Qual è l'età dell'anima dell'uomo? Come ha la virtù del camaleonte di cambiare colore ad ogni nuovo approccio, di essere allegra con gli allegri e triste con gli abbattuti, così anche la sua età è mutevole come il suo umore… 

Le voci si fondono e si fondono nel silenzio nebuloso: silenzio che è l'infinito dello spazio: e veloce, silenziosamente l'anima si diffonde su regioni di cicli di generazioni vissute. Una regione dove il grigio crepuscolo scende sempre, non cade mai sugli ampi pascoli verde salvia, perdendo il suo crepuscolo, spargendo una perenne rugiada di stelle.

– James Joyce, Ulisse

Buon compleanno CriticART!

“Questo spazio si dedica alla professionalità e alla certificazione di qualità dell’arte e degli eventi ad essa collegati.”

Così Antonio Picariello inaugurava il suo riuscito blog, divenuto nel tempo punto di riferimento per il panorama artistico e di critica d’arte (non solo) molisano. Professionalità e qualità sono le parole che risaltano dalla sua visione dichiarata, ma sono le stesse doti, ne converrete, che contraddistinguevano il suo lavoro quotidiano. Facilmente possiamo aggiungere anche “avanguardia”, non solo come metodologia d’azione ma soprattutto come nobile arte del pensiero trasformato in opera.

Questo spazio-tempo informatico raggiunge oggi la sua maggiore età; sebbene orfano del suo creatore, in qualche modo continua a testimoniare il potente ed infinito messaggio dell’arte.

Grazie Antonio, grazie criticart.it. E buon 18° compleanno!

Bernardino Izzi “dialoga” con Antonio Picariello sul V canto dell’Inferno.

(Anteprima avvenuta durante l’evento Comunque prima c’era del 4 agosto 2023, presso il Comune di Larino)

Si ringrazia vivamente l’avvocato Bernardino Izzi per la gentile concessione.

15 maggio 2020 – 15 maggio 2023

A te che manchi da questa stanza
 e il tuo mancare è già gran cosa
 che ingravida il mio vuoto nell’attesa
 e piú soave è la tua mancanza
 di qualunque presenza nella stanza
 già il pensiero di te si fa sostanza
 luminosa che ride.

Mariangela Gualtieri
da “Quando non morivo”, Einaudi, Torino, 2019

Era de maggio e te cadéano 'nzino,
 a schiocche a schiocche, li ccerase rosse…
 Fresca era ll'aria…e tutto lu ciardino
 addurava de rose a ciento passe…
 Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
 na canzone cantávamo a doje voce…
 Cchiù tiempo passa e cchiù mme n'allicordo,
 fresca era ll'aria e la canzona doce… E diceva: "Core, core!
 core mio, luntano vaje,
 tu mme lasse, io conto ll'ore…
 chisà quanno turnarraje!"
 Rispunnev'io: "Turnarraggio
 quanno tornano li rrose…
 si stu sciore torna a maggio,
 pure a maggio io stóngo ccá…
 Si stu sciore torna a maggio,
 pure a maggio io stóngo ccá."
 E só' turnato e mo, comm'a na vota,
 cantammo 'nzieme lu mutivo antico;
 passa lu tiempo e lu munno s'avota,
 ma 'ammore vero no, nun vota vico…
 De te, bellezza mia, mme 'nnammuraje,
 si t'allicuorde, 'nnanz'a la funtana:
 Ll'acqua, llá dinto, nun se sécca maje,
 e ferita d'ammore nun se sana…
 Nun se sana: ca sanata,
 si se fosse, gioja mia,
 'mmiez'a st'aria 'mbarzamata,
 a guardarte io nun starría !
 E te dico: "Core, core!
 core mio, turnato io só…
 Torna maggio e torna 'ammore:
 fa' de me chello che vuó!
 Torna maggio e torna 'ammore:
 fa' de me chello che vuó " 

(Di Giacomo – Costa – Murolo)

"Turnarraggio quanno tornano li rrose…" – Ciao Toni'
https://www.youtube.com/watch?v=FwZjxtjksXg

