abbandonata dalle attenzioni del mercato globale divenuto una sorta di teatro del Nō (能) giapponese. La maschera  interpreta la voce sacra dell’imperatore inesistente  che  presume una cultura alta per essere compreso visto che i testi hanno proprietà labirintiche della significazione  da poter essere interpretati liberamente dallo spettatore.  A guisa di questa sceneggiata illusione l’arte mercantile contemporanea si presenta sotto la voce postmodernista con capacità raffinate di illudere l’ interpretazione collettiva inventata per rianimare, negli anni ottanta, un mecenatismo mercantile che stava  affogando nelle correnti sociali votato al funzionalismo pratico. Certo non è facile per gli artisti privarsi  di quella funzione spirituale e poetica, quei tracciati  onorevoli  delle scienze che definiamo “poietica” capace di sapere rimettere in vita l’irreversibile e che si contrappone alla vaghezza ingannevole del postmodernismo. Non è facile per l’inconscio artistico patteggiare con il sociale rinunciando alle vigorose potenze primitive  dell’ “ES” freudiano o alle profondità universali degli archetipi junghiani abitate dal “fuoco centrale”.  Sono i luoghi degli elementi primari  che ogni atto artistico avrebbe  comunque l’obbligo di rispettare per farsi riconoscere nella verità della ricerca e nella forza emanata dalla “costruzione” delle opere.  È il coraggio e la forza cromatica e abbagliante di Umberto MASTROIANNI capace di investigare ogni stimolo linguistico, di attraversare fenomenologie pericolose fino a dare corpo ad una visione che rimette nell’iride dell’umanità il senso atavico del ventre e la dirompenza infuocata del mondo mantenendo leggerezza e galleggiamento oltre le paure della morte  e il magnetismo dell’amore.  Ecco un  senso messo in campo da questa manifestazione che unisce coraggio storico dell’arte e successione contemporanea addetta al rilancio della ricerca artistica nella fermentazione di  potenziali linguaggi di cui possiamo nutrirci. E’ il significante, latore di un significato nascosto che attraverso l’organizzazione di Giancarlo Costanzo   riemerge sotto forma di stimolo comparativo con l’intento progettuale di poter mutare qualche aspetto della realtà che il terzo millennio sembra aver assunto nel presenzialismo generativo della staticità perenne.  La critica, nella sua funzione di giudizio di valore, per quanto possa sembrare dormiente,  è potente adesso come non mai. Sono i critici e gli artisti, quelli  seri,  quelli che hanno incamerato dai buoni maestri il senso concreto della verità del mondo che si danno la voce nel ricontrarsi  prima della battaglia a favore di una rimessa in gioco della qualità che l’arte e la poetica devono necessariamente contenere nella corposità naturale dell’espressione e del linguaggio per poter adire alla qualifica di identità generativa di nuovi mondi possibili. E non a caso il giovane allievo di dio dal nome simpatico e dall’età rigogliosa di oltre confino biologico, Gillo Dorfles, la dice ancora giusta con “Fatti e Fattoidi, gli pseudo eventi nell’arte e nella società” riguardo al senso veritiero nella proliferazione esplosiva  degli eventi: “[…]Bisogna inoltre aggiungere che oggigiorno l’opera d’arte spesso include e fa proprio quello che arte non è”. Ed ecco ancora il senso magico di questa presentazione che vuole Dorfles presente nella testimonianza attiva di un George Grosz, artista storico di questa manifestazione (di cui mi piacerebbe parlare con impegno e tempo) nel catalogo di -rosa e ballo editori – del 1946 e  della presentazione dell’artista emblematico Tomaso BINGA in “Valore vaginale” (Ed. Tracce) compagna di uno dei fondatori sostanziali del senso esistenziale delle arti e dell’arte contemporanea, riprendendo un po’ quell’atmosfera inquieta del maschile femminile espresso dal cuore palpitante del già citato teatro del Nō orientale riunendo così la significazione delle diversità in un unico motivo narrativo che rianima la vigoria stanca del nostro Occidente disperso nella storia. D’altra parte  Tomàs Maldonado, mio amato professore che finalmente la dice tutta con “Arte e artefatti ( da quanto tempo l’aspettavo, oltre trent’anni) nell’intervista documento di Hans Ulrich Obrist aggiusta e giustifica  la definizione di Lea Vergine che ha coraggio di  dire “l’artista è un errore sociale”. È chiaro non sono d’accordo con Lea Vergine, se non in parte, intendendo la sintesi dell’enunciato come una volontaria sfida ad un contesto storico del post modernismo che ha inventato il valore del nulla e dato grazia ad alcuni malinconici saturnali di poter sostenere  senza preoccupazione i circuiti dell’arte imposti dal mercato.  D’altra parte la scienza, e la scienza estetica sortita dalla Gestald, passata tra il Bauhaus e ULM, lavorata poeticamente dal grande Rudolf Arnheim ( guarda caso nel suo testo riedito dalla Feltrinelli governa la presentazione di Gillo Dorfles) per comodità espressiva distingue i tre livelli di realtà consentiti dal Macrocosmo, il Mesocosmo e il Microcosmo. “Il mesocosmo costituisce quel livello di realtà in cui si svolge la nostra vita quotidiana e con cui noi stabiliamo un rapporto percettivo immediato”. Con gli altri stadi,  invece, il nostro rapporto si esperisce tramite strumenti e tecnica, telescopi e microscopi che allargano il nostro universo percettivo e cognitivo per permetterci l’esplorazione fantastica e funzionale di “nuovi paesaggi”; nuove immagini inaccessibili ad occhio nudo. Credo qualunque luogo mentale e percettivo che attraversa la coscienza e il mito dell’inconscio,  sia per obbligo universale  portatore di nuove spiritualità che di solito nella padronanza sensibile e prodromica dell’artista viene preannunciata attraverso il linguaggio sentito dell’opera. E se come dice Galimberti “che nelle condizioni attuali l’uomo non è più al centro dell’universo come intendeva l’età umanistica: tutti i concetti chiave della filosofia (individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, natura, etica, politica, religione, storia) dovranno essere riconsiderati in funzione della società tecnologica attuale”, allora si comprende immediatamente il mutuo soccorso che i fantasmi storici costituenti il nostro attuale mondo visivo e cognitivo, ci offrono per dare corpo e continuità all’arte del Novecento cui apparteniamo per anagrafico dovere esistenziale. Sono per noi, questi storici fantasmi dell’arte,  elementi angelici che ci danno consistenza e forza nel riordinare il nostro stesso senso esistenziale, continuità di senso, e considerarci tanto vicino agli dei quanto alla condizione atavica  del mondo magico animale cui apparteniamo per biologica catalogazione di genere e per volontà della natura.  Ecco allora che il pronunciamento del nome di ogni fantasma qui presente è capace ad allenarci a capire mondi paralleli lavorati e intuiti nelle loro opere di viventi. Il solo pronunciamento del nome  scatena intere conclusioni ideali che ognuno di questi esseri, per dote acquisita e innata, ha saputo potentemente strutturare per noi. Non credo sia necessario parlarne per soggettività visto i loro nomi sono la storia dell’arte  del Novecento mondiale; basta il pensiero evocato dal nome per innescare  la ramificazione delle sinapsi e  trovare il codice preciso adatto ad aprire altri spazi mentali che oltrepassano il mesocosmo e il microcosmo bisognosi per esistere delle protesi della tecnologia e riunire l’intero universo nello sguardo e nell’incanto dello spettatore. Basta il nome per rimette in vigore il desiderio del fremito e rilanciarci verso i contemporanei che di questa filiera fantasmagorica dell’arte vera ereditano tutta la potenza e il tracciato da sviluppare nel divenire delle idee che  costituiscono la struttura energetica e vitale del pianeta. MARCELLO AVENALI,  JOSEPH BEUYS, FRANZ BORGHESE, ALDO BORGONZONI, REMO BRINDISI, ENZO BRUNORI, DOMENICO CANTATORE, CARLO  CARRA’,  ANTONIO CORPORA,  ELIO DI BLASIO,  GIUSEPPE DI PRINZIO, PIERO DORAZIO, LUIGI FACCIOLI, TANO FESTA, SALVATORE FIUME, LUCIO FONTANA, BEPPE  GUZZI, GEORGE GROSZ ,UMBERTO MASTROIANNI, MARIO MERTZ, GIUSEPPE MIGNECO, LUIGI MONTANARINI, GIOVANNI PITTONI, CESARE PUCCINELLI, MAN RAY, BRUNO SAETTI, MARIO  SCHIFANO, MARIO SIRONI, GIOVANNI STRADONE, ANDY  WARHOL.  Da qui la linea sicura che conduce al senso compiuto degli eventi messi in atto a favore della ricerca imperativa dei  nuovi linguaggi da maneggiare con cura e assorbire con fede presa attraverso l’intinto percettivo della forza dell’artista emanata dall’opera. -Il punto cruciale sta nel fatto che tutto ciò che finora ci ha guidato nella storia (sensazioni, percezioni, sentimenti) risulta inadeguato nel nuovo scenario contemporaneo che si avvale di vicinanze virtuali e tempistiche immediate fulminanti l’antica dimensione percettiva in dote alle società industriali europee del primo Novecento. Società strutturate nella riflessione delle “promenade” contrapposte alle comunicazioni di adesso di cui le nuove e nuovissime generazioni danno pregnanza con la consistenza naturale dello scambio virtuale e immaginativo privo di percezioni tattili e olfattive. “ Come -analfabeti emotivi- assistiamo all’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità dell’organizzazione tecnica, priva ormai di qualunque senso riconoscibile. Non abbiamo i mezzi intellettuali per comprendere la nostra posizione nel cosmo, per questo motivo ci adattiamo sempre di più all’apparato e ci adagiamo sulle comodità che la tecnica ci offre. Ciò di cui necessitiamo è un ampliamento psichico capace di compensare la nostra attuale inadeguatezza
riferita non  solo al nostro modo di pensare. Ed è questa maniera confermata e riconosciuta dell’arte messa in campo e storicizzata dalla ricerca cromatica di VITTORIO AMADIO e sintetizzata dal segno scultoreo e spaziale  di MARIO COSTANTINI, nel neoplastico spettacolare trasportato dalle tessiture materiche della tela ai pixel virtuali e caricaturali televisivi  di DARIO BALLANTINI,  per aprire il varco verso il segno figurativo baconiano riversato agli oggetti quotidiani di LUCA BELLANDI. Il  verso dell’alchimia primitiva e sperimentale impregnata di semantiche nelle antiche scritture visionata da  TONI BELLUCCI richiama  le armonie fantastiche neoboschiane di SILVANO BRAIDO contrapposte all’equilibrio sintattico di un concettualismo fluido e discorsivo  ricercato da GIANCARLO COSTANZO, cui il 