L’omaggio in versi di Pierino Picucci in due poesie per Antonio Picariello

Il grido disperato
Un guaito di un cane nella notte
lugubre, implorante, lungo,
il cui eco si disperde nella valle tra ombre
di fantasmi e voli di uccelli notturni.
Cosa vuole il tuo grido disperato,
quali incubi assediano l'animo sospeso.
Appoggiato al muro del rudere con gli occhi sbarrati
a confondere l'ombra per essere solo.
Ancora ostinato ti chiedi il perché.
Risposta che non avrai mai alla tua angoscia.
Inoltrati nel bosco per i consueti vagabondaggi,
accarezza il buio, l'amico silenzioso,
scaccia la tua vanità, la tua umanità.
Cosa vuoi da un mesoltelioma.
Diagnosi crudele, inappellabile.
Le storie si ripetono, cambiano gli attori.
Recitiamo una parte involontaria, occasionale.
Andremo nel dimenticatoio universale
col tempo rinserrato nella scatola della memoria.


Corri amico
Corri amico, corri forte fino allo sfinimento.
Quando le gambe non ti sorreggono più
allora buttati per terra, dovunque sia,
in mezzo alla strada, sul marciapiede, tra i rovi
se sei fortunato su l'erba di un prato.
Ti accorgi che ancora respiri e la mente
resta ossessionata,
non ci puoi far niente è successo.
Rialzati e sfida ancora i tuoi polmoni.
Corri, corri, non guardare intorno.
Il vento, la pioggia, la grandine non
ti possono fermare.
Scalzo sotto il sole che ti arroventa
spogliati, butta la canottiera inzuppata
grida come un ossesso,
scaraventa i pensieri al di là della rupe,
nel baratro che ti attira per volare come un rapace.

Pierino Picucci

Antonio, fratellino caro, 

sei andato via inopinatamente per viaggiare in Cielo e hai lasciato un vuoto, colmo però di tanta ricchezza anche artistica, donatami nel corso della nostra lunga amicizia. 

Mi mancano le nostre conversazioni, a volte fino a tarda sera e come quella volta che ad Antonella le si chiudevano gli occhi fino alle 4 del mattino e, noi ancora a parlare senza avere sonno. 

Mi manca il tuo pensiero profondo sull’arte e sulla vita in generale. Tu, uomo di grande spessore umano e culturale, eccellente critico e artista, bravo professore, hai lasciato un vuoto incolmabile nel mondo dell’arte e dell’istruzione. 

Riservato, empatico, appassionato, energico, simpatico, estremamente buono, straordinario, ma descriverti con queste parole è forse superfluo e sempre molto riduttivo. 

Sei stata una persona dal pensiero “puro”, che ha abbracciato con grande entusiasmo la vita e l’arte. Ora in Cielo, sicuramente stai curando la mostra degli “Angeli”, fortunati ad averti e qui, nella memoria sento la tua voce soave, con la tua carezza all’anima. La tua comunicazione estetica e poetica, intessuta a volte di mistero, mi ha permesso di diventare artisticamente l’artista che oggi sono. Credevi con forza nell’arte e come non ricordare le tue parole quando vedevi un mio nuovo quadro e dicevi «ottima opera».

Antonio, ti voglio ancora bene e non posso e non voglio dimenticarti! Quando ho bisogno di te so dove trovarti. Ti sono molto grata e sono felice di averti incontrato sul mio sentiero.

Firmato sorellina (come mi chiamavi tu). (cuore)

Valeria Acciaro

Il profondo omaggio di Luigi Fabio Mastropietro in ricordo di Antonio Picariello.

 LETTERA PER UN ESSENO 
 (in occasione del primo genetliaco della sua seconda vita) 
  Ma ciò che brama la carne è morte, 
mentre ciò che brama lo Spirito è vita e pace 
 (Lettera ai Romani 8,6) 
Oggi 15 maggio 2021 è il primo genetliaco della tua seconda vita che coincide con la 
 rinascita della tua pagina criticart.it.

 I tuoi affetti più cari mi chiamano a scriverti di nuovo, dopo quasi un anno 
 dall’ultima volta.