puntinismo narrativo ed  etereo di  GAETANO CARBONI compensa la percezione globale del racconto nei visitatori/lettori della mostra. Accora più accentuata la narrativa simbolica e orientaleggiante espressa dalla spiritualistica poetica di MARIO SERRA  e la risonanza visiva tratteggiata da un segno liberato e liberatorio dato dalla ricerca spaziale di un mondo dell’infanzia propulsore di formule scientifiche messo a disposizione da STEFANO CIAPONI lancia il sottile captare  di LORENZO D’ANGIOLO lievito di particolari folgorati dalla luce della lontananza, ma sentiti come microcosmo da visitare con il respiro della calma e della quiete. Da qui alla saggezza scultorea resa pura spiritualità della visione nella ricerca del comportamento materico concentrata e decisa di  DUCCIO GAMMELLI alla comunicazione opticale  richiamata dal nuovo astrattismo nella voce pittorica di FERRUCCIO GARD che ritrova il dinamismo interiore nella momentanea fermezza del segno cromatico e percettivo quasi a rinvigorire nello spazio del Museo Colonna  la ricerca  vicino al mondo del MADI’ nel costruttivismo stimolante tra spazio e luce dato da FRANCO GIULI  provocatore di dimensioni spaziali per estrarre dall’ istinto geometrico la visione globale della tetricità spaziale. Da qui alla comunicazione ambientale di  STEFANO IANNI, che sprigiona nel timbro la ripetizione visiva immortalata nel simbolo del tatuaggio per imprimere alla pelle urbana la memoria offerta alla distrazione della comunità urbana. Diverso invece l’attraversamento delle varie espressioni scultore di  PAOLO MARAZZI che dall’arte  sacra ai  bronzi ai cartoni colorati  alle ceramiche ai  cristalli divenuti gioielli, marmi,  monumenti e  tarsie nobilita la ricerca del fare con il movimento certosino delle forme. Da qui ai “sogni materici” approfonditi nella visone delicata genuina quasi a riconfermare la leggerezza delle avanguardie nel segno cromatico di GABY MINEDI  ad arrivare alle immagini evocatrici di una funzione della città nascosta che si rileva nello scatto sentito di MARCELLO SCOPELLITI per arrivare alla ricerca informale di FAUSTO MINESTRINI dirompente nell’ esaltazione degli oggetti sfuggenti la definizione percettiva,  ma precisi nell’affermazione di una presenza che si avverte nella staticità degli elementi. SIMONE ZACCAGNINI lavora con l’ironia, smuove il segno come segnaletica di percorsi progettati da non distrarre dalla programmazione come la quotidianità urbana impone nelle misure comportamentali dei doveri e delle scadenze. MAURO  REA rivendica l’attimo dinamico in ogni posizione dello sguardo, le stratificazioni materiche equivalgono alle sovrapposizioni dello sguardo per impedire alle percezioni di stanziare nella riflessione accomodante priva dell’azione con cui il pensiero ha obbligo di patteggiare. CIRO PALLADINO assume il senso dell’alternanza tra spazio e tempo a modello di un percorso visivo impregnato di osservazione sintetica quasi a voler calibrare percorsi urbani e segni lasciati dalla comunicazione pubblica per una letteratura incorporata nel passaggio di un attimo. Da qui ai  monolitici inseriti nelle cellule dello spazio non geometrico se non di una geografia riorganizzata dal viaggio fantastico di  MASSIMO POMPEO  che assume il racconto trasformandolo da scrittura in visione narrativa come a far meglio comprendere la forza dello spirito che alberga nelle zone dell’universo rimette alle opere cattura memoria  di  FRANCO SINISI che modula il piano con sfumature cromatiche a contrastare la dirompenza spaziale dell’agorà attraversata dal pensiero tenue della riflessione invita all’arte ambientale di ROB REGEER,ai plastici  scenografici di labirinti composti dalla microarchitettura di NICOLAS DINGS che apre la comparazione sentita con l’emanazione dell’oggetto pensato con propria vita e natura da CARLO OBERTI  a rivendicare la proprietà scontata   di un ready-made duchampiano con l’aggiunta spirituale  emessa dalle opere silenziose di Giorgio Morandi  per poter  sentire la materia organizzata nello spazio.  Da qui al ritorno rinascimentale respirato dalla “Maddalena” di CESARE GIULIANI in cui la semantica racconta lo sguardo della femminilità graziata, la gestualità del corpo e la comunicazione delle mani come ad oltrepassare il classicismo attraverso i suoi stessi codici per approdare ad un contemporaneo che comunque ha rispettosa considerazione del pensiero che gli dona entità e consistenza, e da qui alla  visione spaziale, teatrale e coinvolgente delle opere ritualistiche di ERIK MATTIJSSEN.  Qui si conclude il percosso narrativo dell’arte vista al maschile per aprirsi nella comparazione di genere dato dalla profondità extrasensoriale evocata dalle opere al femminile. Sarebbe opportuno traslare attraverso la duplice funzione  simbolica mediata dalla citata TOMASO BINGA, ma per intenzione voluta lascio aperta ogni interpretazione per  dare senso spirituale e profondo e, soprattutto  di rispetto, a quanto le artiste, da me in parte già presentate in altre occasioni,  hanno coraggio di ritrovare oltre la “sensorialità” umana e rimetterci  elegantemente nelle iridi oltre il sangue e l’anima. Sono convinto che di fronte alla potenza di genere qualunque tracciato interpretativo della parola mancherebbe di forza dovuta. Con affetto dichiarato dunque a  MANDRA CERRONE,  ISABELLA CIAFFI, MIRELLA BENTIVOGLIO, LILIAN RITA CALLEGARI, ALBA GONZALES,  MANUELA MAZZINI,  ANNA SECCIA,  ANNA UNCINI, ISABELLE DEHAIS, MASSIMINA PESCE e  ZUZANA RUDAVSKA  affinché  il fremito ricevuto  senza illusione passeggi nella continuità della performance ad attivare la vita palpitante nel linguaggio magico ritrovato.

 

Umberto Mastroianni: la dialettica dell’avanguardia

 

 

 

Nella produzione di Umberto Mastroianni possono essere distinti parecchi percorsi secondo il giro dei raccordi linguistici: il lavoro plastico e monumentale, non irreggimentati in linee predisposte, confinano così con la grafica e la pittura, con la scenografia e l’oreficeria. Si ha innegabilmente un diramatissimo reticolo di esperienze e di acquisizioni. Ma tra una sponda e l’altra l’interscambio è costante, tanto che si deve supporre sia unico l’organizzatore forte del quadro espressivo: identico lo stile costitutivo; in sostanza coerenti le nozioni base del discorso, che in qualche modo fanno blocco. Il moto perpetuo testuale non è insomma scorciato da una mano opposta. È un fatto straordinario, se solo si considera l’enorme riserva di passione e creatività messe in atto dallo scultore di Fontana Liri, con la mole conseguente di materiali prodotti. Molto più, tuttavia, quando si giunge a verificare un piano semantico sempre tracciato con una dovizia di diversioni e, soprattutto, sempre avvicinato al gancio del confronto con l’avanguardia.

Mastroianni ha avvertito intensamente il ritmo del proprio tempo; e con pari intensità l’ha sentito cadere. La sua fantasia ha dilagato nella dimensione verticale del profondo, immettendosi nelle cose. L’intensità è stata ricercata nella coltre di buio della materia, voltata al confronto con lo spazio e la storia. La caratterizzazione linguistica dei suoi testi ha espresso sin dall’inizio un preciso modo di definire la forma. Da cui un lessico tuttavia proporzionato a un continuo arricchimento delle relazioni sintattiche dell’espressione. Sopra il limitare della soglia di conoscenza, natura e cultura sono presto entrate in confronto. La levigata tenuità ornamentale delle prime opere ha incontrato la storia, in primo luogo quella dell’arte. È stato un universo rivelato a se stesso e poi verificato attraverso il lavoro degli altri.

In tempi di irrelatività o di riporto tangenziale di comodo, Mastroianni è stato un raro esempio di artista sempre disposto a riporre in discussione il proprio sistema linguistico. Questo legame, questa congiunzione vengono fatti essenzialmente con le avanguardie storiche. Ad esse Mastroianni si è rapportato sempre in forma di specchiata dialetticità. Non s’è spogliato dei suoi dati essenziali (quello di natura) e neppure ha introdotto, nel colare della sua «durata», materiali di contrabbando, cosi, tanto per corroborarsi e fingere. Ma non s’è neppure tenuto a freno subendo le espansioni sovversive e demolitrici, finanche nichilistiche, delle avanguardie stesse. L’unità che l’ha stretto volta a volta con le diverse esperienze s’è saldata in un potenziamento reciproco. La confidenza con nuove forme ha provocato nella sua opera insperate fusioni di intelligenza creativa. Ma gli esiti diversi ai quali è approdato hanno mostrato una diversa e non meccanizzata démarche di stilemi, con tanto di incrementi poetici.

Certo, non è revocabile in dubbio che in Mastroianni agisca una forte tendenza anticonservatrice. Quel tanto che in lui è venuto riaffiorando attraverso i depositi di memorie avvicinatigli dal passato, ciò che ha accumulato nel raffronto coi maestri, quel tanto finalmente che è rimasto in lui di ancestrale, profondo o archetipico, sono stati il reciproco di una eccezionale unificazione linguistica dovuta alla storia e all’arte contemporanea. Nell’ordine nuovo della cultura figurativa europea del secondo dopoguerra, Mastroianni è però un irregolare. Può concomitare alle innovazioni e concorrere con esse, ma al medesimo tempo salvaguarda i diritti della tradizione. In lui il veemente incalzare delle mere unità ritmiche e stilistiche si articola nella classica misura di un respiro che non s’accontenta del contingente; e che tenta, con il nuovo, ogni volta la scalata al cielo. Per ciò stesso, in lui l’ispirazione si alimenta alla fiamma dell’esistenza concreta, ma al contempo supera il dettaglio minuto e ogni ordine accessorio, per alto che sia, alla ricerca dell’intonazione più avanzata. Allo stesso modo, tutte le volte i risultati raggiunti sono messi in discussione e trascesi. Detto pulitamente, è ciò che in Mastroianni potremo definire dialettica dell’avanguardia: destino intessuto di tempo che sa inseguire la totalità trascrivendo all’interno del proprio spazio vitale l’universo di discorso della propria epoca.

 

Floriano De Santi

L’arte contemporanea è la cartina di tornasole della nostra società. Ne misura gli umori e contiene in sé molti possibili sviluppi futuri. Ecco perché un evento come Pescarart 2010 riveste un’importanza di primo piano per la nostra città. Una città moderna che disegna la sua identità anche attraverso le sue espressioni artistiche.

 

L’Omaggio a un Maestro come Umberto Mastroianni, continuamente proteso nello sforzo di superare il classicismo e rinnovarlo attraverso la sperimentazione, esprime la cifra esatta dello spirito con cui la mostra è stata ideata. Ripercorrere la produzione storica di artisti come Marcello Avenali, Lucio Fontana, Man Ray, Mario Schifano e Andy Warhol, è il modo più corretto per introdurre tematiche relative all’arte più strettamente contemporanea, quella cioè dei quaranta artisti che sono protagonisti della terza sezione della mostra.

 

Pescarart 2010 propone un confronto costruttivo fra i linguaggi che hanno rivoluzionato e continuano a rivoluzionare il mondo dell’arte. Il raggruppamento in un unico evento di Maestri storici e contemporanei, unitamente all’iniziativa di solidarietà “Aiutiamoli a vivere” che accompagna la mostra, fa di Pescarart 2010 un momento simbolo per la città di Pescara, in cui si coniugano fermenti sociali e culturali di altissimo profilo. Attraverso iniziative di questo genere si attivano dinamiche di confronto, dibattito e partecipazione, indispensabili in un contesto di crescita civile e di maturità culturale. Nello stesso tempo, Pescarart può candidarsi a buon diritto a diventare un punto di riferimento per l’arte contemporanea non solo abruzzese, segnando un passaggio di portata storica nel settore della ricerca artistica contemporanea.