 Quel venerdì di un anno fa, la bestia cieca del dolore mi sbarrava il passo e ti scrissi: 
 
Caro Antonio, ungo le pietre sulla soglia del tuo passaggio ma non mi è di nessun conforto.
Mi sforzo di pensare che il tuo sacrificio ha inciso sulla terra arida un segno che se non possiamo vedere con gli occhi sordi possiamo almeno toccare con le dita mute, ma il dolore è una bestia cieca che mi sbarra il passo.
 Vorrei poter dire che questa terra amara ti ha amato, ma non posso. Farei un torto a tutti coloro che ti hanno amato.
 Antonio, il Critico d’arte dell’isola de la Réunion, l’Intellettuale organico del mondo perduto nel buco nero di se stesso, il Maestro invisibile che solo gli Ultimi vedono, è un uomo perseguitato dal pensiero dominante e abbandonato ai margini della vita dalla sovrana minorità. 
 La tua aura colore dell’oro, la tua bella voce calda, la tua generosità di altri tempi, il tuo coraggio di guardare in faccia il demone, l’impatto rivoluzionario della tua cultura sincretica, la tua dolorosa ossessione per la bellezza, tutto lo straordinario patrimonio di armonia e di follia che stai gridando senza aprire bocca è veramente insopportabile per questa terra. 
 Uno sguardo troppo trasversale per meritare attenzione da queste parti. 
 Una comunicazione troppo ardita per poter essere tradotta nella lallazione balbettante della intelligencija locale. 
 Una narrazione troppo alluvionale per poter essere liofilizzata nelle pillole programmaticamente scaricate dai chierici nostrani. 
 Quale uomo che sappia di esserlo, quale intellettuale che sappia di esserlo, può sopravvivere nel deserto per più di vent’anni senza impazzire oppure senza maturare un bel male incurabile? 
 Caro Antonio, questa terra amara ti ha prima esiliato e poi ti ha ucciso. Nonostante il tuo coraggio, nonostante la tua valorosa resilienza.
 Un solo pensiero può alleviare il dolore.
 Ovunque tu sia adesso, quel posto è comunque meglio di questo. 
 
 E ancora oggi, se questa mia fosse un epitaffio, caro Antonio, reciterebbe Hanno ammazzato Antonio, Antonio è vivo. Ma non è un epitaffio. 

 Se invece fosse un elogio post mortem, si intitolerebbe L'uomo che cadde sulla terra di Molise e allora potrei scrivere che tu in questa terra sei più alieno di Thomas Jerome Newton, il misterioso extraterrestre proveniente dal pianeta Anthea. 

 E allora dovrei scrivere che anche tu, come il protagonista del romanzo di Walter Tevis e poi del film di Nicolas Roeg, hai dedicato la tua vita a un compito ineffabile quanto titanico, inventando scuole di pensiero artistico e movimenti internazionali come Archetip’art, ideando e curando eventi culturali e mostre d’arte in Italia e all’estero, raccogliendo la devozione di tanti artisti e il consenso degli intellettuali più percettivi intorno a un “manifesto” comune, attraverso la tua opera di critico d’arte “militante” e di appassionato docente e, non ultimo, di semiologo che fa del sincretismo la chiave di lettura e la cifra di comunicazione del mondo. 
 
 Ma questo non è nemmeno un elogio post mortem. Non lo è, semplicemente, perché tu non sei morto. I morti scompaiono e invece tu sei ancora qui al mio fianco. Tu sei ancora vicino a me e a quelli che ami, hic et nunc. Continui ad amarci come noi ti amiamo e a sostenerci nel nostro cammino ancora più che nel passato. 

 Non possiamo più toccarti, è vero. Ma se chiudiamo gli occhi possiamo ancora vederti sorridere limpidamente e se li apriamo possiamo ancora ascoltare la tua bella voce calda e profonda, sintonizzata sulle frequenze armoniche dell’universo. 

 Caro Antonio, questa è una lettera al mondo, quel mondo che tu ancora abiti con il tuo insegnamento, seppure sui piani sottili dell’Essere. È uno sguardo al volo che tu stai compiendo, librandoti nei cieli immensi dell’origine, nel tempo senza tempo, quando “a noi bastava solo l’amore / il resto ci poteva mancare” *. 
 
 Una lettera aperta e un’invocazione, affinché questa civiltà moritura possa ancora nutrirsi di te e confidare nel tuo apostolato di bellezza per mantenere aperta una crepa di luce nella tenebra che la opprime. 
 
 Sei emerso dal tuo viaggio al termine della notte, recando la luce del sole negli occhi e stai illuminando il mio cammino e il cammino degli altri che hanno la buona sorte di incontrarti, mentre combatti i tuoi demoni con il sorriso sulle labbra e lo sterno spalancato sull’abisso, salvato dalla tua misericordia per la miseria degli uomini. 
 