 

Nazario Pagano

 

MANIFESTO PESCARART.jpg

ARTISTI OK.jpgART ART.jpgARTISTI OK.jpgART ART.jpgARTISTI OK.jpgART ART.jpgARTISTI OK.jpg

COMUNICATO STAMPA – INVITO

Manifestazione: Mostra arti visive, III Edizione “PESCARART 2010” promossa dall’Ass. Cult. PAE ( Pescara Art Evolution ) articolata in tre sezioni. La prima con Omaggio al Maestro Umberto MASTROIANNI (in occasione del centenario della nascita ), la seconda sezione con l’esposizione di 30 Maestri storici da Marcello AVENALI ad Andy WARHOL, la terza con la partecipazione di 40 Artisti Contemporanei. Testo in catalogo  di Antonio GASBARRINI.

In occasione della conferenza e presentazione della mostra interverrà l’artista Tomaso BINGA che presenterà il proprio libro “Valore vaginale” con prefazione di Gillo DORFLES – Ed. Tracce.

Curatori: Floriano DE SANTI – Antonio PICARIELLO

Patrocinio: Assessorato alla Cultura Comune di Pescara

Assessorato alla Cultura Provincia di Pescara

Presidenza del Consiglio Regione Abruzzo

Soprintendenza Beni Artistici ed Etnoantropologici per l’Abruzzo AQ

Università d’Abruzzo

Partecipazione: ONLUS = “Aiutiamoli a vivere”

Inaugurazione Sabato 06 Marzo 2010 ore 18.00. Saluto delle Autorità civili e conferenza stampa dei curatori della mostra e degli artisti.

Sedi: Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “ VITTORIA COLONNA”

 http://muvi.org/museovittoriacolonna

Orario e Periodo: Fino al 30 Marzo 2010 – Domenica e Lunedì pomeriggio ore 16-20

dal Martedì al Sabato ore 09-13 e 16-20

Dal 01 al 30 Aprile 2010 la mostra continuerà nei locali della

Concessionaria FIAT DANELLI, ( Palazzina D a n e l l i) di via Raffaello, 30 Pescara

– dal 01 al 30 Aprile 2010 orario di attività commerciale -.

(Catalogo in sede)

Artisti Contemporanei:

Amadio-Ballantini-Berti-Binga-Bellandi-Braido-Callegari-Carbone-Carmassi-Ceroli-Cerrone-Ciaffi-Ciaponi-Costantini-Costanzo-D’Angiolo-DeHais-DeLiberato-Dings-Gammelli-Gard-Giuli-Gonzales-Ianni-Marazzi-Mattijssen-Mazzini-Minedi-Minestrini-Palladino-Pericoli-Pompeo-A.Pomdoro-Rea-Rudavska-Seccia-Serra-Sinisi-Uncini-Zaccagnini.

 29 colore- dittici.jpg

La mostra di Arte Contemporanea Pescarart 2010 è la prima manifestazione che raggruppa in un solo evento Maestri Storici e Contemporanei attorno alla figura di un altro grande Maestro dello spessore di Umberto MASTROIANNI a cui viene reso Omaggio con una mostra parallela.28 colore- dittici.jpg

La mostra, articolata in 3 sezioni assume quindi un carattere poliedrico e polisemantico attivando  la potenzialità e il grado di destare attenzione e partecipazione di un vasto numero di pubblico amante dell’Arte.27 colore- dittici finestra.jpg

La fenomenologia comparativa tra “ i grandi” artisti  del passato e i contemporanei viene sostenuta anche  dalla professionalità riconosciuta e riconoscibile dei partecipanti che tra i tanti  elementi contribuisce   all’elevato  valore della manifestazione in previsione di un evento definibile nella sua originale qualità e unicità storica.

26 colore- dittici albero.JPG

Tomaso BINGA nata a Salerno vive e lavora a Roma.

In arte ha assunto un nome maschile per contestare con ironia e spiazzamento i privilegi del mondo degli uomini. Si occupa dal ’70 di “Scrittura Verbo-Visiva” ed è tra le figure di punta della Poesia Fonetico-Sonora-Performativa.

 E’ stata docente presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone.

Tra i suoi progetti: Scrittura asemantica (1972), Scrittura Vivente (1975), Dattilocodice (1978), Biographic (1985), Picta/Scripta (1995), Ideazione/Esecuzione, progetto multimediale (1997).

Tra le innumerevoli partecipazione a mostre, rassegne e festival in Italia e all’estero sono da ricordare:1978 e 2001, Biennale di Venezia; 1981, Biennale di S. Paolo do Brazil; 1986, Quadriennale di Roma; 1995, III Festival di Polipoesia di Barcellona; 1998, “Poesia Totale”, Mantova; 1999, Festival Internazionale d’Art Vivant “Polisonnerys” di Lione e VII Convegno Internazionale Art Media dell’Università di Salerno; 2005, personale antologica Autoritratto di un matrimonio, MLAC dell’Università “La Sapienza” di Roma; nel 2008 al VI Festival Internazionale “Art Action”, Monza, a cura di Nicola Frangione.