 Procedi ancora al nostro fianco nella fitta nebbia del presente, consumato senza un lamento dall’inedia di questa terra avara e nutrit
o senza sosta dalla sacra bellezza che l’uomo votato al suicidio sognando ha resuscitato nell’arte. 
 
 Molise non amour, scrivi, rispondendo sempre con l’amore al deserto che ti assedia e al demone dell’acedia che ti rinnega. 
 
 Comunque prima c’era, scrivi, rivelando che nessun letto di contenzione di nessuna galera sprofondata nella dannazione può mai cancellare la potenza salvifica dell’arte, perché nell’arte vive la residua vibrazione siderale del mistero dell’Archetipo, quando l’Uno si divide in Due per farsi luce e ombra, materia e spirito. 
 
 E ci sono visioni antiche che risvegliano la memoria collettiva dell’uomo, “luoghi dove il linguaggio sublime parla silenzioso al destino delle persone” e dove le cicatrici si riaprono e riprendono a buttare sangue. 
 
 Con il tuo cuore santo tu puoi vedere questi santi luoghi. Tu puoi vedere i colori del mondo. I colori del deserto e delle città di sabbia. I colori del nulla. E le pietre dello uadi. Ai tuoi piedi, nel letto della terra scorreva un torrente, ora c’è solo il suo canto. Dove era l’uomo ora solo un’impronta di polvere. 

 
 Questa sera, mentre ti scrivo, un vento teso e rabbioso rade al suolo un cielo opaco e assente di un maggio degenere. Ti vedo sorridere sornione mentre mi racconti che il silenzio è solo il rovescio della parola e che il creato è come un magnifico tessuto broccato, tempestato di luce e di sangue. Solo rovesciandolo si può scoprire la complessità del disegno e dell’intreccio dei fili. 
 
 La vita è “ordine sorretto dal disordine”, mi dici, mentre mi guardo le mani e mi accorgo che sono diventate vecchie come la pietra del fiume morto ma che le dita sono ancora feraci come quelle di Amore, il giovane schiavo di La Réunion, capace di fecondare i fiori di vaniglia. E allora spengo la lampada e chiudo gli occhi. 

 
 Dovunque ci troviamo, sulla sabbia del Sahara o sull’asfalto di una città perduta, sei al mio fianco. Mi siedo e distendo i palmi delle mani davanti al viso. Per i miei figli lontani o per i figli che non ho mai avuto o forse solo per me stesso, comincio a raccontare. La notte scenderà presto e bisognerà accendere un fuoco perché il mio racconto si nutra e le bestie si mantengano fuori del cerchio. 
 
 Anche se “la mia è una razza che fa paura davvero”, spremerò ancora una volta la vita dal mio cuore e compirò una volta ancora “il sacerdozio dell’archeologo, l’atto liturgico che unisce il tempo dei viventi con il già vissuto”. Ora sento arrivare i miei demoni in punta di piedi e in silenzio unirsi al cerchio. Il sole è tramontato e non distinguo i volti ma ricordo i nomi. Posso nominarli uno ad uno e intrecciare finalmente tutti i fili della trama del mondo. 
 
 In fondo è per questo che sono qui, anche se non ci sono mai stato. 
 
 Mentre il mondo soffoca, resto in silenzio. Acquattato tra le coltri iridescenti dell’ultimo cielo, aspetto. Aspetto che arrivi, trascinandosi sulla rena bagnata, le scarpe di stracci, incatenato per il collo all’infermiera bendata. Aspetto di vederlo cadere in ginocchio e ridere in faccia al mare, più forte del suo mugghiare. 
 
 Aspetto di vederlo tagliare con il suo indomabile sguardo quella luce così dolce e nera. Aspetto di vedere il bagliore dei suoi occhi per cogliere il corpo del dio che si muove. 
 
 Ma il dio si nasconde nella sua lingua muta e viene fuori sempre alle mie spalle con un fremito incendiario. 

 
 Il vento alla fine si è placato. Dovunque mi trovi, riapro gli occhi e non mi importa più del dio, ormai. 
 
 Ho letto il suo libro e anche se non posso vederlo, posso respirare il suo fiato dentro di te. 
 
 Luigi Fabio Mastropietro 
 
 * dalla canzone “Cieli immensi” – autore Fortunato Zampaglione. 

(Lettera ad un Esseno di Luigi Fabio Matropietro)

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