Attiva organizzatrice dirige dal ’74 il centro culturale “Lavatoio Contumaciale”, Roma, e dal ’92 partecipa, in qualità di Vice Presidente, alla gestione della “Fondazione Filiberto Menna”, Salerno.

atti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpgatti convegno tracker.jpg

Indice Tracker Art 2008
Maria Vittoria Berti, Il fascino dell’inganno: arte digitale,         pp. 12-13
Boris Brollo, Stupido come un Pittore,                                 p.   13
Lorenza Cariello, L’estetica del Brutto,                                 pp. 13-15
Vitaldo Conte, Vita e storie di Danger Art,                           pp. 15-18
Lucresia Dono, Eros Arte (come ‘sguardo multiplo’),            pp. 18-20
Paola Ferraris, Il secolo lungo: l’arte tra ricerca e propaganda,    pp. 20-23
Antonio Gasbarrini, La nemesi delle avanguardie: dai futuristi ai
situazionisti,                                                                     pp. 23-26
Luigi Fabio Mastropietro, La scena del corpo dissolto,             pp. 26-30
Mirko Nottoli, Ad ogni arte la sua critica,                              pp. 30-31
Antonio Picariello, Critica contemporanea, metalinguaggio del
“termine…”,                                                                     pp. 31-32
Vittorio Riguzzi, La promessa tradita,                                  pp. 33-34
Giuseppe Siano, Dall’“Arte di massa” al “Bene Culturale”,         pp. 34-47
Roberto Terrosi, Oltre l’arte,                                             pp. 47-50
Roberto Vidali, Sulla Pittura,                                                pp. 50-51

Indice Tracker Art 2007
Paola Ballesi, La nascita del linguaggio visivo,                     pp. 54-57
Elena Carlini, Condivisioni,                                                pp. 57-58
Vitaldo Conte, SottoMissione d’amore (la rosa rossa come arte),        pp. 58-59
Francis Desiderio, Che cos’è l’AIAP,                                           pp. 59-60
Brigida Di Leo, Il video e l’arte contemporanea,                          pp. 60-64
Antonio Gasbarrini, Dal bivio analogico all’incrocio digitale,        pp. 64-66
Sergio Lombardo, Eventualismo,                                         pp. 66-69
Patrizia Mania, Arte imperfetta,                                            pp. 69-70
Luigi Fabio Mastropietro, Eidestetica dell’oltreuomo,            pp. 70-73
Antonio Picariello, In anticipo alla III guerra mondiale,        pp. 73-75
Lucien Rama, Dall’Arte Povera all’Arte Spettacolo,            pp. 75-76
Alice Rubbini, Senza titolo n. 2,                                           pp. 76-78
Giuseppe Siano, Performance topologiche ed «isole logiche»,        pp. 78-81
Irene Zangheri, Scene da un crimine,                                       p.    82
Antonio Zimarino, Quale pensiero? E per quale arte?,            pp. 82-85
Indice Tracker Art 2006
Omar Calabrese, Sull’avvento di un’estetica di massa,            pp. 88-90
Carlo Fabrizio Carli, Apologia della dissidenza,            pp. 90-92
Marta Casati, Non intorno al cosa ma al come,                pp. 92-94
Vitaldo Conte, Anomalie e malie,                                     pp. 94-95
Brigida Di Leo, Arte e museo,                                            pp. 95-98
Bruno Falasca, Formazione e lavoro,                                      pp. 98-101
Antonio Gasbarrini, Terrorismo / iconoclastia / avanguardia,        pp. 101-103
Daniele Goldoni, Musica, tecnica, pubblico,                             pp. 103-106
Ivana Mulatero, Alterità  e mutazione antropica,                     pp. 106-108
Francesco Nicolino, La “pittura” delle scimmie,                         pp. 108-110
Antonio Picariello, Archetip’Art: la guerriglia,                         pp. 110-111
Giuseppe Siano, Appunti per una logopedia artistica,            pp. 112-114
Irene Zangheri, Azzeramenti,                                                pp. 114-115

Indice Tracker Art 2005
Paolo Balmas, Nuovi Linguaggi? Tutto qui?,                         pp. 118-121
Danila Bertasio, Chi è il critico d‘arte?,                                 pp. 121-123
Boris Brollo, Western Critic “Omaggio a Benito Jacovitti”,        p.   123
Rino Cardone, Il novecento un secolo di meravigliosi sbalordimenti,    pp. 123-126
Vitaldo Conte, Corpo/scrittura come racconto e anomalia,        pp. 127-128
Valerio Dehò, Aspettando la fine,                                            pp. 128-129
Brigida Di Leo, C’è ancora qualcosa di nuovo da cercare nell’arte?,    pp. 130-132
Isabella Falbo, Il paradigma della contemporaneità,                     pp. 132-133
Antonio Gasbarrini, Simulazione e contaminazione digitale: arte o
similarte?,                                                                               pp. 133-135
Linda Kaiser, Altra Arte,                                                                pp. 135-136
Adriana Martino, L’arte nell’epoca del digitale,                                      p.   136
Enrico Pedrini, Dall’Indeterminazione all’interattività delle reti,     pp. 136-139
Antonio Picariello, Trackerart,                                                        pp. 139-141
Francesco Piselli, Alcuni compiti dell’estetica,             pp. 141-142
Giuseppe Siano, L’arte nelle neotecnologie,                 pp. 142-147
Francesco Solitario, Tattilità visiva e metafisica della visione,    pp. 147-151

Indice Tracker Art 2004
Danila Bertasio, L’arte e la parola,                                 pp. 154-155
Boris Brollo, Prospettive per una nuova classicità,            pp. 155-156
Lorenzo Canova, Lettera per un metodo personale,             pp. 156-157
Rino Cardone, L’umanesimo artistico dell’uomo nuovo universale,            pp. 157-159
Giovanna Coppa, L’inseguimento di….,                    p.   159
Valerio Dehò, Che tempo che fa,                        pp. 159-160
Francesco D’Episcopo, Frontiere   critiche,                pp. 160-161
Brigida Di Leo, Pubblico, artista, critico, le tre facce del creatore
d’arte,                                    pp. 161-162
Antonio Gasbarrini, Vademecum del trackercriticico,            pp. 163-164
Miriam Mirolla, Il futuro della critica, a partire da un’autocritica,     pp. 164-166
Antonio Picariello, Il gioco comparativo negli Archetipi Primari,    pp. 166-168
Giuseppe Siano, Altre brevi riflessioni sull’arte tra “Bene culturale”
e neotecnologie                                pp. 168-169
Enzo Nicola Terzano, L’arte della critica,                pp. 169-170
Laura Turco Liveri, Nuovi segni e nuovi linguaggi estetici?,        pp. 170-172
Roberto Vidali, La decima ora,                                                   pp. 172-173

Errata corrige: l’autore del testo Tattilità visiva e metafisica della visione, si chiama Francesco Solitario e non Andrea Solitario, come erroneamente riportato anche nel presente volume a pag. 147.

99 can1.jpg

99 can.jpg99 can1.jpg99 can.jpg

 

Alla ricerca delle 99 Cannelle: io, la mia ombra, due gatti ed un operaio romeno

di Antonio Gasbarrini *

Ci voleva una tenera giornata di fine ottobre per farmi riconciliare con una piccolissima parte del corpo martoriato della mia città.

C’è voluto un pizzico di fortuna, per indurmi ad oltrepassare, in perfetta buona fede, il varco incustodito che dalla Villa Comunale immette dritto dritto in Via XX Settembre: qui a suo tempo ho abitato, appena sposato, al n. civico 29 dove sono nate e cresciute le mie tre figliole.

Ci voleva un cielo azzurrino, leggermente striato, per alleviare lo sguardo ferito da quelle familiarissime case bombardate, da quelle serrande sghembe, da quei fiori appassiti su balconi squinternati, scrutati al rallentatore.

Non ci volevano, ma tant’è, le lacrime venute giù senza alcun preavviso, all’incrocio con Via Campo di Fossa e di fronte alla Casa dello studente: adesso, il cuore avrebbe voluto arrestarsi per  condividere al meglio, in un perfetto, trascendentale silenzio,  il dolore dei parenti ed amici di quei condómini e giovani universitari morti per una malvagia, non perdonabile, colpa altrui.

C’è voluto uno sforzo immane per staccarsi dalle macerie insanguinate e proseguire fino alla Chiesa di S. Chiara, anch’essa devastata dal sisma insieme al convento, dove nel corso degli anni più di un frate mi ha accolto, con braccia aperte, nei silenziosi spazi della nutrita biblioteca.

Poi a capofitto giù, nella ripida scalinata incrociante, sulla sua sinistra, le due vie intitolate all’“epico cantore” Cola da Borbona (sec. XV) e all’ “orafo” Nicola da Guardiagrele (a dir fino in fondo la verità, la qualifica di “orafo” sta un po’stretta ad uno tra i più insigni Maestri del tardomedioevo abruzzese, e perché no, italiano ed europeo).

Come al solito, ogni volta che mi ri/trovo nell’interdetta  zona rossa del Centro Storico, è solamente la mia ombra a farmi compagnia. Anzi no. Questa volta due gatti, uno tigrato, l’altro bianco e nero, miagolano affamati. Mi limito a fotografarli con il cellulare, se non altro per portarmi dietro, una volta rientrato nella costa, il pungente ricordo della loro solitudine.

Già: la solitudine dei gatti. E quella prevedibile degli aquilani via via stipati nei ghetti-dormitorio delle 19 little-towns, o recentemente deportati, senza alcun riguardo per le loro effettive esigenze, dalle tendopoli agli alberghi più sperduti della provincia aquilana?

Come non riandare polemicamente a quei giorni di inizio settembre, allorché un cartello contestatario dei giovani antagonisti recitava grosso modo: “Il capolavoro della Protezione Civile? Sei mesi nelle tende”. E, la loro derisione da parte del dr. Bertolaso, il quale ci teneva puntigliosamente a precisare che i mesi trascorsi erano solo cinque. E adesso? Stiamo entrando nell’ottavo e galoppiamo verso il nono, giusto il tempo per sentire il vagito di nuovo aquilano concepito dopo il sisma nell’amore rubato dai frastornati genitori tra i contigui letti di estranei  diventati conviventi coatti, ammucchiati a caso negli angusti spazi dei centri di accoglienza provvisori: provvisori un  c….!, egregio sig. b.

Meglio non chiamarla in causa, altrimenti il sangue mi monta sulla testa! Ma, mi chiedo e Le chiedo, dove nascerà, dove abiterà (indubbiamente saranno molte le chances del nuovo venuto: container, camper, roulotte, casetta in legno, appartamentino-c.a.s.e.), dove crescerà il mio sfortunato concittadino? Se dovesse andargli bene, lo vedremo sgambettare tra le metalliche colonne delle c.a.s.e.tte o giocare a pallone sui verdastri slarghi cementificati?

Prendendo per buone le ultime esternazioni del Suo saldissimo governo cloroformizzante il Parlamento a suon di decreti legge e di voti di fiducia, dovrebbe avere circa dieci anni prima di poter rivedere la sua mirabile città con gli stessi occhi sgranati dei genitori al cospetto di quella stratosferica Bellezza di Piazze, Fontane, Chiese, Monumenti, Vicoli, ritessuti con orgoglio dagli avi dopo il devastante sisma del 1703.

Per questo nascituro terremotato e per la superficialità con cui Ella, da buon dilettante e dilettantesco urbanista da strapazzo ha sinora finto di affrontare l’immane tragedia aquilana, riuscendo persino ad inventare, da collaudato piazzista e per i Suoi cinici fini propagandistici, la “consegna rateale” delle casettine-c.a.s.e., che m’indigno! Nemmeno durante il Fascismo s’era visto il “Duce costruttore” delle Città-littorio inaugurare cento volte lo stesso plesso.

E poi, anziché continuare ad imbattermi tra un affastellato pensiero e l’altro con la sua mendace faccia impiastricciata, preferisco proseguire il mio surreale pellegrinaggio tra le case dirute di Borgo Rivera, dove incontro una gorgogliante fontana. La freschissima acqua mi gela i denti, allo stesso modo di quand’ero bambino; proprio da questo punto correvo felice per rivedere, con rinnovata meraviglia, quei mascheroni dalle mille e mille misterioso sembianze: leoni, caproni, cavalli, fauni, cavalli e cavalieri avevano animato, infatti, le mie prime, avventurose fantasticherie. Quell’acqua miracolosa, riesce finalmente a scongelarmi l’anima, prima sconvolta, quindi imbalsamata dopo la terrifica notte del 6 aprile.

A vedere le vicine, antiche concerie accartocciate, implose in una manciata di secondi dopo secoli di ostentata solidità, ti chiedi quali saranno le strategie migliori della futuribile ricostruzione per riannodare i fili di una memoria non solo spezzata, ma, forse, definitivamente abrasa.

A scacciare le nuvole nere di un montante pessimismo, ci pensano, mentre il profilo incappucciato con un telo di plastica della sventrata Chiesa di S. Vito ti viene incontro come fosse un fantasma, le concertanti note acquatiche provenienti dalle 99 Cannelle. Allora, era proprio vero! A parte qualche danno, come avevo letto ed intravisto in televisione, uno dei più celebri e celebrati monumenti aquilani, aveva resistito da par suo, alla traditrice aggressione delle 3.32.

Vado così incontro, con un forsennato batticuore che fa da basso continuo alla scrosciante sinfonia, a quello che non è più un evanescente miraggio, ma una struggente realtà: l’abbraccio circolare con la delicata bicromia biancorosata di quelle pietre immortali protette dalla cancellata in ferro emigrata nella notte dei tempi dalla Chiesa di S. Maria di Collemaggio, è un tutt’uno.

Come avevo già fatto tante altre volte e come avevo insegnato a più di un amico, mi sono messo al centro del “trilatero” volgendo le spalle all’iscrizione lapidaria voluta dal progettista Tancredi da Pentima nel 1272. Ho chiuso gli occhi per ascoltare con la massima concentrazione quelle coralline voci stereofoniche provenienti dalle stesse viscere di una terra non più maledetta, ma benigna.

La magia di una laicizzata rinascita battesimale, dell’innocenza riconquistata (la mia e quella riconquistabile dai miei concittadini invitati perciò ad affluirvi in massa, appena l’avvenuta messa in sicurezza di Borgo Rivera lo consentirà), la stessa, se vogliamo, delle donne che nell’immediato dopoguerra qui lavavano e qui stendevano le loro candide lenzuola.

Più di uno studioso ha messo in luce la matrice esoterica di questo intrigante iperspazio architettonico ch’è dentro sì la primeva storia della fondazione della città, ma ne è contemporaneamente al di fuori, essendo proiettato con i suoi taglienti getti delle “improbabili” 99 cannelle, tra gli interconnessi tempi-spazi del mistero esistenziale. (Provate a contarle e ricontarle: il risultato non sarà mai lo stesso, anche se il simbolico numero è stato così ottenuto in progress dai pragmatici aquilani, tra un restauro e l’altro succedutisi nel corso dei secoli: 2 ai lati dell’ingresso, 22 nella facciata nord, 38 in quella est, 29 in quella sud, altri 2 agli angoli tra le due facciate; da aggiungere poi, le 6 cannelle senza mascheroni).

Allorché riapro gli occhi, scorgo un uomo in tuta con il casco giallo: beve direttamente, da una delle cannelle quell’acqua santa con cui poi riempirà una bottiglia di plastica. Gli chiedo chi sia: “Sono un operaio romeno, sto lavorando come muratore in quella casa messa abbastanza male”. “Posso fotografarti?” Acconsente. Gli suggerisco di riversare l’acqua nel pilone e di riempirla nuovamente. Tende il braccio, volgendomi le spalle e girandosi poi di scatto per fissare l’obiettivo del mio cellulare: possa quella bocca rinfrescata e quel sorriso rigeneratore essere di buon auspicio per l’effettiva rinascenza della mia (nostra) amatissima città.

Allora, “Che fare”? si chiedevano i siloniani cafoni fontamaresi, e, continuano a chiedersi gli esiliati (tali sono anche nelle little towns) concittadini aquilani. Una bruciante risposta? Eccola: riappropriarsi, simbolicamente e visivamente, della città morta. In che modo? Il 6 aprile del 2010 ri/cominciando, magari, da questo spazio imbevuto di una sacrale magicità, la loro risalita verso il Centro antico. Andando a zig zag e non in processione. Seguendo anarchicamente i richiami ancestrali della deriva psicogeografica dei Situazionisti. Spostandosi a caso, per l’intera giornata, liberamente, senza cibo e senza meta, dentro le protettrici mura uterine della loro città fondata sull’acqua (Acquila è una delle etimologie più accreditate) ed innalzata con le pietre. Adesso sbriciolate, metamorfizzate in tonnellate e tonnellate di macerie indecorosamente ammucchiate, quasi fossero un puzzolente sterco e non già schegge impazzite d’una fragrante memoria sfregiata.

Nell’invocato rito di purificazione, si sorseggi ogni tanto l’acqua delle 99 Cannelle “raccolta” nelle borracce, inseparabili compagne di strada dei camminatori di montagna. Guardando in alto per scorgere l’avvento ed assecondare il primaverile volteggio di un’aquila regale. Fermandosi per riprendere fiato. Perdendosi, ritrovandosi e abbracciandosi: nonostante tutto.

* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

30Centesimi.jpg

http://www.abruzzo24ore.tv/news/Artisti-Aquilani-di-ritorno-da-Genova/12504.htm

è molto interessante visionare in contemporanea i due video di Gasbarrini